Perdere il proprio padre è sentire, immediato, il vuoto dei
ricordi non più condivisi nel dialogo, la vita comune non più rinnovata
nell’amore, nella confidenza quotidiana.
Per tutti è così. Noi figli di Aldo Ferrari sentiamo con
dolore la mancanza improvvisa (non importa l’età avanzata, non consola) di una
guida di immensa generosità, fino agli ultimi, lucidi giorni.
Un amico suo collega ci ha scritto che Aldo era “imponente e
gentile”. Un uomo che camminava leggero, senza odi e rancori, lieve nella sua corporeità
così massiccia.
Atleta in età giovanile, marinaio sui mezzi d’assalto visse,
poi, lo sbandamento di una fede sbagliata, razionalmente perduta dopo la
tragedia della guerra, senza incertezze e senza plateali abiure. Destinato per
tradizione familiare, plurisecolare, alla carriera militare ed all’ingegneria
aveva seguito altre ispirazioni, più vicine alla madre, la pittrice Emma
Dallolio, alla moglie, Lucia ed al cognato Costantino Della Casa, intellettuali
influenzati dalla Sinistra. Si era dedicato ad un mestiere, un’artigianato,
così lo considerava con rispetto e passione, fare il fotoreporter, correre in
Lambretta da un capo all’altro dell’Emilia-Romagna, in caccia di immagini. Dal
1950 al ’60 fu la sua grande stagione di fotografo. Dalle immagini,
straordinarie, del Polesine alluvionato, al volto di Ligabue, il poeta folle
degli argini e del dolore, diecimila scatti in dieci anni, un patrimonio.
Come hanno scritto Gregorio Scalise e Bruno Stefani
l’impronta pittorica, luminosa, nelle sue foto è saldamente legata all’ingegno
del taglio, della composizione, e a quel lavoro in camera oscura che produceva,
dalla congerie dei “clic”, il
capolavoro.
Luca Goldoni lo convinse a fare il giornalista, intuendone,
dalle didascalie, particolari, con le quali segnava le sue immagini, qualità di
sintesi e di ironia. Al Carlino restò per una lunga stagione, distinguendosi
come capocronista di Bologna, nel periodo della direzione di Enzo Biagi.
Anni, anche, di intenso impegno sindacale. Le sue fotografie
diventarono cronaca della vita personale. C’è in queste “altre” foto un secondo
patrimonio che andrà proposto alla conoscenza del suo pubblico, così cresciuto
in questi ultimi anni.
Donò alla Cineteca l’intera collezione delle foto
professionali, una mostra di inaspettato successo ne sancì una dimensione che è
andata via via crescendo.
Oggi Aldo è riconosciuto come uno dei fotoreporter di
maggior talento e alcune sue inquadrature possono stare nella storia della
fotografia italiana.
Anche da giornalista mantenne l’attenzione alla grafica,
all’impaginazione. Le sue pagine appaiono oggi, ideate per la composizione a
caldo e la linotype, di un’arditezza che stupisce.
Una vita multiforme, vissuta seguendo la brezza della
causalità e del talento: Aldo, nei suoi diversi mestieri, l’ingegnere,
l’artista.
Davide Ferrari, La Repubblica, 5 II 2013