martedì 1 dicembre 2009

Per Cino e per lo Zecchino.

Segnali di fumo.
Di Davide Ferrari

Nulla so nulla delle questioni che sono intercorse fra l’Antoniano e Cino Tortorella.
Quando tanti e tanti anni passano a fare un medesimo lavoro, che senti tuo, che si identifica con te, è spesso fatale che non si riesca a ridarsi una veste nuova, che si diventi ingombranti e , insistendo, si incorra in veri e propri errori.
Ora, di fronte alla prova che Tortorella sta affrontando, è il momento soltanto della preoccupazione e degli in bocca al lupo. Grandissimi.
Sentiamo che la sua vicenda ci appartiene, che siamo partecipi e , tutto sommato, gli vogliamo bene.
Quarant’anni fa ho fatto a botte, anzi ne ho prese, per “colpa” sua e dello Zecchino.
Difendevo “Torero camomillo”, la canzoncina che, inaspettatamente, all’ultimo minuto, perdette la gara con “Quarantaquattro gatti”.
Sbagliavo. Quella dei “gattini senza padrone” era bellissima. E poi era un segno del ’68. Ma, ai giardini Margherita si scatenò una rissa di proporzioni bibliche. Centinaia di bambini, non scherzo, si divisero fra le due contendenti e via a correre e strattonare e peggio. Io guardavo, imitavo e le prendevo.
Ma mi sentivo un Highander alla battaglia, sotto le chiome del grande cedro del pratone. Per molte generazioni il ricordo delle canzoni dello Zecchino è stato il primo ricordo che è rimasto, quello con il quale si è entrati nell’età della memoria, a 4-5 anni.
E poi imparavamo cos’è una gara. Sceglievano, con le palette alzate nel voto, bambini come noi, sceglievamo noi. Non capita troppo spesso ai bimbi di poter decidere, probabilmente nemmeno oggi- che pure diciamo essere l’epoca del permissivismo. Scegliere, secondo volontà e regole, è un momento educativo importante.
E, sempre, è stata buona musica, testi spesso folgoranti, poca leziosità -nonostante l’ambiente. Un vero miracolo.
Per questo vogliamo che l’Antoniano possa andare avanti. Certo, è importante per la nostra città, perché possa mantenere e magari espandere la propria produzione televisiva. Ma è importante per noi e per i bambini di oggi.
Non facciamo scherzi. Lo Zecchino, e Mago Zurlì, vivano tranquilli. Almeno per tanti anni quanti ce ne hanno regalati.

1 Dicembre 2009
Il Bologna, quotidiano Epolis

sabato 21 novembre 2009

Mala Lingua, adesso è un libro

Mala Lingua
Una campagna elettorale in punta di penna


di Davide Ferrari
Prefazione di Flavio Delbono
Nota di Etienne Salvadore

Format Libri editore

15 Euro
Per acquistarlo
T. 340 1945654

a Bologna: Librerie Feltrinelli
Edicola via Rizzoli, Due Torri
Edicola "Dei Greci", ang. Pavaglione-Rizzoli



Su You Tube i video della presentazione del libro a bologna, Lunedì 9 Novembre,alle ore 18, alla Libreria Feltrinelli di Piazza di porta Ravegnana,con Andrea De Maria, Giancarla Codrignani, OInide Donati, Carlo Flamigni, Simonetta Simoni

www.malalinguadibologna.blogspot.com

mercoledì 11 novembre 2009

Crocifisso ed altri simboli. Studiare ed imparare insieme

Segnali di fumo
di Davide Ferrari

Crocifisso ed altri simboli. Studiare ed imparare insieme

Siamo in Italia ed ogni battaglia civile, per la laicità e per la pari considerazione di ogni identità religiosa o non religiosa deve fare i conti con la realtà.
Si è immediatamente fraintesi, poco difesi, e dietro i fanatici si coalizzano masse prima più ragionevoli. Così sta accadendo sulla questione dei Crocifissi nelle aule scolastiche.
Siamo in un momento opaco, l'intolleranza cresce, soprattutto per la paura che ci fanno gli immigrati, con il loro colore ed i loro credi. L'ignoranza regna sovrana. Ad esempio, per dirne una, il crocifisso, simbolo prettamente cattolico, viene scambiato con la croce, che appartiene a tutti i cristiani, e così' via. A noi italiani sembra strano o appare come una questione di lana caprina ma milioni di persone si sono combattute e reciprocamente uccise, quelli per il Crocifisso contro quelli per la croce. La Corte Europea ha emesso una sentenza giusta e soprattutto inevitabile. L'Europa, ben da prima delle ultime migrazioni, è una realtà plurale, con i protestanti, gli ortodossi, e gli ebrei accanto ai cattolici.
Proprio per questo in Europa si sono affermate la tolleranza religiosa e la democrazia. Anche se, per la prima volta sono diventate legge di uno stato -ricordiamolo- in America grazie a chi per sopravvivere alle persecuzioni aveva dovuto varcare l'Oceano.
Cosa succederà ora: il rinculo del colpo sparato dall'Europa ci colpira la spalla, tutto tornerà come prima, anzi vedremo i laici e le minoranze minacciate ( è successo) e zittite?
Io credo che la questione del pluralismo sia aperta e non si richiuderà con reazioni autoritarie.
Attenzione però: è difficile pensare che una partita così complessa si possa affrontare nei tribunali.
E' proprio impossibile, per esempio a Bologna, fare esperienze di riconoscimento reciproco dei simboli? Fra le famiglie, ad esempio, in classe e fuori dalla classe, dove sembrerà più opportuno. Con la conoscenza, lo studio comune, la riflessione su di sè. Da cristiano io sono convinto che sarebbe un'occasione importante per rafforzare molto la propria fede. Non penso ad una cerimonia formale, ad una ricetta unica. Non basterà aggiungere simboli ora non presenti accanto al simbolo già presente, cosa che, però, potrebbe essere la conclusione condivisa, almeno in alcuni casi, di un percorso più ampio. Bisognerà mettersi al lavoro, studiare e imparare insieme. Questa è la strada giusta. Probabilmente l'unica.

11 Novembre 2009 IlBologna, quotidiano Epolis

giovedì 8 ottobre 2009

Torna la neve. L’inverno della Repubblica visto da Bologna.

Segnali di fumo
Di Davide Ferrari



E' tornata la neve. Brividi in strada. Avevamo già in mente la Primavera. Con un poco di tepore, rimpannucciati, ci sembrava di poter tornare alla vita di sempre, alla Bologna di sempre. Delbono quasi scordato, la Commissaria al lavoro, tutti a pensare alle proprie faccende.
La Destra cittadina gongolava ma senza far troppo rumore. Persino a Sinistra qualche analista e qualche giornalista, cominciava a teorizzarlo: “Meglio così, Bologna senza Sindaco, è vero, ma che sarà mai, un po’ di tempo non farà male, tranquilli e magari “rinnovati” ci si potrà presentare fra un anno i cittadini con più ciance”.
Tanto si va verso la buona stagione. Rassegnarsi e bordeggiare.
Invece nevica.
Prima un’onda di fango e scandali da far muovere anche gli stomaci più avvezzi.
Scandali insidiosi come quello, con mille rami , attorno alla Protezione civile.
Poi, fra pause caffè troppo lunghe, risse sui nomi, pasticci e arroganze il caso delle liste presentate tardi o male.
Il voto pigro per le Regionali si è avvitato in una faccenda grigia e rischiosa. A Roma una legge fatta apposta ha cercato di risolvere un problema vero nel modo peggiore, elargendo favoritismi a chi l’ha scritta. Mentre scriviamo, non sappiamo come finirà.
Ma anche Bologna è stata coinvolta. Qualcuno, a Destra, lo ha detto apertamente, “aiutate Polverini e Formigoni e noi vi faremo votare presto”.
Ma non si diceva che Bologna doveva essere commissariata perché il suo Sindaco non si era dimesso in tempo ?
Il baratto è stato rifiutato ma nel palato è rimasto l'amaro dell'ingiustizia.
Mi è venuto in mente un episodio antico. Di quelli che non c'entrano niente. Nel 1964, allo spareggio con l'Inter per lo Scudetto, cercarono di togliere di mezzo il Bologna inquinando le provette dell'antidoping. Un pizzico di qualcosa nei depositi dei calciatori e via, questa squadra, figlia di una città troppo diversa sarebbe sparita. Sarebbero rimasti i forti di sempre, delle città dei poteri e del denaro.
C'è stato, in questi giorni qualcosa di simile, a ben vedere. “La città va punita, lasciata senza un governo che lei abbia eletto”. Se serve, invece, la si può usare come merce di scambio. Come con le figurine, due mediani di Arcore in cambio di una "Due torri", più rara.
Insomma l’inverno della Repubblica si è fatto di nuovo più evidente, preoccupante. E’ richiesto più impegno, anche se non sappiamo bene in quale direzione.
E' tornata la neve. Manifestazioni contrapposte. Un paese sbandato. A Bologna ancora è presto per la Primavera.

Il Bologna, Quotidiano E Polis

domenica 4 ottobre 2009

Risse fra bande giovanili.Il segno di nuove povertà.

Segnali di fumo
Di Davide Ferrari


“Devi morire”, così ha detto, en passant, qualche giorno fa un giovane delle forze dell’ordine, a Bologna, ad un coetaneo Rom, trattenuto per brevi accertamenti, a pochi passi dal Nettuno . Documenti a posto, tutto OK, niente di segnalato. Probabilmente un’aria un po’ sfrontata, più o meno simpatica. Questo il Rom, che, come spesso loro accade alternava un’espressione troppo orgogliosa, per dir così, ad una smorfia di supplica lamentosa. Come quando chiedono l’elemosina. Manca loro la normalità. E come potrebbe esserci? Senza casa, senza lavoro, senza soldi in tasca. Padre in giro, madre in giro, chissà dove, e via per strada.
Ce ne sono molti. La crisi li fa aumentare. Mentre altri lasciano l’Italia, quelli che possono sperare qualcosa, chi ha meno, anzi chi non ha proprio niente, resta ed anzi, spesso, arriva.
E vive a rischio. Li ritroviamo, ragazzi così, nelle risse furibonde di cui ci parlano le cronache cittadine. Scontri fra ballotte etniche, per donne o per insulti. Non sono novità. Mio padre si ricorda ancora di quando bastava poco ad accendere le micce, sul tram numero 6 da S.Ruffillo a Bologna, allora erano due cose diverse.
E molti sanno delle guerre a legnate e “cartoni”, per le Madonna dei borghi, fra S.Pietro ed il Pratello, di cui cantava Quinto Ferrari.
Eravamo poveri. la povertà non ha solo l’odore casto di cui ci parlava un grande poeta. No. Ha anche il tanfo della violenza, dell’intolleranza a tutto, anche a se stessi.
Dietro alle risse di questi tempi non c’è la “noia” dei giovani, ma l’incidere della nuova povertà.
D’altra parte anche i giovani “nostri” non sembrano immuni dal degrado. Non vorrei esagerare ma l’onda inarrestabile delle bottiglie di birra, il ronzare degli spacciatori attorno ad ogni meeting, anche il più informale, i rave che si concludono con botte da orbi, mi pare siano tutti grani dello stesso rosario.
Insomma fra gli etnici ci sono anche gli italiani, o almeno sembra.
La repressione si è organizzata. Ed è solo un bene, ma frasi come quel “devi morire”, e altre, non solo sono in accettabili non mi paiono certo indicative di una risposta efficace.
In Spagna un buon governo incentiva, con un bonus di rientro, i ritorni in patria di chi non ha speranza di cavarsela .
Figuratevi che ne direbbero qui a casa nostra. Invece una cosa così servirebbe anche qui, agli usufruttuari ed a noi.
E poi ci vorrebbe un grande investimento per i centri giovanili,dagli oratori delle parrocchie a quelli pubblici.
Ma non ci sono scorciatoie. Se stiamo diventando sempre più come eravamo quando si stava peggio, molto peggio, bisogna rimettere in moto sviluppo e giustizia sociale.
Città dove, appena nati, molti capiscono che sono in un ghetto dal quale non usciranno più, società dove, sotto i trent’anni, ad essere ottimisti, si lavora il doppio, per la metà dei soldi e senza diritti, è difficile non si ritrovino a contare le teste rotte ogni Domenica.
Sì, dietro le tante risse , a guardar bene, a tirare il filo del ragionamento, viene fuori tutto questo. Meglio non schivare il problema se non vorremo dover imparare a schivare le bottigliate.

venerdì 31 luglio 2009

Segnali di fumo

di Davide Ferrari




Arriva la suina kamikaze.

Cominciamo a preoccurparci. La suina non è come l'aviaria che, fino ad ora, ha fatto startunire solo i cormorani.

No, stavolta arriva. Nata in Messico, forse, ha varcato oceani e frontiere. L'Inghilterra sembra quella più presa di mira. Anche Cherie Blair la sta affrontando. Basta aspettare e forse colpirà anche il Principe Carlo. Un bel guaio, se si pensa che sta inseguendo l'immortalità della madre per diventare Re. E' pericolosa? Sembra di sì. Anzi se nelle passate ondate di allarme si è esagerato, oggi abbiamo la sensazione che non ci dicano tutto.

Per esempio: la mascherina serve? E lavarsi le mani frequentemente con l'amuchina? E usare le chewing gum disiffentanti anti-alito, è vero che fa barriera?

L'Italia è in prima fila nella battaglia contro il virus. Il governo ha già deciso una vaccinazione in due turni, elencando scrupolosamente chi dovrà andare nel primo turno: malati, a rischio, donne in cinta e postini Mentre nel secondo, con attesa più lunga, sanissimi, tuffatori e pompieri. E tutto questo quando ancora il vaccino non c'è e non si sa quando ci sarà. Un po' come ingaggiare una guerra preventiva, ma senza fucili. Uno sport di antica tradizione, in Italia.

Un illustre clinico italiano ha annunciato che il virus attuale è il gemello della spagnola e quindi chi ha avuto la terribile polmonite prima del 1918 può stare tranquillo, è immune. Potrà festeggiare i centoventi anni in un ospizio oltremanica, oppure se coniugato, celebrare le nozze di Uranio (scattano dopo 80 anni di matrimonio) mangiando carne di porco, senza lavarsi le mani. Un barista, alla stazione, mi ha confessato di averla già avuta, complici i tanti turisti inglesi. Lui, dice, ha sempre performances altissime, invece per dieci giorni tutto un indolere. "Ma- mi insinua- questa febbre l'ha costruita Osama, per mettere in ginocchio Obama. Se è così i maialotti messicani sono stati dei kamikaze.

Io non mi preoccupo. Al bar mi siedo sempre fuori, lontano dal contatto degli altri. E li scruto per capire chi è il contagiato. Certo gli sguardi intensi sono a rischio. Ho già conquistato due britanniche del '21 e un 'americana del '19. Peccato però per quest'ultima. Se era solo un poco più matura poteva essere immune e la nostra storia poteva volare libera. E' proprio vero che la felicità non è di questo mondo.








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Segnali di fumo

di Davide Ferrari




Anche Grillo.




Grillo a Bologna ha molti proseliti. Lo ha sancito il voto per il Comune. Il buon successo della sua lista locale ha frenato anche Di Pietro, che qui vivacchia, non trionfa.

E non finisce qui. Il tentativo di Grillo di candidarsi alle Primarie del PD, dopo Bersani, Franceschini e Marino, qui ha avuto un'eco ancora maggiore.

Già le nuove Primarie. Ancora primarie. Da quando non si riesce a vincere le secondarie, cioè quelle vere, è tutto un affaccendarsi di sfide per la leadership, tutto un appellarsi all’elettorato. Tutta una Primaria, insomma. Certo se Grillo voleva partecipare, provocando-suvvia questa è la parola giusta, anche se tanto vecchia- vuol dire che fanno gola le centinaia di migliaia di persone che, in ogni modo, saranno coinvolte. E cio’ fa onore al PD, il partito che le coinvolge, per quanto acciaccato.

Ma nessuno sembra riflettere oltre il proprio interesse. I leader, forse, e certamente gli outsider acquistano visibilità, ma l’immagine e la sostanza del partito si faranno più solidi, attraenti, credibili? Quando si presentò Prodi, ed anche alla fondazione del PD, con Veltroni, le Primarie non risolvettero i problemi ma furono comunque una cosa buona e utile. Diedero forza, sollecitarono altro impegno, non solo un voto. Oggi non so dire se saranno un bene.

In una situazione difficile nella vita quotidiana delle persone, crisi nelle tasche e lontananza nei cuori, sembra rischioso ripetere troppe volte la chiamata alle urne del popolo di centrosinistra senza aver fatto passi in avanti sulla linea politica.

Lo scontro per la Segreteria, impostato così, senza un dibattito chiarificatore, sarà di aiuto, un indice di maturità, oppure segnerà un altro ravvoltolarsi all’interno, una sorta di gigantesca prova di incomunicabilità con l’Italia proprio mentre si comunica ai tanti che sono già propri ?

Mentre restiamo nel dubbio (e chi lo risolve?) “Anch’io voglio candidarmi” mi dichiara un amico del bar. Camicia a fiori e saldali ai piedi, fin dall’inizio di Maggio, età attempata ma parola forte; quasi gridata. “Ma io voglio essere eletto portinaio della sede nazionale. Secondo me , in guardiola, lì, non c’è più nessuno. La porta è sempre aperta e nessuno ti chiede niente. E’ così. Se no come è sgattaiolata dentro la Binetti? E Pannella che l’hanno riacciuffato che era già al terzo piano?” Figurarsi del Grillo, che mi dirà. “Lui di là, noi di qua. Altro che portineria, il muro di Gaza ci vorrebbe”.

Articoli pubblicati nel mese di Luglio 2009 da "Ilbologna", quotidiano Epolis.

Estate divisa

Ero bambino. Anni '60. Vite d' Estate, in Adriatico. Vite separate, profondamente. I ricchi nelle ville retrolungomare. Quelli che Fortebraccio chiamava: "Le famiglie antepateche".I benestanti in lunga villeggiatura, tempi e luoghi graduati secondo il censo. Divisi anche gli altri.Quelli in crescita affittavano le loro case appena costruite per pagare i mutui, ritirandosi nei seminterrati o nelle mansarde. Poi venivano i dannati: nugoli di bambini, anche in Agosto lavoro e ritmi uguali a quelli di ogni giorno. Solo la Domenica avvicinava. Arrivavano in spiaggia quasi tutti. I "poveri" si stendevano senza pagare l'ombrellone nell'ultimo lembo libero, quasi nel bagnasciuga. Le loro donne indossavano biancheria truccata da costumi. Gli uomini tenevano i pantaloni lunghi, anche sulla rena, riavvoltolati sotto il ginocchio. Alla sera tutti via. Rossi come più potevano.
Poi sono arrivati gli anni dell'eguaglianza a portata di mano. Almeno apparentemente. I consumi crescevano nonostante le crisi petrolifere, le contestazioni generali portavano libertà, non credete a chi oggi dice il contrario. I poveri erano di meno e comunque sembrava tutto più in parità, almeno ad un giovane come me.
Si sa, dopo poco :"Alta si levò la sconfitta", come scrisse Ingrao in una poesia In altre parole, anno dopo anno, le distanze, almeno dalla fine degli anni '80, sono riprese a crescere, le differenze sociali sono tornate ad essere il metro di misura. Le libertà si sono tramutate in licenze, talvolta anche in violenza. E in questi oggi, i passaggi continui dei vu cumprà stagionali, inseguiti dai poliziotti, i disoccupati allo struscio e i bollettini di guerra della cassa integrazione e delle mobilità, anche a Bologna, rendono il tempo precario, anche nel riposo.
Sappiamo che la nostra Estate, proprio la nostra, non sarà condivisa. Ci sarà insidiata, se siamo in difficoltà, o invidiata, se siamo fra i meglio messi.
Non è solo un ritorno all'antico. Sembra un tempo nuovo, di poche attese, di tante cose che vorremmo dire ma temiamo siano inattuali. Dentro le riteniamo. E pesano.


"Il Bologna",31 Luglio 2009

giovedì 9 luglio 2009

Giovedì 9 Luglio 2009, h 18-20

FORMARE PER RIFORMARE
Federalismo e creazione di una nuova classe dirigente
Il ruolo della formazione nella Pubblica Amministrazione



Interverranno
Giovanni Sedioli, Assessore Regione Emilia-Romagna
Paolo Rebaudengo, già Assessore Provincia di Bologna

Sono stati invitati:
Walter Anello, Dirigente Ricerca della SSPAL Naz.
Augusto Barbera, Università di Bologna
Luca Mezzetti, Università di Bologna
Ida Nicotra, Università di Catania
Franco Frabboni, Università di Bologna
Presiede Davide Ferrari

in occasione della pubblicazione del volume omonimo
di Ida Nicotra e Paolo Zocchi
Donzelli Editore
Collana Autonomie
a cura di SSPAL

*Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione Locale
Sede interregionale di Bologna,
Palazzo della Formazione,
via Bigari 3, T. 051 353731

mercoledì 24 giugno 2009

Berlinguer25.

Casadeipensieri e Festa dell'Unità di Reno

promuovono

Mercoledì 24 Giugno, alle ore 21



Berlinguer25anni
La politica e la cultura, ieri ed oggi
Riascoltando Enrico Berlinguer


Dialogo con

Giorgio Celli
Giancarla Codrignani
Maurizio Degli Esposti
Davide Ferrari


con un intervento di saluto di Vincenzo Naldi
Presidente del Quartiere Reno

Presiede Massimo Meliconi

Festa dell'Unità nel Parco di via De Carolis

lunedì 1 giugno 2009

Io c'ero

Parte. Parte, anzi no. Se parte applaudiamo. Se il ritardo si allunga, sospiriamo. O facciamo finta di ridere.
E' la prima notte, sui treni, dopo il rifacimento del sistema informatico di Bologna. E' mezzanotte, fra una domenica e un lunedì, qualche giorno fa.
I dannati sono quelli dei convogli a lunga, o lunghissima percorrenza. Già a Gioia Tauro i siciliani avevano mezz’ora di ritardo, a Bologna arrivano con un' 'oretta. E' il solito. Ma questa volta, nella vecchia stazione della nostra città, illuminati dai display giallaranci nuovissimi, sulle banchine di sempre, color lava sporca, la fermata è biblica. Cento minuti, poi centocinquanta, poi centottanta. C'è anche lo spiritoso che fotografa con la digitale ogni record di ritardo. Dovrà aggiornarsi più volte. Quelli come me non hanno poi un grande disagio. Un viaggetto random verso Ferrara permette di scegliere fra tutte le tradotte abbandonate da ore quella che promette di partire prima. Saltano le differenze sociali fra regionali ed Eurostar. Con un biglietto locale, per una volta, ci si sposta, invece che sui sudici per pendolari, nell'aria condizionata, un po' rantolante, degli Euronotte.
Si allentano anche i razzismi. Le famiglie africane tentano di mimare lo sconcerto platealizzato degli italiani. I piccolissimi dormono, i bimbi più grandi sperano che il ritardo cresca tanto da garantire l’assenza da scuola l’indomani. Sperano, e fanno un po’ di casino. I ferrovieri girano gentili e professionali, con un’aria seria e pensosa. Non faranno come il Tognazzi di “Amici miei” ?. Se qualcuno chiede di una partenza rispondono frettolosi in un gramlo’ che cerca di sembrare preoccupato e partecipe.
Vale la pena? Ci hanno informato per settimane che l’impianto delle nuove tecnologie sarà un fatto storico, e , mentre la notte cammina, fermi e ancora fermi, passiamo alla storia. Potremo dire: “io c’ero”. Tutto bene, in fondo. Però: perchè il numero verde , il pomeriggio, ha detto a tutti che il peggio era passato, che tutto sarebbe tornato normale in un battere d’occhio? Già, perchè? Perchè non contiamo niente. Un tempo essere massa faceva sentire forti. Forse pareva così perchè eravamo giovani. Oggi intruppati in un quotidiano che proprio non va, fa pensare che a noi, massa un po’ alla deriva, potrebbero portarci dappertutto, a fare qualunque cosa. Anche una guerra, chissà.

"Segnali di fumo"
Quotidiano "IlBologna", Epolis

venerdì 29 maggio 2009

UNA SCUOLA PUBBLICA CAPACE DI FUTURO

FESTA UNITA' Savena
Bologna, via Due Madonne,
Quartiere Savena

Venerdi' 29 maggio 2009 ore 20.45
PER UNA SCUOLA PUBBLICA CAPACE DI FUTURO

Introduce
Marilena Pillati, Universita' di Bologna,
candidata in Consiglio Comunale

Intervengono
Giovanni Sedioli
Assessore Regione Emilia-R. Scuola Formazione

On. Manuela Ghizzoni
Capogruppo PD nella Comm. Istruzione Camera

Davide Ferrari
presidente Forum delle Scuole

martedì 19 maggio 2009

Scuole. Cosa può fare Bologna.

Martedi' 19 maggio, ore 20,30
Circo Arci Benassi
Viale Cavina 4

"Una città per crescere. Cosa fa, cosa può fare Bologna per le scuole"
Incontro con Marilena Pillati, candidata per il Consiglio comunale.
Intervengono Davide Ferrari ed Antonio Lo Vallo

www.marilenapillati.blogspot.com

Crevalcore e altro. Vittime senza giustizia

Crevalcore. Solo un punto sulla linea ferroviaria. Il 7 gennaio del 2005, lungo la linea Verona-Bologna, un incidente costò la vita a 17 persone. Chi è morto lì è senza giustizia. L’errore fu solo del macchinista. Così dice il tribunale. L’unico colpevole è morto quel giorno. Il contesto, le omissioni, i mancati avvisi che quel pover’uomo non ricevette non contano. Non conosco i particolari, e non auspico forche per nessuno. Ma, certo, la recente sentenza è stata vissuta dai familiari delle vittime come una giustizia sottratta, una dignità sottratta, in ultima analisi un’ umanità sottratta. Non si creda che il nostro sia un paese clemente. Per le vittime non c’è scampo. I figli dei 17 morti di quei treni non hanno diritto di parola. E, chissà perchè,vengono in mente, in fila, altri fatti, altri nodi alla gola. Siamo un paese dove l’erede Savoia, ballando ballando, arriva alla candidatura europea, mentre i parenti dei trucidati di Marzabotto non hanno risarcimenti. Guerre lontane , si dirà. Guardiamo anche ad altre più vicine, allora. Il terrorismo è davvero esistito? Non lo sappiamo più. Non lo dobbiamo ricordare. E c’è chi non trova di meglio che dare libertà, o suppergiù, a Fioravanti e Mambro, gente che avrebbe tanti ergastoli da scontare quante sono le perle di un rosario. Le colpe dei padri si estinguono, quelle dei figli sono una curiosità. La morale non vale più di qualche parola di circostanza. Anche nelle minime cose. Moggi è quasi un eroe, Corona è in crescita, si prepara un film su Vanna Marchi. E Bossi vuole eleggere i magistrati, così ci si cava tutto il dente e non ci si pensa più. Insomma, la vita della gente, quella che subisce, conta poco. Poco contiamo. Ci resta solo il gusto di scoprire qualcuno che subisca più di noi. Speriamo in un cazzotto di un rondista, nello sperone di una motovedetta. Per sorriderne al bar e mandar giu’.

"Segnali di fumo"
rubrica di D.F. su "Ilbologna", quotidiano Epolis

Parliamo di Lei

Parliamo di Lei. Parlando d’altro. Veronica Lario è nata a Bologna. Il suo vero nome è tipicamente bolognese: Miriam Raffaella Bartolini.

Come la mitica Silvia, la sconfitta del ’99. Curioso.

Il settimanale “Chi”, credendo probabilmente di denigrarla ha pubblicato vecchie foto dei primi anni ’80. In realtà il contenuto pornografico di quegli scatti è oggi, nel 2009, pari a quello che si può trovare in una striscia di fumetti per la primissima infanzia.

A me è venuta invece un po’ di commozione, nel guardarle.

Sento gli anni, molto, in una stagione di incertezze che non terminano, di paure e di pioggia. Vedere gli abiti della ragazza Miriam, ricordarli addosso ad altre che ho amato o anche solo ammirato è stato tutt’uno.

Ha infatti poco più dei miei anni, è del ’56, la Signora di oggi. Gli anni della sua giovinezza sono stati gli stessi della mia. Io leggevo e facevo “militanza”. Consumavo i libri della Nanni e correvo da un corteo ad un altro. Lei, pare, ha provato a studiare recitazione, all’Antoniano, come tanti giovani bolognesi aspiranti attori. Non so se fosse portata, o addirittura brava. Qualche anno dopo Lina Wertmuller che l’ha diretta affermò di sì. Come giurarci, però? Torniamo alla giovinezza. Io vicino all’Antoniano abitavo ed era la mia parrocchia. Sapevo dell’Acccademia e molte volte ho incontrato i ragazzi che ne uscivano. Forse c’erà anche Lei. Avrà indossato maglioni multicolori e striscie di lana come la Melato in “Mimì metallurgico”, e come Paola, la ragazza con cui uscivo io.

Era libera come lei? Sentiva la sconfitta arrivare per quella libertà? Forse il suo matrimonio, la ricchezza infinita, i soldi fissati nella roba, nel lusso ridondante di un reggia senza storia, hanno posticipato, quasi di una intera vita, quella sconfitta. Molte donne e con loro tutta la mia generazione l’ha incontrata molto prima. Forse però la sua ribellione non è solo orgoglio. E’ che, chi in quegli anni è vissuto, non riesce a scordare: sì, eravamo liberi. La libertà abbiamo conosciuta. E ancora ci accorgiamo quando scivola via.

Da "Segnali di fumo"
rubrica di D.F. su "Ilbologna", quotidiano Epolis

lunedì 18 maggio 2009

Davide in Comune. Il Ministero e gli organici delle scuole.

“Comunicazione del Ministero alle scuole bolognesi circa gli organici del prossimo anno scolastico”.

INTERVENTO DI INIZIO SEDUTA NEL CONSIGLIO COMUNALE DI BOLOGNA

Consigliere FERRARI.

Gentile Presidente, cari colleghi, abbiamo ricevuto - credo molti di noi e voglio ringraziare chi si prende l’incarico, l’impegno di svolgere questa funzione anche informativa - una serie di lettere che stanno giungendo in questi giorni all’autorità scolastica provinciale, regionale, in merito alla situazione davvero grave che gli istituti a Bologna come altrove, ma molto è penalizzata la nostra città, vivono dopo che è stata resa noto – peraltro con ritardo - il quadro dell’organico di diritto per il prossimo anno scolastico. Purtroppo molti di noi, chi ha seguito le vicende della scuola anche sono in questi mesi lo sa, possiamo ricordare con amarezza i tanti interventi, tanti, tanti interventi che ironizzavano sul catastrofismo del movimento dei genitori, per esempio, che si affannavano a dire che le cose importanti erano il grembiule o le matite, quando invece siamo di fronte – già lo eravamo dalla finanziaria Tremonti - alla più gigantesca operazione di taglio degli organici del principale servizio sociale ed educativo del nostro Paese. Oggi abbiamo, dopo la beffa della richiesta di scegliere pur sapendo che i numeri per concedere le classi di tempo pieno non ci sarebbero mai stati, non solo tempo pieno non concesso in almeno dieci istituti della nostra città ma abbiamo ancora di più, abbiamo il tempo normale che non si riesce a svolgere senza rastrellare docenze specifiche o compresenze in modo da cercare di salvare il salvabile. La mia solidarietà va agli insegnanti che si impegneranno, va ai direttori didattici, ai dirigenti scolastici ma certo la sfida è grossa, se ne sono accorti gli amministratori dei nostri Comuni che hanno un calendario fitto d’iniziative per la loro vertenza a scuola, forse ancora però il mondo politico e istituzionale non ha fatto sentire in maniera pervasiva la sua voce. Anche in questa campagna elettorale vedo troppe assenze soprattutto dalla parte con cui io mi confronto, non con la mia parte certamente, bisogna però tutti fare di più. Quando io vedo colleghi, permetterà il Consigliere Carella che ho di fronte, cito lui, così attenti e giustamente attenti - l’abbiamo sentito anche negli interventi di poco fa - a ogni piega della condizione di sicurezza e di vita urbana anche qualora riguardasse piccoli gruppi cittadini, ed è bene esserlo, sappiate che come queste lettere dimostrano ci sono interi comitati di genitori, interi collegi dei docenti che hanno messo nero su bianco l’impossibilità a svolgere in condizioni normali la vita scolastica. Se si rappresenta una comunità, al dì là della parte politica, bisogna interessarsene, bisogna far sentire una voce, bisogna accompagnare a Roma e davanti alle sedi proposte le delegazioni che in questi mesi abbiamo visto tante volte così numerose e che ancora si produrranno nel prossimo futuro. Bisogna esserci a prescindere, ognuno con la sua identità, dall’appartenenza politica perché la scuola è troppo seria per affrontarne i problemi o non affrontarne a seconda della convenienza. Grazie signor Presidente.

martedì 28 aprile 2009

"Un padre in prestito"


Presentazione del romanzo:
"Un padre in prestito"

di Fosca Andraghetti

Nel pomeriggio di martedì 28 aprile 2009, presso la bellissima Sala Conferenze del Baraccano nel Quartiere Santo Stefano di Bologna, è stato presentato il romanzo Un padre in prestito (Edizioni del Leone, 2009) della scrittrice Fosca Andraghetti. Ne hanno parlato con l’autrice Davide Ferrari, Giuseppina Rossitto e Giulia Motola di fronte ad un pubblico particolarmente numeroso e attento.

La presentazione di questo volume rientra in un progetto più ampio che mira a fare conoscere scrittori, poeti, fotografi e musicisti, ha ricordato Giuseppina Rossitto, Presidente della Associazione “Lo Specchio di Alice – Associazione Culturale Affiliata alla Università Primo Levi” e curatrice del progetto, che ha poi ha proseguito introducendo l’autrice, Fosca Andraghetti che inizia con una breve carrellata sul suo percorso letterario. Accanita lettrice, e anche scrittrice, fin da bambina; proverbiali sono rimaste le sue incursioni tra i pochi libri di suo padre letti e riletti fino a consumarli, ai quali si aggiungevano quelli della magra biblioteca scolastica e altri dei maestri. Con ironia, racconta le “sue avventure letterarie”, una scuola che non era quella suggerita dai suoi insegnanti, l’amore per i classici russi, i romanzieri inglesi, gli scrittori americani senza trascurare i grandi autori italiani. Infine, negli anni sessanta, la scoperta di Brunella Gasperini divenuta poi la sua autrice preferita. Poi i racconti pubblicati negli anni 70/80 su una rivista edita dalla Rizzoli, i corsi di scrittura, altri concorsi con esiti anche importanti, le prime pubblicazioni di poesie e di narrativa fino al fortunato incontro con le Edizioni del Leone: “un primo romanzo“ Quello che ancora non sai, pubblicato due anni fa, e Un padre in prestito, il libro di cui si parlerà oggi. E’ una storia che mi ha coinvolto molto, perché entro nei miei personaggi, li amo quasi come fossero creature vere, anzi, a volte li uso per ribellarmi o per riscattarmi da tante piccole contrarietà quotidiane dalle quali non mi so difendere...”.

Fosca Andraghetti parla dei personaggi del romanzo, dei loro caratteri, dei rapporti interpersonali, della famiglia e dei suoi silenzi più o meno motivati. E ancora dei bambini che qui compaiono, del loro affacciarsi alla vita, degli approcci con gli adulti. Sguardi perplessi, curiosi, incerti e reazioni emotive forti con diverse capacità di reagire alle situazioni che, in qualche misura, seminano disorientamento nelle loro vite. Una storia che si snoda attraverso una narrazione veloce e asciutta, ricca di episodi a volte divertenti e pieni di ironia. Conclude poi citando un paragrafo tratto dalla introduzione del volume: “Poi arrivano la frantumazione e molteplici nuove realtà, quelle che possono riguardare il quotidiano di ognuno di noi, ma l’autrice, soffiandoci dentro il suo stile di forte tensione narrativa e animandola con la sua capacità di analisi psicologica del profondo, la trasforma in una serrata vicenda ricca di suggestioni e di atmosfere, dove i personaggi si muovono da una città all’altra con la loro fatica di vivere, con le loro storie difficili che si intrecciano, si spezzano e si riannodano.”

Dopo la lettura delle prime pagine del libro, prende la parola Davide Ferrari portando il discorso sulla scrittura femminile. “…spesso i temi di vita sono trattati come un valore in sé, con grande attenzione cogliendo ogni aspetto e, quindi, anche come un qualcosa che permette di fondare un racconto senza che necessariamente ci sia un rimando ad altre verità più generali, oppure vi siano metafore che illustrino sul piccolo, sul particolare, sul quotidiano della concezione del mondo della vita.” Ferrari ritiene che “il quotidiano sia già sufficientemente ampio per essere fonte di una narrazione estesa come quella di questo romanzo, ma esiste una caratteristica specifica che non consente di creare un genere sulla base della sessualità dell’autore/autrice, però, non casualmente, può rimandare a tante altre scritture consimili.” Una rivelazione importante questo perché la sequela della narrazione porta il lettore uomo a riflettere anche sulla vita propria, sulle proprie relazioni familiari che deve integrare in una vita che si svolge altrove. Ferrari continua entrando nel merito del libro, della storia che lo ha appassionato, dal padre che è il centro del titolo, dei pensieri e anche delle liti per queste protagoniste femminili. Un accostamento a Umberto Saba che, abbandonato dal padre, era vissuto con la madre e con la nutrice; causa o concausa, questo, della sua nevrosi e di una sensibilità fragilissima ma anche disincantata; due elementi che ha ritrovati nel racconto che Saba fa, in parte in poesia e in parte come una nota di diario, dell’incontro con il padre già in età adulta. Quello che si ripresenta è un padre sbandato, che ha mandato una carriera a rotoli, ma forse si umilia e contemporaneamente condanna ogni possibile riconquista di ruoli chiedendo soldi, un aiuto concreto. Senza dare giudizi, si può vedere il quadro così come lo si vede nel racconto di Fosca Andraghetti. Bellissima è la reazione che ha nella sua scrittura: una condanna a una separazione, a una scelta del tutto irriducibile che non si può recuperare in alcun modo.

“Io penso che la lettura di un libro come questo, Un padre in prestito consente proprio di poter riandare a noi e agli altri di cui qualcosa magari sappiamo, perché è proprio come una pista fatta di tante situazioni familiari di questo quotidiano che, da solo, ci permette di ripensare tutto il senso di un nostro esistere senza per forza dover trarre da una lezione pregressa. Mia mamma era una grande lettrice di riviste femminili, quelle però degli anni 60; contenevano un inserto letterario con qualche nome famigliare come Natalia Ginzburg, Brunella Gasperini e altre. Allora trovavo difficilissimo seguire queste trame con questi nomi. Poi ho pensato, negli anni, al fatto che, da questo tipo di letteratura se valida, si prendono delle cose utili alla bisogna per capire una situazione, per ricordarsi una parola, ed altro. Ecco allora che questo universo di letteratura popolare, ma d’alto contenuto, è un grande aiuto dato alla situazione culturale di una paese, di una generazione. La letteratura femminile è questo: non sempre o quasi sempre c’è un grande valore. Noi dobbiamo molto alla letteratura, al valore del racconto femminile, vera storia di familiarità.”

Davide Ferrari conclude così il suo intervento e la parola passa a Giulia Motola che esordisce con un commento sui temi trattati nel libro: temi importanti come la famiglia, le relazioni che ci sono all’interno della stessa, di queste cose che vengono taciute e, proprio per questo, possono poi creare delle fratture che si protraggono nel tempo e difficili da rimarginare. “Riguardo a questi argomenti – dice Giulia Motola – emerge, all’interno del libro, una dimensione familiare vissuta molto anche dagli uomini e mai in una forma secondaria. Infatti, uno dei due fondamenti di questa famiglia, Giorgio, il padre prestato, è una bella figura per la funzione di protettore e di garanzia, fulcro nell’ambito della famiglia… sua moglie Rita è colei che dà rassicurazione ed ha un ruolo di accoglienza."

Prosegue parlando dei personaggi e di come si muovono all’interno del libro. “Una struttura su diversi piani perché, all’interno di questo testo, abbiamo la relazione dal quale parte e i flash back attraverso i quali si ricostruisce la relazione di personaggi principali. Il tutto con un grosso lavoro di equilibri e un gioco di temi non facile per l’autrice.” Sulla caratterizzazione dei personaggi rileva che il loro aspetto fisico non è immediatamente rappresentato completamente, ma si diluisce nel tempo creando così delle aspettative per il lettore che può, in questo modo, fare le sue considerazioni. Altra cosa interessante sono le anticipazioni, piccoli accenni a un qualche cosa che potrebbe accadere creando anche qui una attesa, una curiosità nel lettore spingendolo a proseguire nella lettura. Quindi flash back, anticipazioni, caratterizzazione dei personaggi diluita nello spazio e nel tempo di narrazione. Parla poi della protagonista del libro, Mirka, la bambina che non conosce il suo vero padre e che si muove all’interno del suo nucleo famigliare. Ci sono altri personaggi nel libro, ad esempio nonni di Rita, personaggi che sono dei cammei, con le loro presenze saltuarie. C’è questo nonno che, pur nella sua bruschezza nel definire Delinquente il maturo professore che abbandona Rita, non lascia sola sua figlia e ne accetta la maternità illegittima, fa in modo che sua figlia abbia una famiglia e che non si senta mai sola. “Anche questa volta, c’è un uomo che ha una funzione protettiva, una funzione che ricorda gli alberi. Ricorda l’olmo, l’albero che Giorgio ha poi piantato per Mirka verso la quale ha una specie di predilezione rispetto a Margherita, la figlia carnale. Gesto simbolico quello di piantare un albero. Un olmo. Mirka sa di non avere un padre, e le viene sempre rinfacciato quello in prestito. In una pagina viene definita molto bene questa situazione che inizia: Di sicuro il fatto di non avere un padre l’aveva molto condizionata…”

Sarà Rita, la madre, a spiegarle di questo padre naturale che non è lì, e la rassicura anche dicendole “Tu hai tutti noi”. In realtà questo aspetto dell’esserci della famiglia la porta, forse, ad una sorta di riconciliazione con la figura del padre biologico cioè quello dell’immaginario. Se un padre non c’è, è una ferita che non si richiude, ma Mirka è stata fortunata perché ha avuto sempre questo “padre in prestito”, Giorgio, pur con la sofferenza latente per questo padre naturale che non l’ha mai accettata. Una ulteriore considerazione sul riflettere delle cose, sulle molte situazioni di famiglie non strutturate nella forma tradizionale, le cosiddette famiglie allargate: c’è la speranza che anche in una famiglia allargata ci sia, o si possa creare, una situazione serena con delle relazioni sane.

Giulia Motola chiede all’autrice, che ha dato voce ad una varietà di personaggi, che cosa significa per lei dare voce ai bambini.

“Forse ricordare la mia voce di bambina. – risponde Andraghetti - In Mirka ci sono io bambina, ci sono le mie paure e le mie fragilità, ma anche la mia capacità di farmi compagnia da sola. In Margherita ci sono le mie birichinate, in Alberto c’è la mia voglia di giocare, di rifugiarmi nel gioco e quella di piacere agli adulti per essere accettata. Le voci dei bambini che compaiono in Un padre in prestito, sono quelle dei bambini che ho incontrato e che incontro ancora: le mie nipoti, i figli delle mie amiche… Potrei forse scrivere un libro sui bambini, sui giochi e le favole che inventavo. Magari sarà il prossimo che scriverò!”

Con questa battuta Fosca conclude e prende la parola Giuseppina Rossitto. Poiché ogni lettore è un lettura del libro, oltre alle considerazioni dei relatori che l’hanno preceduta, Rossitto ha rilevato altri aspetti. Innanzi tutto la partenza che è il passaggio dalla scrittura creativa alla scrittura d’autore che, in questo contesto, è ben visibile nella tematica trattata: la famiglia, cioè il racconto di sé che va verso il racconto più largo, anche nel sociale. “Il libro di Fosca non si esaurisce nella famiglia – prosegue Rossitto -, in questo tema principale e centrale del padre in prestito. C’è tutto un contorno, il trasferimento del racconto di sé nel sociale.” Una famiglia nuova, allargata, dove c’è un passaggio generazionale, c’è una gravidanza, quella di Rita, fuori dal matrimonio, che porterà la famiglia a fare delle scelte importantissime. Poi, in un certo senso, la storia si ripete con la separazione di Margherita. C’è di nuovo un bambino che rimarrà solo. Meno sacrifici, tutti intorno a questo bambino. Giorgio e Rita, Mirka stessa costituiscono un punto di riferimento per lui che si ritrova in una famiglia di persone separate. Questi sono i problemi: la famiglia allargata con il divorzio, la separazione, la ricongiunzione… “La contemporaneità così presente in questo libro, la vita di ogni giorno diventa una caratteristica. E’ una capacità ben riuscita il saper trasferire nella narrazione di un contesto sociale molto stretto, quello bolognese, cioè andare nella narrazione e ritrovare le tue strade, la tua collina, i tuoi ristoranti, il tuo fiume, cioè l’ambiente di tutti giorni, un’altra realtà contemporanea. E’ un grosso valore.”

Poi attorno a questa famiglia compare il dramma che si alimenta e si consuma nel tempo, c’è questo strappo fortissimo che coinvolge un po’ tutti.

“Come diceva prima Davide, il rapporto con il padre per una donna è molto importante, ma credo lo sia per chiunque indipendentemente dal sesso perché è il rapporto con le radici, lo è anche con la madre, e quando le radici si perdono, diventa un trauma difficilmente recuperabile.” Un trauma che non è solo in Mirka, ma anche della sorella Margherita con quel continuo rinfacciare alla sorella ti ho prestato mio padre, quel padre che non è tutto suo, ma lo ha dovuto dividere con qualcuno a cui non apparteneva. In questo senso è stato un trauma anche per lei. In un episodio appare chiaramente il dolore di questa donna, apparentemente superficiale, più disinvolta come carattere, ma anche lei con delle mancanze fortissime. Due personaggi con tutte le problematiche presenti nella società di oggi.

“In questo trauma c’è una espressione molto poetica ed è quando Mirka, alla fine del suo percorso, si rifugia sotto l’olmo che Giorgio ha piantato per lei e fa attorno a sé un cerchio di foglie, una fragilità incredibile perché basta un soffio di vento a spostare le foglie, ma racchiude il suo universo. Poi chiama Giorgio. Ecco, è questa è l’immagine poetica che non è l’unica. Ricordiamoci che Fosca è anche poetessa; non è né determinante né prevalente questo aspetto del libro, ma alcuni tratti hanno proprio del poetico.

L’altro tema di grande attualità che Fosca affronta è il lavoro, il rapporto con il lavoro che, qui, ha delle caratteristiche particolari: i nostri personaggi, prevalentemente femminili come Mirka e Margherita, arrivano al lavoro con il percorso della raccomandazione. Come del resto succede anche al marito di Margherita che lavora nella azienda di Giorgio, cioè del suocero. Un ambiente con una protezione eccessiva. Il percorso privilegiato di Mirka però si interrompe con il mobbing, altro tentativo di Fosca di trattare una problematica attuale nel mondo del lavoro. Mirka dovrebbe fare delle scelte adeguate al suo carattere forte, ma ancora una volta trova la protezione del nuovo Presidente che si trasforma in un storia affettiva. Non sono personaggi scontati.”

G. Rossitto rileva inoltre il rapporto dell’autrice con i bambini, del suo ruolo con gli stessi. “Fosca – dice - si è immedesimata in questi bambini, poi ha detto tante cose di sé e dei vari personaggi, il ruolo della nonna, della amica. Ma non ha parlato del ruolo di una madre che non è una dimenticanza, ma una cosa voluta perché significa che si riconosce di più negli altri ruoli che non in quello della madre. Ecco in questo personaggio l’autore non è riuscito, (o non ha ritenuto) di calarsi sino in fondo.” [In effetti è una scelta dell’autrice: Mirka sa che sua madre è presente, come lo sa Margherita. Quindi non è lei che si contendono, ma il padre biologico solo per una di loro n.d.a].

Riguardo alla costruzione del libro, secondo Rossitto le prime centro pagine si somigliano molto e si somigliano molto le seconde cento pagine. Ricorda che l’autrice ha parlato di un vecchio romanzo, scritto dieci anni prima, che ha rielaborato aggiungendo diverse parti nuove. “… si nota molto lo stacco di una narrazione che passa dal 98 ad oggi. Nella seconda parte del libro si muove molto di più, c’è una narrazione più veloce, ci si muove di più nell’ambientazione, ci si muove molto di più anche con i personaggi anche non di rilievo, ma che fanno del racconto un percorso dinamico e denota una maturità dello scrivere.”

[L’autrice ha preso spunto da un suo vecchio romanzo inedito, riscritto completamento e con l’aggiunta di nuovi personaggi come, appunto Margherita e Giorgio, che compaiono già nelle prime pagine. L’autrice ha costruito un percorso logico: da una tranquilla quotidianità, quindi un tempo di narrazione lento, si passa ad un insieme di avvenimenti che scorrono sempre più velocemente quindi anche il tempo di narrazione diventa più incalzante. [n.d.a]

“Il tipo di narrazione mi ha dato l’impressione di una narrazione da sceneggiatura di soap opera, non lo dico in senso negativo, ma mi riferivo anche al cinema, parlavo della realtà trasferita nelle immagini cinematografiche o televisive. C’è l’uso dei particolari, dalla ambientazione molto ferma, perché molte ambientazioni sono al chiuso, dentro la famiglia rappresentata con immagini. Fosca ha parlato dei suo percorso iniziale: il racconto popolare, il racconto sui settimanali, lei stessa ha scritto sui settimanali in epoche precedenti, quindi c’è questo aspetto del racconto popolare con tutte le caratteristiche.”

A conclusione del suo intervento, Rossitto fa un suo commento sulla lunghezza del romanzo che, a suo parere, non deve superare le 150/170 pagine. “Ci deve essere una narrazione più veloce perché ci sono più libri in circolazione che vanno letti. Il narratore non riesce a dire tutto, noi ce ne accorgiamo perché quando lo leggiamo, automaticamente nascono impressioni e punti di vista quindi si creano tanti altri libri quanti sono i lettori, partendo dai diversi spunti.”

Il saluto a Palazzo d'Accursio



Davide Ferrari lascia Palazzo d'Accursio, dopo dieci anni.
A salutarlo,il 27 Aprile, con Salvatore Caronna e Andrea De Maria, una folla di cittadini e di amici, delle istituzioni e del mondo della cultura. Dell'altro schieramento: Enzo Raisi e Daniele Carella.

lunedì 20 aprile 2009

Davide Ferrari, su scuola e politica per la città.

L'intervento di Davide Ferrari alla conferenza programmatica del PD di Bologna, Sala Europa, Palazzo dei Congressi, 20 Aprile 2009. Video.

Si può vedere a:
http://www.ustream.tv/recorded/1411121

martedì 7 aprile 2009

C'è la crisi? Prendo un taxi.

E' notte e un taxi mi porta a casa. Siamo una comunità, noi clienti abituali. Meno ricchi di quel che si potrebbe credere, anzi. Non giovani, un po' impediti. Con la voglia di chiacchierare, come altri dal barbiere. Quante cose si confessano a un taxista! E fa piacere quando la voce al radiotaxi ti riconosce. Meglio di quando ti dicono: "Il solito, dotto' ?" al caffè. Da un po' di tempo le cose non vanno. Le fila dei taxi fermi, in attesa dei clienti, crescono. Ad ogni posteggio. Quasi ad ogni ora. E' la crisi. Fino a un anno fa era il contrario. Quanti sacramenti invocati mentre il radiotaxi non trova auto, e quanto nervoso in fila alla stazione o in Piazza Re Enzo. Ma oggi... "Attendiamo la Fiera del libro", mi diceva speranzoso un autista amico. La Fiera è arrivata ma pochi gli operatori con la licenza di uccidere nelle note a piè di lista.Le imprese hanno il braccetto corto. Non ci sono più gli standisti di una volta. . "Fa paura pensare che presto arriveranno 40 auto in più"incalza il driver. Già, le nuove licenze, onerose e contrattate con la categoria, giustissime in tempi normali, d'un tratto diventano un pericolo.
I taxisti non sono simpatici a tutti.
Qualcuno guida parlando al telefonino con la fidanzata. Altri d'estate ciabattano in sandali.
Però è gente che lavora. E poi sono simpatici. C'è quello che vuole per forza una strada intitolata ala categoria, perchè " c'è via del fonditore" e allora...E quello che vuole mettere i "piedoni" gialli, le impronte incollate sul selciato, per segnare il posto del primo cliente in ogni fila. E come fu ridicola la campagna che li additava come una pericolosa corporazione succhiasangue. Non mi piacciono i populisti che li hanno difesi. Ma certi liberisti, più o meno, che li trattavano come fossero un pericolo pubblico han fatto danni.
Comunque: c'è la crisi? Prendo un taxi. Finchè si può.
E' ancora notte. La pioggia in strada, a Bologna, è un'altra cosa, se si è in taxi. Oh il luccichio. Nel tepore. Accompagnati. Ricordate il Dino Sarti: " Io non fumo , non ci ho vezzi, mi piglio un taxi, mi cavo un caprezzi".

Segnali di fumo.
Rubrica di D.F. su "Ilbologna" quotidiano Epolis.

venerdì 3 aprile 2009

“Amo la scuola”. 2 Aprile 2009. La relazione.

Partito Democratico di Bologna
Forum delle scuole

Convegno programmatico
“Amo la scuola”Bologna, sala della Cappella Farnese, palazzo d’Accursio, 2 Aprile 2009

Relazione introduttiva di Davide Ferrari

Abbiamo assemblato vari contributi che ci sono giunti in questi giorni e che troverete nella carpetta dei materiali. Contributi diversi che sono stati però molto utili per comporre un temario, una traccia di orientamento.
Un brogliaccio di temi che io penso possa essere utile sia ai candidati che sono presenti in sala, e saluto, alla Presidenza, Beatrice Draghetti , ma anche tale da poter aiutare anche le istituzioni, nel prossimo futuro.
L’impegno sarà lungo. Avremo un mandato comunque difficile, che dovrà affrontare il tema più grave del fare più cose con meno risorse. E questa volta, quando si dice “meno risorse” si parla davvero di molte, molte risorse umane e finanziarie disponibili, in meno.
Ecco, questo è lo scopo di questa iniziativa; iniziativa che si svolge in campagna elettorale ma che non ha un taglio elettorale, ha le caratteristiche e l’ambizione di misurarsi su un tempo più lungo. Diceva bene Luciano Russo, non siamo in un tempo normale. Siamo, appunto, in un tempo che viene “tagliato” dagli avvenimenti per usare una linguaggio divenuto familiare in ambito scolastico.
Ecco allora che abbiamo provato a fare questa sfida: vedremo se, questa sera, alla fine di questa lunga camminata avremo potuto lasciare, soprattutto a voi, indicazioni, temi, contenuti.

I valori, il fine della scuola.

Volevo partire da un aneddoto personale: mi è capitato di leggere, qualche giorno fa, in un testo di un centro di ricerca abbastanza importante, non proprio il primissimo, ma certamente fra i più importanti, un centro italiano, un elenco di quelli che, a loro dire, dovrebbero essere i valori posti come fine della scuola.
Ne sono rimasto colpito. I valori elencati erano, nell’ordine: autorità, gerarchia, e disciplina.
Certo, il momento è quello che è, e consideriamo importanti anche noi il rispetto, l’autorevolezza dei docenti. Però fa riflettere questo elenco, fa pensare che sono quegli stessi “valori” che il governo e le sue televisioni ci propongono con grande insistenza, insieme, con malcelata ipocrisia, ai mille e mille nani e ballerine che occupano gli schermi televisivi.
Chiediamoci: sono forse davvero questi i valori che ci deve assicurare la scuola? Io non lo credo, noi non lo crediamo. Ci sembra invece che i valori debbano essere ben diversi, che il fine dell’educazione debba essere quello di favorire una crescita individuale libera e piena, differenziata e ricca; che, in sostanza con una frase “l’apertura di porte e finestre nella vita dei bambini” dovrebbe essere il portato principale della scuola. E questa, se vogliamo, è la base di quella “naturale devozione della scuola alla democrazia”, di cui scriveva John Dewey e di cui recentemente la nostra Mauria Bergonzini ha scritto in un bel contributo.
Ecco il punto: oggi non si parla solo di tagli, ma anche – io penso – di una sfida sui valori. Siamo chiamati ad una battaglia culturale sui fini di fondo circa il ruolo della scuola. Dietro alla difesa che vogliamo fare, positiva e assolutamente necessaria, della scuola di tutti non c’è tanto la difesa di un servizio e di spazi di solidarietà. C’è di più: c’è il bisogno di riportare la scuola alla sua funzione, non a quelle funzioni plastificate e fasulle alle quali, certamente, le gravissime scelte del governo, ma anche, purtroppo, un certo dibattito culturale insistente quanto negativo e inaccettabile, vorrebbero condannarla.
“Amo la scuola” - ha voluto dire proprio questo il nostro titolo di questa sera – e cioè concepire la missione educativa come la più importante per la qualità della crescita sociale, certamente, ma prima ancora – e su questo punto insistiamo –per assicurare ad ogni individuo, ad ogni persona maggiore consapevolezza, dignità, libertà.
E’ acclarato, a nostro avviso, come questo governo sia nemico della scuola – ma pensiamo che ci si debba chiedere se non stia, in questo essere nemico della scuola, per i richiami fin qui fatti, anche la radice di una inimicizia verso la democrazia.
E’ una prospettiva inquietante.
La politica del governo Berlusconi prima ha stabilito i confini dell’intervento pubblico obbligando a drastici tagli nella scuola e nell’Università. E poi, con la controriforma Gelmini, ha cercato di dare copertura a quella che non è una razionalizzazione, ma la scelta di dequalificare, di paralizzare la scuola pubblica.
Trovo ad esempio curioso e molto grave – è solo un esempio, ma su un tema centrale – che tutte le dichiarazioni e gli atti del governo che si sono succeduti in questi mesi in merito ai tempi scuola, li considerino, li trattino come contenitori, mentre mai si parla della distribuzione delle materie all’interno di questi contenitori. La qualità dei risultati ottenuti fino ad ora dipende invece anche dalle scelte pedagogiche di metodo e di contenuto, che non debbono essere sottovalutate perché fondamentali nella formazione di base delle nuove generazioni.
Si pone quindi in primo piano la questione della qualità della didattica, poiché la drastica riduzione di tempo scuola non si può coniugare con tempi dell’apprendimento distesi, soprattutto nei primi anni scolastici, e penalizza l’apprendimento delle medesime competenze di base.

Difendere il sistema formativo dell’Emilia-Romagna, di Bologna

E’ particolarmente necessario, quindi, difendere il sistema formativo dell’Emilia-Romagna dagli effetti drammatici che queste scelte sono destinate a produrre.
Un altro aneddoto che qualcuno di voi ha vissuto: qualche giorno fa un lunghissimo striscione –che qualcuno ha definito, forse esagerando un poco, il più lungo striscione della storia delle manifestazioni civili a Bologna, ha percorso il centro della città.
Non ho avvertito, nel corso di quella manifestazioni, un clima di sola protesta, di non-proposta. Al contrario, mi pare che sia avvenuto in quella occasione, come in tante altre, la sensazione come se i tagli ciclopici della Gelmini avessero suscitato l’orgoglio di essere scuola fino in fondo, nei docenti ma ancor più nelle famiglie.
I genitori e le famiglie – almeno qualche genitore, qualche famiglia, molte – hanno compreso che a tutto si può porre rimedio; magari quando l’economia ripartirà – ma sarà durissimo, riuscire a risanare la grave ferita inferta alla migliore delle nostre scuole: la scuola primaria, la scuola per tutti i bambini… Una scuola non si inventa e non si improvvisa: con la scuola non si scherza! Bisognerebbe, quando gli affari vanno male, raddoppiarne i finanziamenti, e non tagliarli!
Per questo tanti bolognesi hanno cucito quel lenzuolo infinito degno – scusatemi la battuta – di una Penelope con le gambe così lunghe da poter capitanare una squadra di Watussi…. E per questo hanno sfidato un po’ di vento, con le mani all’altezza del petto, per stringere e sorreggere quella tela.
Noi eravamo tra loro: la protesta è stata larga e noi vogliamo raccoglierla e unirla alla proposta.
La partita è nazionale e proprio ieri Dario Franceschini ha lanciato – e Mariangela Bastico con lui – una petizione con la quale il PD chiede la immediata cancellazione di alcune fra le misure più gravi come quelle dei tagli finanziari e il maestro unico, l’orario a 24 ore settimanali e l’abolizione delle compresenze.
Su questi punti insisterà – ed è bene che insista – una campagna nazionale di questo Partito, che è già sul campo così come di altre forze che possono riflettere ed impegnarsi con noi.

Una vertenza per la scuola di Bologna.

Qui, oggi, dobbiamo insistere sull’aspetto più locale non perché Bologna possa avere problemi diversi dagli altri, ma perché dobbiamo vedere attraverso questo laboratorio – che questa volta è un laboratorio di rischio – come portare un contributo specifico sia con la protesta sia con l’azione di governo a questa battaglia più generale che si sta facendo.
Io parlerei, adoperando un termine che è già stato usato alla recente Conferenza per il miglioramento dell’offerta formativa, di costruire una vera e propria “Vertenza per la scuola di Bologna”, portata avanti insieme da Enti locali e cittadini.
E d’altra parte, come si potrebbe tacere, In un territorio dove, proprio mentre il Governo taglia, si registra una crescita costante della popolazione scolastica: 3mila ragazzi in più quest’anno rispetto al precedente e mai comunque una crescita di meno di 2 mila negli ultimi otto anni.
E poi non possiamo e non vogliamo nascondere le gravi preoccupazioni, non solo umane, non solo solidaristiche, ma anche riferibili alla qualità di tutta la scuola circa la drastica riduzione di posti di lavoro. Si parla – sulle cifre non azzardo, ma riprendo quelle sindacale e quelle degli enti locali – di circa 600 unità. Delicata è anche la situazione a livello di personale tecnico e ausiliario.

Noi vorremmo fare questa battaglia mettendo in campo anche idee nuove, o per lo meno raccogliere le migliori idee positive correnti e che devono avere ancora più gambe per correre più rapidamente.

Nell’ottica di un federalismo solidale

Ad esempio, se il tema è come rapportare la dimensione locale ad una nuova idea di Stato e quindi ad una battaglia nazionale, una idea su cui riflettere potrebbe essere questa: come potrebbe realizzarsi un vero federalismo solidale, a partire dalle scuole e a partire soprattutto dalla storia delle istituzioni bolognesi scolastiche e degli interventi degli enti locali per l’educazione, la formazione, l’istruzione, già così ricca di esperienze incentrate sulla dimensione del territorio.
Cominciamo a parlarne cercando però una nostra prospettiva: il federalismo non può essere una via di fuga dalle responsabilità pubbliche! O è il segno della cultura della libertà e dell’autogoverno, della sicurezza per tutti anche i più deboli, perché la Repubblica si divide per fare di più e meglio. Oppure è bene essere chiari: è pura reazione.

Sarebbe interessante, invece, mettere in campo idee per la perequazione delle possibilità fra territori forti e territori più deboli, che vedano in campo anche agenzie centrali dei territori forti. Ad esempio, su Bologna ed Emilia.
Mi permetto una proposta personale. Io da tempo penso ad una superagenzia per sussumere ed aiutare le zone deboli e gestire emergenze formative e culturali. Una specie di “Tennesse Valley” capace di agire su tutto il territorio nazionale proprio quando la Repubblica conquista nuove autonomie e nuove diversità.
Ma il punto, per gli enti locali, non è ipotizzare tante piccole Rome dotate di tanti piccoli viali Trastevere, ma prevedere una gestione del sistema che unifichi tutte le competenze oggi in capo agli enti locali, ridia loro ordine, aumenti l’integrazione, rispetti la libertà dell’insegnamento e la funzione delle scuole. Dia vita, in sostanza, ad un patto significativo e rilevante per la qualità, anche oggi, anche di fronte alla nuova e più pericolosa situazione.
Noi pensiamo che in questa dimensione si dislochi la rivendicazione di un forte ruolo della Regione e degli enti locali.

La legge Aprea: un decentramento proprietario

Vedete, non ci convince, ad esempio, ciò che viene dopo la Gelmini, la Legge Aprea. Certo, c’è un linguaggio diverso, però la sostanza sembra quella di essere una sorta di decentramento proprietario.
Ho detto prima: decentriamo. Leggiamo che addirittura gli enti locali, con le imprese, entrerebbero nei consigli di amministrazione di scuole diventate fondazioni! Ma si tratta di integrare o di imporre magari scelte didattiche, magari scelte culturali?

Le scuole ad altissimo rapporto con il lavoro del territorio

Certo, noi per primi abbiamo proposto anche in campagna elettorale – e qui riproponiamo – una cosa che ha aspetti di similitudine, ma per scuole ad altissima vocazionalità. E lo proponiamo da tempo, da parte di tutti i partiti da cui proveniamo: un’altissima vocazionalità territoriale richiede un maggiore rapporto scuola-impresa-territorio. Ed ecco, ad esempio, che per alcuni poli didattici attorno ad istituti tecnici di fortissima vocazione e socializzazione, può essere interessante dare più spazio alla dimensione della Fondazione per tutto ciò che può crescere attorno alla scuola. E vedere lì anche una diretta responsabilità delegata non solo ai rapporti tra l’assessorato e quella scuola da parte degli enti locali.
Ma è tutto un altro discorso ed è un discorso promotivo e non oppressivo. E io credo che le esperienze emiliane dovrebbero essere un punto di partenza proprio perché noi possiamo rivendicare qualche cosa che ha funzionato. E’ vero o no che il modello dell’integrazione tra la libertà delle scuole e una forte presenza di sostegno, anche di indirizzo dell’ente locale, ha prodotto risultati: dalla scuola dell’infanzia alla scuola di base, fino alla secondaria superiore?
Queste esperienze, con l’impegno diretto, anche sul piano del personale impiegato, non sono la zavorra, ma sono state il banco di prova soprattutto a Bologna, di tutte le principali innovazioni.
Da tempo, d’altra parte è emerso il problema: come ripensare, riqualificare, non solo ridurre le gestioni dirette in epoca di scarsità crescente di risorse. Anche su questo abbiamo una proposta.

Un progetto per l’intervento comunale a Bologna.
Una istituzione per le scuole dell’infanzia. Un progetto per il nuovo polo-Aldini.

Prevediamo, ad esempio, a Bologna come in altre realtà, istituzioni autonome cui dare vita per organizzare le risorse in capo agli enti locali. E ci proponiamo di attuare una programmazione che determini fin dall’inizio un obiettivo sostenibile, quante scuole dell’infanzia comunale tenere, quanti interventi diretti per l’handicap mantenere, da qui ad un intero ciclo di programmazione, per almeno un decennio, dunque. Un elemento di arrivo, dunque, da indicare subito, per poter sostenere ciò che si mantiene, come un laboratorio di qualità.
Siamo perplessi da una discussione, ma anche da una azione di governo, talvolta, che pur con tante qualità inizia ogni volta dalla difesa di tutto e poi alla fine rincorre disperatamente lo Stato perché assuma gestione di sempre più parti di quelle che erano le scuole degli enti locali.
E’ comprensibile, ma una buona programmazione richiede una operatività inversa. Mettere in luce dove ha un senso storico gestire ancora direttamente, dichiarare che cosa mantenere; creare strumenti di governo più forti per la gestione e attorno a questo costruire un progetto di sistema integrato di cui da tempo, nella pratica, si è dato vita.
Questo discorso è valido soprattutto per le scuole dell’infanzia. Ma in qualche modo – e qui, pur con tanta difficoltà, qualcosa si è fatto di significativo – anche per i poli polifunzionali tecnici: a Bologna le Aldini-Valeriani-Sirani.
Il Comune ha bussato a tutte le porte, ma nessuno ha risposto. Questi imprenditori che scendono in campo proponendosi di fare di fare i sindaci, in quel momento hanno tenuto il portafoglio chiuso! Forse interessa di più che si apra il portafoglio del pubblico, per incrementare qualche iniziativa privata, piuttosto che aprire il proprio!
Ecco, mi chiedo: se ci fosse stato attorno alle Aldini qualche cosa di simile a quello che è avvenuto intorno alla riqualificazione del patrimonio GD, in questi giorni, che cosa poteva accadere? Forse qualcosa di ancora più avanzato di quanto abbiamo realizzato, con l’assunzione da parte dello Stato degli Istituti scolastici, ed il mantenimento di una serie di servizi formativi e di orientamento in capo all’Ente Locale.
Ma certo la scelta è stata interessante, non solo necessaria, sic stantibus rebus.
La scelta, noi così la intendiamo, di mantenere una poliedricità di interventi intorno ad un polo scolastico che veniva riassunto dalla rete delle scuole pubbliche.
Adesso si tratta di sviluppare la progettualità dei servizi formativi Aldini, fare veramente un polo di rinnovata qualità ed utilità, con la piena collaborazione con la Scuola vera e propria, statale ma-ricordiamolo sempre-dotata di autonomia, primo interlocutore dell’Ente Locale e del territorio.
Bisogna accelerare, ora, proprio nel senso che prima richiamavo.

Siamo qui partiti richiamando il tema degli interventi diretti del Comune di Bologna.
Ma se l’ottica è il progetto, se la base è la libertà di insegnamento e di fare scuola delle istituzioni autome, tali sono le scuole pubbliche che un tempo dicevamo solo “statali” il punto di partenza deve essere : riconoscere negli istituti i primi interlocutori, non fare più nemmeno un progetto- da parte dell’Ente locale- senza una compartecipazione delle scuole, dall’idea, alle risorse umane e logistiche.

Un grande accordo strategico Enti Locali-Scuole, dagli edifici ai contenuti

Ci vorrebbe quindi un grande accordo strategico Enti Locali-Scuole, quasi un piano “regolatore” della rete educativa, dagli edifici ai contenuti, pensato e realizzato insieme.
Troverete nei contributi delle proposte prodotte da amici del Forum delle scuole*.
Partiamo da punti di riferimento valoriali: il diritto alla formazione, la famiglia, il ruolo della scuola pubblica, l’integrazione sociale e culturale, l’accesso al sapere.
Ma poi azzardiamo delle proposte sullo specifico. Ho detto già un po’ del rapporto con le istituzioni; ho detto della scuola materna. Del metodo e degli strumenti per governare, programmando, il tema complesso delle gestioni dirette del Comune.

Gli interventi scuola-cultura-territorio

Voglio ancora dire una cose, l’una sugli interventi scuola-territorio. Qui abbiamo colui che dette il via, con una sistematizzazione teorica, il professor Franco Frabboni che ringrazio di essere qui con noi. Sono passati molti anni e non è facile mantenere la rete delle aule didattiche decentrate, un impegno diretto su tante realtà, anche perché sono cresciute altre esperienze, di altra provenienza.
Guardate, io per convocare questa nostra iniziativa mi sono basato su un elenco di servizi comunali e di associazioni partecipanti ad un bel convegno promosso dall’assessore Virgilio. Non perché non le conoscessi ma perché chiamare a raccolta queste realtà, vuol dire fare i conti con un numero di realtà che supera il centinaio.
Mi chiedo: in quale altra città, per fare una locandina di una iniziativa simile, occorre riempire tutto lo spazio di una A3 per metterci tutte le firme?
Cioè, in quale altra realtà si è fatta crescere e si è mantenuta una rete così fitta di istituzioni culturali così aperte alla fruizione didattica e aperte alle scuole? Questo è un punto centrale: troviamo le forme più adatte, ma guai se diventasse una questione di politica del personale.
Questo è un punto essenziale, attorno al quale fare ancora più emergere, qualificare, quel ruolo autonomo e rispettoso della autonomia delle scuole che, appunto, vede l’ Ente Locale fornire ad esse un servizio e investire per la qualità di tutta l’attività didattica, di tutte le scuole.
Ho detto, seppur poco, sui vari ordini di scuola. Ma voglio dirvi davvero che in ogni parte troverete, nel documento della Conferenza per l’offerta formativa, tanti spunti che permettono di vedere chiaramente cosa sta accadendo. Che cosa accade sulle iscrizioni, ad esempio. La vera e propria truffa: scegliete e – vorrei dire – non vi sarà dato!
E anche i rischi in settori di scuole di cui si parla poco. Ma non sta a me sviluppare compiutamente tutti gli argomenti, li troverete nei contributi.
Voglio finire con un’affermazione: sembra forse poca cosa, ma difendere la scuola pubblica chiamando a raccolta anche altri, anche chi vuole fare impresa, purché sia un intraprendere sano, difendere la scuola pubblica mantenendo un profilo alto anche quando le risorse sono poche e quindi riprogrammando e scegliendo è difficile e necessario.
Difendere la scuola pubblica come priorità politica: qui c’è ancora moltissimo da fare, nonostante – è curioso- grande parte del personale politico, certo quello miglior, provenga dalla scuola. E’ importante, ecco, che si recuperi il senso di una priorità.
Mi chiedo se almeno il 5% delle dichiarazioni polemiche che abbiamo visto nel nostro campo negli ultimi sei mesi, fosse stato impiegato a propagandare e magari anche a riflettere sulle realizzazioni e i punti critici di un così vasto intervento per la scuola che le nostre istituzioni fanno, ancora oggi, forse saremmo più contenti di noi.
Guardate: siamo coscienti che ancora, pur con mille distinguo, il mondo della scuola, gli insegnanti e anche tante famiglie, ma anche chi ci critica perché ci vorrebbe più sulla barricata, oppure invece chi dice “no, attenzione perché la barricata non reggerà”; insomma, tutto l’arcipelago dell’educazione militante, dimostra un’ attenzione e una capacità propositiva che resta molto alta.
Noi esercitiamo una professione intellettuale ma siamo innanzitutto cittadini che vogliono far discutere e non possiamo rispondere per tutto il Partito; possiamo però creare momenti di approfondimento che sollecitino una voce più chiara e costante. Ripeto, all’altezza anche di ciò che già si fa.
In sostanza, ogni tanto ci chiediamo: ne vale la pena? Pensiamo di sì. Io una volta terminavo spesso con una nota frase di don Milani che implica una parolaccia. Oggi si potrebbe lasciare stare, essere più pudibondi, ma tanti me l’hanno sentita dire spesso: la frase famosissima di “Lettere ad una professoressa”.
Se non sappiamo se la scuola sia sempre, ed in ogni sua espressione, meglio di quella cosa lì, come diceva Don Milani, certo vale la pena impegnarsi per la scuola.
Noi qui siamo per la scuola, per la scuola sempre.





*Per informazioni ed il materiale di programma completo del convegno “Amo la scuola” e del Forum
scrivere a: forumscuole.pdbologna@yahoo.it

giovedì 2 aprile 2009

"Amo la scuola"

"Amo la scuola".
Bologna: le scuole, il territorio, gli Enti Locali
Giovedì 2 Aprile

Desidero invitare personalmente ad un incontro "PER" la scuola, non soltanto "sulla" scuola,
Si svolgerà a Bologna, in Sala della Cappella Farnese, Palazzo d' Accursio, Piazza Maggiore 6, dalle ore 17,30 alle 23.
Un tempo lungo, ma pieno di tante cose.
Con tanti insegnanti, genitori e studenti, con associazioni e sindacati, e con il mondo di chi fa e promuove cultura cultura in dialogo con Flavio Delbono, Beatrice Draghetti, Andrea De Maria.
A seguire troverete il programma, in forma sintetica. L'incontro è promosso dal Forum sui temi della scuola, del PD di Bologna, in collaborazione con il Gruppo consiliare del PD del Comune di Bologna.
Sono a vostra disposizione per ogni informazione e chiarimento,

Davide Ferrari
(Presidente del Forum)




Spero sarete con noi anche al buffet che alle ore 19,45 ci ritroverà presso il Bar Paolo in via IV Novembre.
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PD Bologna, Forum sui temi della scuola

Giovedì 2 Aprile 2009
“Amo la scuola”
Bologna: le scuole, il territorio, gli Enti Locali

Insegnanti, genitori e studenti,
Associazioni ed esperienze,
dalle Scuole, dall’Università, dalla Cultura
in dialogo con

Flavio Delbono
Beatrice Draghetti
Andrea De Maria
Giovanni Sedioli

Apertura del dibattito di
Davide Ferrari

Partecipano tra altri alla discussione
Paolo Rebaudengo, Maria Virgilio, Marilena Pillati, Daniela Turci,
Franco Frabboni, Vittorio Biagini, Marco Mazzoli

Presiedono:
Luciano Russo e Rosanna Facchini

Sala della Cappella Farnese,
in Palazzo D'Accursio, Piazza Maggiore 6

Orario: I sessione ore 17,30 - 19,45
h 19,45 Buffet
II sessione ore 20,45 – 23
Info: forumscuole.pdbologna@yahoo.it

lunedì 30 marzo 2009

Sulle lettere ricevute dagli insegnanti delle "Scuole Longhena". (Stenografico)

Intervento di inzio seduta del Consiglio comunale di Bologna.

Presidente SOFRI
Grazie. Consigliere Ferrari sulle lettere ricevute dagli insegnanti delle scuole Longhena, prego.

Consigliere FERRARI
Grazie Presidente. Nei giorni scorsi la stampa ha dato notizia dell’ulteriore passo della vicenda che riguarda le scuole Longhena ma io direi di più, riguarda le tensioni e i conflitti che una politica sciagurata di tagli e di attacco alla qualità della scuola sta provocando in tutto il Paese ma in maniera ancora più rilevante in una città come la nostra, laddove l’abitudine alla qualità è davvero forte e ha determinato il contributo che la scuola la dato a tutto il bene sociale, a tutto il vivere sociale. Siamo in una sede istituzionale e quindi io non intendo esprimere nessun giudizio di merito sugli addebiti che il Provveditorato ha trasmesso alle maestre coinvolte. Voglio però dire che non si può ritenere questa vicenda una vicenda che riguarda l’ambito disciplinare, non siamo in una situazione normale, la preoccupazione è reale e non politica, nessuno soffia sul fuoco, lo abbiamo visto anche nelle scorse settimane con la bellissima manifestazione che ha portato nelle strade bolognesi quello che è stato definito lo striscione più lungo della nostra storia civile, sicuramente più partecipato viste le centinaia e centinaia di mani che hanno contribuito a scriverlo e poi a sorreggerlo nel corteo. Nessuno soffia sul fuoco, insegnanti diversi, modo diverso, intendono testimoniare – talvolta giustamente, talvolta con misure anche molto discutibili, non c’è dubbio – un disagio che è quello di voler portare per forza dentro alla normale attività didattica, di cui la valutazione fa parte, criteri che vorrebbero improntarsi all’ordine e al rigore che non hanno nulla di scientifico e che ci fanno fare non solo il passo indietro ma soprattutto un passo nel buio, ci fanno ipotizzare una scuola il cui momento valutativo e regolativo è affidato a misure che non si basano su altro che non la volontà di segnalare all’opinione pubblica un rigore fasullo e autoritario, senza costrutto e senza fondamento. Se questa è la situazione, ecco la proposta, io mi sono permesso di farla già all’indomani della notorietà che è stata data alla vicenda. La vicenda è quella, ricorderete, di un voto paritario dato forse, non so, a prescindere da una valutazione di merito, ai bambini afferenti alle classi di queste maestre. Io allora ho proposto, a nome del forum delle scuole promosso dal Pd, forum sui problemi delle scuole, che il Provveditorato compisse con aiuto di tutto il mondo della scuola bolognese un attento monitoraggio delle situazioni e operasse per garantire al meglio la normalità di ogni funzione, a partire da quelle didattiche ed educative. Questa urgenza mi pare esserci tutta, io dico che da parte di nessuno si può scherzare con le scuole, da parte di nessuno, né da parte di chi protesta e né da parte di chi rappresenta l’istituzione. Occorre operare con lungimiranza, al meglio, per comprendere l’ora presente e per riportare nei limiti nel quale questo sarà possibile, con organici ridotti, con precariato avvilito e abbandonato, nella normalità la vita delle scuole bolognesi, questa è la cosa più importante e questo credo debba essere anche l’appello, anzi la richiesta, che può giungere da un Consiglio Comunale. In altri momenti - noi per esempio promuoveremo questo giovedì un importante momento di dibattito proprio qui nel Palazzo D’Accursio – si potrà andare più nel dettaglio della proposta ma il senso è questo: riuscire a impegnarci tutti perché in primo luogo il diritto alla qualità, ad avere una buona scuola, venga al meglio delle nostre possibilità davvero garantito. Non è poco signor Presidente anzi io ritengo, non so quanti sarebbero d’accordo con me ma io questo ritengo, sia il compito principale che ha la vita istituzionale e sociale di ogni altra città, senza dubbio che ha quella di Bologna.

sabato 14 marzo 2009

Ronda su ronda.

Ho incontrato una ronda, alla Stazione.
Tutti in costume rosso, più simili ai distributori del "Bolscevico" che a super-eroi della Marvel.
Un po' male in arnese per la verità.
Mi è venuto da pensare, senza offesa, che se qualcuno proprio ci tiene a fare il rondista, forse è anche perchè la vita gli ha riservato poche soddisfazioni altrove.Dicono che la loro presenza rassicura...
Ma mi sono chiesto: sono privati cittadini, come me, cosa da loro il diriìtto di simulare un' uniforme, un ruolo pubblico, un diritto maggiore del mio di intervenire?Risponderebbero: la voglia di fare volontariato, la professionalità. In realtà la loro non è chiaro come possa essere dimostrata.
E poi, riguarda la forza fisica o la capacità di usarla con discernimento? Un "buttafuori" di una discoteca, ad esempio, lavora in un luogo privato. Guarda, osserva, giudica, si tiene pronto e all'occorrenza espelle, da un locale. Ma nella strada che è la casa di tutti, vorrei non essere giudicato da una ronda ma poter giudicare anch' io il loro essere opportuni.Si dice: a Bologna esistono le "Pattuglie cittadine" dall'800.
Che male c'è se si aggiungono altre formazioni?
Ma proprio l'esistenza di esperienze storiche, che ha gia' fatto vedere pregi e limiti di questo pattugliare, rende chiaro il pericolo di un aumento indiscriminato di divise private.Ancora: che dire delle ronde di partito?Padane e altre, sono tutte inaccettabili.Bisognerà vigilare, tra l'altro, che non ricevano soldi dagli EE.LL.
Sarebbe un'altra furbizia per dare fondi improri alla politica. (A proposito i tanti che da anni attaccano la "casta" non hanno non hanno nulla da dichiarare ?)
Il problema però non si ferma qui.
Si sta attuando una privatizzazione, non solo una politicizzazione della "Sicurezza".
Ma se così è presto saranno i ricchi, non solo i partiti, a voler dire e fare qualcosa.Pensate a squadre ingaggiate da qualche magnate con villa nelle vicinanze. Meglio, molto meglio sarebbe investire di più sulle forze dell'ordine, quelle pubbliche.Le ronde al soldo dei ricchi esistevano già nel '600: si chiamavano "bravi". Erano di stanza nelle corti dei palazzotti nobiliari, anche qui a Bologna.
Ne ha scritto un certo Manzoni di Milano in un librettuccio che parla di Renzo e Lucia.Che fa il nesci, Eccellenza Maroni. O non l'ha letto?
Riparliamone.


(da "Segnali di fumo" rubrica di Davide Ferrari su "IlBologna")

martedì 3 marzo 2009

PER. Il progresso d'Italia n° 3 (quinta uscita)

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L' editoriale della rivista.
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Cambiare linea.



Walter Veltroni si è dimesso.Dario Franceschini è stato eletto segretario del PD.
Il nostro giornale ha un'impronta fin dall'origine unitaria e propositiva.
Ci interessano, sempre -anche in un momento come questo- i contenuti più che le persone, i loro pregi ed i loro errori.Ciò detto, se ringraziamo Veltroni per la battaglia che ha dato per la nascita del Partito Democratico, senza risparmio, non siamo d'accordo con il metodo che ha scelto per lasciare la direzione.A pochi mesi dal voto, senza promuovere un chiarimento di linea politica ed una verifica.
Purtroppo è stata una costante del PD, fino ad ora, evitare una discussione vera sull'indirizzo politico.I motivi sono tanti ma, non possiamo tacerlo, anche il metodo seguito dalla leadership è stato fra questi.
Ora non si può continuare così.Vi sono ragioni oggettive, esterne, culturali e sociali, a motivo della grave crisi di tutte le Sinistre, di ogni grado e colore.
Una crisi che in Italia perdura ed anzi cresce, nonostante si aprano scenari mondiali del tutto nuovi, il crollo del liberismo e l'elezione di Obama, innanzitutto.Siamo nati anche per tentare un'indagine su questa crisi, un approfondimento.Un eccessivo ottimismo non ci convinceva: ne' al tempo del Lingotto e delle Primarie, ne' al momento della prova elettorale.Nemmeno oggi.
Ma, per attrezzarsi ad una fase così difficile bisogna compiere due scelte, che rappresentano un vero cambiamento di rotta.
In primo luogo bisogna riorganizzare e condurre l'opposizione, in Parlamento e nel Paese, con serenita', certo, senza rissosità, ma con decisione.
Questa non è e non sarà la legislatura delle riforme condivise. E' il mandato di una Destra che vuole affermare, su ogni terreno, sensibili arretramenti nel campo dei diritti sociali ed individuali.In secondo luogo bisogna orientarsi alla ricostruzione di uno schieramento, di una nuova alleanza, oggi di opposizione, domani di governo.
Non è facile.
Scegliere alleanze invece che continuare nell'impossibile solitudine è urgente e necessario ma non è di per se taumaturgico.Lo dimostra la vicenda elettorale di Soru in Sardegna.Non sarà breve percorrere un cammino di ricostruzione di una cultura e di una pratica con tratti davvero unitari e credibili.Occorre guardare alla società civile, al mondo del lavoro, delle professioni, degli specialismi, della cultura ed al loro associarsi, ancor prima che alle forme partito-così fragili, che abbiamo più o meno vicine.Nondimeno deve cessare l'equivoco che il Pd basti a se stesso in nome del principio maggioritario.E' stata una necessità correre da soli, dopo la fine del Governo di Romano Prodi, oggi però giustamente rivalutato.Non può essere una linea politica per l'oggi.Prima ce ne accorgiamo meglio sarà.
Se queste due scelte verranno compiute si sarà delineato un campo, cose da fare, iniziative da prendere per il Pd ed il suo corpo attivo.Sarà possibile anche discutere di tutte le questioni di contenuto, dalla collocazione internazionale, al rapporto con le diverse forze sindacali, alla laicità, alla scuola, all'indipendenza della magistratura.Su ognuna di queste non è impossibile trovare una proposta nuova che permetta all'amalgama PD di fare passi in avanti.Ma senza queste due scelte primarie e prioritarie anche il confronto di merito può divenire impossibile, o almeno inane, divisorio. O troppo acceso o compromissorio.Basta pensare alla tragica vicenda di Eluana Englaro, dove si è visto assieme il silenzio del Partito e l'attivismo-maggioritario- dei suoi membri per un'ipotesi del tutto laica e di altri per un'ipotesi irrimediabilmente opposta.No, così non si può andare avanti.Non tutto è nelle nostre mani.Ma quello che possiamo decidere dobbiamo deciderlo.Ripartire con il Partito Democratico.Cambiare il Partito Democratico.Scegliendo di fare opposizione e di riaprire il gioco delle alleanze.Attenzione: la nostra crisi può segnare un momento grave per la tenuta dell'intero sistema democratico.
Non c'è un minuto da perdere.

Davide Ferrari

Marzo 2009

sabato 28 febbraio 2009

VIAGGIO NELLA RISERVA INDIANA

VIAGGIO NELLA RISERVA INDIANA
DI ROBERTO DI CARO

L'Espresso

"Via tutti! A cominciare da quelle due figure emblematiche della degenerazione del partito che sono Nicola Latorre e Antonio Bassolino, Se ne devono andare prima del congresso, o dopo sarà una carneficina...». Nel vecchio Pci lo avrebbero deferito alla Commissione di controllo, Stefano Raffa, pilastro dello storico Circolo Benassi al quartiere Savena di Bologna. Invece lo applaude, questa platea di 120 militanti di quattro sezioni Pd, pardon circoli, ex Ds, ex Margherita, ex niente perché all'impegno sono arrivati con le primarie per Veltroni. Lunedì, a bocce ferme dopo che Dario Franceschini è diventato il segretario di tutti loro, discutono senza sconti su un futuro che due giorni prima ha rischiatodi esplodere per beghe di correnti e conventicole, rivalità personali, programmatiche indecisioni, letali silenzi su qualunque scelta non trovasse d'accordo Rutelli e D'Atema, Beppino Englaro e il cilicio della Binetti. Nessuno ne poteva più dei "ma anche" di Veltroni: neppure quelli (giusto un paio) che stasera gli rendono l'onore delle armi, anche se non se lo aspettavano così fragilino da mollare alla prima botta. A questa base oscillante tra la voglia di sparare sul quartier generale e l'orgoglioso colpo d'ala in vista delle comunali ed europee di giugno, che cosa mai risponderà il 42enne segretario provinciale Andrea De Maria, cui tocca chiudere la serata? Torniamo indietro di un paio di giorni.Il nostro piccolo viaggio nella riserva indiana del Pd, tra i mal di pancia dei militanti in Emilia e Toscana, era cominciato in modo deprimente al Circolo Arci Bellaria, la sera in cui i pullman dei delegati rientravano dall'assemblea nazionale. Negli scaffali al bar, "II Capitale" e tutta la "Storia del pensiero socialista" del Cole, ai tavoli 300 persone a giocare a carte, i fumatori all'aperto a disquisire di politica: «Con le privatizzazioni ci siamo buttati in pasto agli avvoltoi», ce l'ha il magazziniere; «a Bologna son già tutti cassintegrati», dice il precario di una Coop; «è troppo tardi per tutto», chiude annichililo l'artigiano. La sintesi del dramma in corso la fa un tipo che sentenzia: "II cavallo è morto domani mattina». Ovvero il partito è già finito, da qui al congresso di ottobre si sotterreranno i resti. Che il glorioso circolo non sia piùlo stesso? E la vecchia base? «Ah, il vizio di dire "la base"! lo, onesta riformista, mica una gran rivoluzionaria, mi sento parte di un progetto!», attacca alla cucina la signora Letizia. E suona:«Con quel che combinano "i vertici", son mica meglio di me». Quanto al Circolo, «qua dentro c'è un razzismo da far paura, l'estraneità alla politica è generale, la mentalità berlusconiana è penetrata dappertutto». Non può essere tutto così nero, non è mica 1'8 settembre. Sembrava, ma poi è arrivato Franceschini. Le questioni di linea, le scelte in bioetica e riforma della giustizia, le alleanze, che fare con i brandelli di Rifondazione, come evitare di farsi prosciugare da Di Pietro, è ancora tutto da decidere; ma intanto ci sono le elezioni. E a Bologna i leader incitano a uno scatto d'orgoglio, siamo la Stai ingrado del partito,Bocciatura WebAppena diventato segretario, Dano Franceschini ha contrapposto la «gente vera» (che lo ha votato alla Fiera di Roma) a quella «virtuale», cioè i contestatori dell'establishment che si organizzano e confrontano soprattutto attraverso Internet e i blog. La battuta del neoleader ha fatto innervosire "quelli della Rete", ma non c'è dubbio che i militanti democratici più attenti al Web (quasi tutti sotto i quarant'anni e favorevoli alle primarie) sabato scorso abbiano subito una battuta d'arresto. A spiegarne le dinamiche è stato sul suo blog Francesco Costa, tra i fondatori del movimento dei Mille:«Ci eravamo dimenticati delle modalità con cui è stata eletta quell'assemblea, con le liste bloccate redatte da Goffredo Bottini e pochi altri maggiorenti. Ci eravamo dimenticati che l'assemblea costituente rappresentava tra gli altri tutti gli eletti del partito: parlamentari, consiglieri regionali e comunali, etc. Ch si sarebbe catapultato a Roma convocato appena due giorni prima? Chi avrebbe voluto, chi avrebbe potuto7 Sono arrivai in 1.200 sui 2.800 totali, ed erano in assoluto la platea più disciplinata e narcotizzata che io abbia mai visto». Ciò nonostante, nota Costa, alla fine «ci sono state cento astensioni, che la Finocchiaro non si è nemmeno degnata di citare».La rabbia dei giovani piddì si è così sfogata di nuovo in Rete: contro «cuordileone Bersani» (che un mese fa si era candidato per la segreteria ma poi si è allineato su Franceschini), contro Finocchiaro e Soro «intenti a crearsi un'opposizione inesistente aiutando la raccolta di firme per Parisi» (Ivan Scalfarotto), contro Franceschin medesimo che alla fine ha vaneggiato sul «ritorno dell'ottimismo» (e Luca Sofn ha ironizzato: «Vado a fare i caroselli»). E uno specchio di questi umori sono stati proprio i commenti al blog di Sofn (Wittgenstein.it), dove si è letto di tutto:«Hanno sparso del bromuro tramite condizionatori, hanno drogato il buffet?»; «Ho pensato a Gene Wilder e Marty Feldman che scavano in una fossa in "Frankenstein junior"»; « Secondo me non sono cattivi. Sono solo fuori dal mondo. Altrimenti non potrebbero farsi del male in questa maniera. Ormai ci sono solo due correnti:la dirigenza e la base». «Una messa sempre uguale detta dai soliti dinosauri». «Ora con che faccia sgrido quelli che vogliono votare Di Pietro?». E così via. Ma la vittoria dell'establishment alla Fiera di Roma non ha provocato solo mal di pancia. Qualcuno, come il giovane milanese Giuseppe Civati, ha deciso di riprovarci con una «chiamata a raccolta» sul suo blog di chi vuole partecipare alla vita del Pd per cambiarlo radicalmente. Civati, per capirci, è quello che nel sondaggio on line de "Lespresso" (oltre 10 mila votanti) si sta giocando il primo posto con Prodi alla domanda "chi vuoi come leader del Pd", mentre Franceschini balla tra l'ultimo e il penultimo posto. Saranno "gente virtuale", ma di qui a ottobre la nomenclatura dovrà vedersela anche con loro. A. G.tere in tiro un partito battuto e morti ficaio, inseguito dal l'ala della sconfitta, stiracchia-^ to dalle tensioni del partito del Nord che £ non ne può più dell'oligarchia romana, la-5_ cerato dalle discussioni sull'etica e il testa-iti.; mento biologico. Hppure nello stesso tem-5 e pò è necessario delineare alcune scelte stra-^,- tegiche, da mettere in campo alle europee e ^ s nelle importanti elezioni locali di giugno. Ss Su questo terreno la sofferenza è garantita.Ancora .Macaluso: «A questo punto c'è da chiarire se il Pd mantiene quella che e stata definita "vocazione maggioritaria" o seoc-corre costruire un sistema di alleanze, e con chi». Purtroppo non e così semplice. Il Pde reduce dall'«errore gravissimo» (definizione di Parisi) commesso con la nuova legge per le europee, sbarramento al 4 per cento. Una decisione maturata poco prima delle dimissioni di Veltroni, e che oggi, in una situazione più fluida, di fronte a opzioni aperte sul fronte delle coalizioni possibili, può destare rimpianti. ".M a su questo fronte», dice Hnrico Letta, «Franceschinisiègia espresso nel suo discorso di investitura:l'arco del possibile va dall'Udc a quella parte di sinistra radicale che accetta di mettersi alla prova del governo». H quindi quale il punto di leva su cui agi rè? «Fran-ceschini ha il compito di rovesciare il »•col candidato sindaco Flavio Delbono, con tutta la passione che serve! «Sì, beh, Delbono, un po' freddino... A Teatridivita ci ha appena spiegato che la cultura deve far incassare soldi, comei film di Totò pagavano quelli di Visconti, mah...», chiosa Gregorio Scalise, poeta. Gruppo 63, un pezzo di storia dell'avanguardia, vedere Garzantina, che delle primarie Pd non se n'è persa una.«Mi riesce più semplice parlare alla testa che al cuore: sono ordinario di Economia e fino all'altroieri vicepresidente della Regione, a 49 anni non posso mica sostituirmi il Dna», risponde Delbono quando lo incontriamo, appena sceso dal palco del Carnevale dov'era già accanto al vescovo ausiliario: come chi il sindaco conta di diventarlo al primo turno, contro Guazzaloca e l'ex patron del Bologna calcio Cazzola. Mai avuto incarichi di partito, Delbono, nato con l'Asinelio di Prodi e poi Margherita; ne risulta frequentasse riunioni e assemblee. La base, per lui, è una scoperta diquesti mesi (e viceversa): in forme anche fisiche, dice, "senti la voglia di sfogarsi, toccarti, parlare». Sarà il consenso liquido, alla Bauman, un po' evanescente. «No, conto su un partito solido». Intanto, però, Pd e Comitato elettorale viaggeranno distinti e autonomi. E sul suo primo manifesto il simbolo non c'è. Altrove, nella riserva tosco-emiliana, i rapporti tra il Pd e il suo candidato filano assai meno lisci che a Bologna. Il treno regionale per Prato è pieno di cinesi, in città gli immigrati sono il 12 per cento e i tré quinti delle nascite. Crisi nera, il tessile a picco. E un Pd che prima si taglia la testa da solo e poi se la fa tagliare di nuovo dalla base. Ambra Giorgi, consigliera regionale, e Virgilio Chiani, coordinatore del circolo Pd di Paperino (Prato sud, il quartiere del film di Nuli) la raccontano così. C'erano »Letta: "Dario deve puntare sui territori e cancellare rimpronla romana del partito"rapporto fra Roma e i territori. Deve de-ro-manizzare il Pel». Il tentativo di rivitalizzare la segreteria con le nomine di leader regionali come Chiampari-no ed Hrrani va in questa dirczione. Ma si profila un problema in più. Qualcuno sostiene infatti che si sta profilando una crisi acuta della classe politica diessina, anche nelle regioni rosse, testimoniato dall'emergere irresistibile, a Firenze, del boyscout Matteo Renzi, un tipetto talmente evangelico che non ha remore a definire Franceschini «il vicedisastro»; a Bologna e candidato sindaco il centrista e pro-diano Flavio Delbono, a Ferrara un altro ex Margherita, Tiziano Tagliani, genero del-l'andreottiano di lungo corso Nino Cristo-fori, ha vinto la corsa per la successione al ds Gaetano Satenale. A Fori! e diventato sindaco un ex repubblicano, lo storico Roberto Balzani, alla Provincia di Bologna c'è la cattolica Beatrice d'aghetti. A sentire il politologo Paolo Pombeni, editorialista del "Messaggero" e delegato all'assemblea del Pd, c'è il rischio di «un M in salsa De», con possibili esiti di disaffezione della base, con spaccature e diaspora: «Benché la componente centrista nel Pd sia minoritaria, tutto ciò che viene dalle area ex de, di fronte aiproblemi della macchina ex comunista, risulta alla fine più presentabile agli elettori ». Per un ex popolare e teorico della l)c come Marco Pollini, Franceschini ha più chance di quante a priori molti non fossero disposti a riconoscergli: «Ma il primo problema e cercare di dimostrare che il suo Pd non sarà un veltronismo senza Veltroni. Ho l'impressione che lui non creda molto nell'ipotesi Udc e farà il possibile per accentuare una venatura di sinistra, scegliendo fior da fiore i possibili alleati nell'ex Arcobaleno». Una strategia piuttosto dalemiana. «Sì, ma prima di pensare alle alleanze Franceschini dovrà affrontare le elezioni, e di qui a giugno dovrà inventarsi una narrazione politica. Finora non ha sbagliato. Ma nelle prossime settimane occorrerà mettere le mani nel partito, cioè nell'organizzazione». Equesto e nelle corde di un politico «con la faccetta da bravo ragazzo» (Franco Marini)? Sorride, Pollini: «Se uno gli cita l'assessore alla sanità della Regione Campania, Angelo Montemarano, Pranceschini sa chi e, e che e l'uomo di maggiore potere a Napoli dopo Bassolino». Mentre Veltroni... «A citargli Montemarano, Veltroni spalancava gli occhi stupefatto». •un sindaco e un presidente di Provincia al primo mandato. Un discutibile sondaggio li spinge a non ripresentarsi, architettato in riunioni non ufficiali di parte della nomenkiatura, gran manovratore Antonello Giacomelli, deputato ex Margherita, presidente nazionale della corrente fioroniana Quarta fase, «che ora nelle foto pare l'ombra di Franceschini».Giacomelli lancia Abati, ex Pci, Ambra e altri ripescano Massimo Carlesi, ex Ds dei cristiano-sociali, ex assessore tornato a fare il direttore di banca. Alle primarie vince lui 55 a 42. E le 30 persone del suo comitato elettorale che incontriamo lunedì pomeriggio sono di nuovo galvanizzate dalla politica. Irritate da «un apparato schiacciato sulle sue fortune» (Francesco), da «Veltroni e D'AIema che si fanno la guerra da quando avevano i calzoni corti, se ne andassero a casa» (Ambra), non suggestionabili da «quei giovani che il partito ha tirato su maluccio, già così burocrati» (Patrizia). E Franceschini? «Speriamo si renda conto di chi ha vicino...», dice Paola pensando al citato Giacomelli. Toscanacci, vogliono toccare con mano. Treno, cinesi, torniamo a Bologna, è la sera dell'attivo al Bellaria. Sei minuti a testa, intervengonoper due ore e mezzo. Cacciare la Binetti che rimpiange il Medioevo, che c'entriamo noi con l'Opus Dei. Ma Rutelli è peggio, lui lo fa per calcolo (Gentile, ex Margherita). Il bonus è finito, è l'ultima chance (Zenoni, segretario di circolo). Alleanze, aprirsi di nuovo a sinistra, e vera opposizione, non può essere costituente una legislatura in cui Berlusconi domina Parlamento e media (il mitico Davide Ferrari, inventore con Paolo Volponi e da 25 anni direttore della Casa dei pensieri). Appelli all'organizazzione, i circoli devono funzionare, partito liquido un como, noi le tessere le facciamo, com'è che in altre regioni restano in cantina? Tornare ai comizi in piazza, e togliere il microfono a chi, presa una decisione, va a spiattellare il suo dissenso ai giornali (Marchigiani, ex Ds): «Ma non si chiamava centralismo democratico?»,bisbiglia sorridendo in sala la mamma del segretario provinciale De Maria che sta sul palco. Ecco, alla fine tocca a lui. Vogliono risposte, cosa replicherà? «La fase storica del mondo ci dice che è il tempo del Pd... La crisi dei mercati finanziari... Il pacchetto anticrisi di Sarkozy... I precari... Gli ammortizzatori sociali... La rete di volontariato...». Scruta l'orologio. «Guardiamo a una fase storica lunga.... Decidere anche a maggioranza...». Ora parla svelto. «La laicità... Il Manifesto dei valori...». Dieci minuti, questa è la sede del quartiere, a mezzanotte scatta l'allarme automatico. «Vincere a Bologna è responsabilità nazionale...». All'ultimo minuto, come la scarpina perduta, «l'innovativa proposta dei Bot comunali». Poi, tutti fuori di corsa. Prima che anche il Pd si trasformi di nuovo in zucca.