martedì 5 febbraio 2013

Aldo


Perdere il proprio padre è sentire, immediato, il vuoto dei ricordi non più condivisi nel dialogo, la vita comune non più rinnovata nell’amore, nella confidenza quotidiana.
Per tutti è così. Noi figli di Aldo Ferrari sentiamo con dolore la mancanza improvvisa (non importa l’età avanzata, non consola) di una guida di immensa generosità, fino agli ultimi, lucidi giorni.
Un amico suo collega ci ha scritto che Aldo era “imponente e gentile”. Un uomo che camminava leggero, senza odi e rancori, lieve nella sua corporeità così massiccia.
Atleta in età giovanile, marinaio sui mezzi d’assalto visse, poi, lo sbandamento di una fede sbagliata, razionalmente perduta dopo la tragedia della guerra, senza incertezze e senza plateali abiure. Destinato per tradizione familiare, plurisecolare, alla carriera militare ed all’ingegneria aveva seguito altre ispirazioni, più vicine alla madre, la pittrice Emma Dallolio, alla moglie, Lucia ed al cognato Costantino Della Casa, intellettuali influenzati dalla Sinistra. Si era dedicato ad un mestiere, un’artigianato, così lo considerava con rispetto e passione, fare il fotoreporter, correre in Lambretta da un capo all’altro dell’Emilia-Romagna, in caccia di immagini. Dal 1950 al ’60 fu la sua grande stagione di fotografo. Dalle immagini, straordinarie, del Polesine alluvionato, al volto di Ligabue, il poeta folle degli argini e del dolore, diecimila scatti in dieci anni, un patrimonio.
Come hanno scritto Gregorio Scalise e Bruno Stefani l’impronta pittorica, luminosa, nelle sue foto è saldamente legata all’ingegno del taglio, della composizione, e a quel lavoro in camera oscura che produceva, dalla congerie dei “clic”,  il capolavoro.
Luca Goldoni lo convinse a fare il giornalista, intuendone, dalle didascalie, particolari, con le quali segnava le sue immagini, qualità di sintesi e di ironia. Al Carlino restò per una lunga stagione, distinguendosi come capocronista di Bologna, nel periodo della direzione di Enzo Biagi.
Anni, anche, di intenso impegno sindacale. Le sue fotografie diventarono cronaca della vita personale. C’è in queste “altre” foto un secondo patrimonio che andrà proposto alla conoscenza del suo pubblico, così cresciuto in questi ultimi anni.
Donò alla Cineteca l’intera collezione delle foto professionali, una mostra di inaspettato successo ne sancì una dimensione che è andata via via crescendo.
Oggi Aldo è riconosciuto come uno dei fotoreporter di maggior talento e alcune sue inquadrature possono stare nella storia della fotografia italiana.
Anche da giornalista mantenne l’attenzione alla grafica, all’impaginazione. Le sue pagine appaiono oggi, ideate per la composizione a caldo e la linotype, di un’arditezza che stupisce.
Una vita multiforme, vissuta seguendo la brezza della causalità e del talento: Aldo, nei suoi diversi mestieri, l’ingegnere, l’artista.

Davide Ferrari, La Repubblica, 5 II 2013