Patti Smith a Bologna. I
suoi arrivi segnano gli anni della mia generazione. Nel '79 mi
ricordo assediato in una sede piccola, ma gloriosa, della sinistra
più radicale, vigilare, far da concierge, garantire ospitalità ad
una masnada di teenagers traghettati a Bologna per ascoltare quella
che i rotocalchi chiamavano “la profetessa del rock”. Mettemmo
giorni e giorni per cancellare le scritte e i graffiti sui nostri
poveri muri. Non c'erano i telefonini e gli sms. I messaggi d'amore
si scolpivano, dai battiscopa, ad altezza di sacco a pelo, fino ai
soffitti (“come avranno fatto? Si saranno appesi ai lampadari?”).
Non erano ancora i giorni dei lucchetti a testimoniare imperitura
fedeltà, altrimenti avremmo dovuto lavorare di fiamma ossidrica. I
“ti amo”, comunque, sopravanzavano simboli e giuramenti
rivoluzionari. E' tornata più volte. La processione dei miei sodali
si è ripetuta. Già alle spalle la giovinezza, la si volle ritrovare
nelle atmosfere di Smith, nella sua voce personalissima, nei suoi
argomenti. Torna, domani. Farà visita anche al Museo della strage di
Ustica. Gliene dobbiamo essere grati. Si commuoverà certamente nel
vedere la sagoma uccisa del grande aeroplano e le magnifiche
installazioni di Boltanski. E' un luogo dell'anima, non solo della
memoria.
Una grande interprete
insegnerà a noi l'importanza di frequentare ed aiutare la cura di
quel museo. Ogni giorno. Per fortuna chi lo ha voluto, con fatica ed
intelligenza, lo mantiene vivo. Dovremmo metterlo in capo, nelle
schede, nei depliants di Bologna, per orgogliosa convinzione. Non lo
facciamo. Promettiamo, Patti Smith, da domani lo faremo. Promettiamo.
"Il contrario"
rubrica di Davide Ferrari
L'Unità E-R.
14 Luglio 2012