Bologna era equilibrio. Sviluppo, occupazione, redditi buoni, certo, ma soprattutto equilibrio.
Una presenza nel lavoro delle donne e altissimi livelli di occupazione, un rapporto non interrotto con la campagna ed una rete di fabbriche e fabbrichette, solide, capaci di brevetti, nella meccanica soprattutto.
Macchine per fare macchine, dove si applicavano operai e tecnici di buona e buonissima preparazione.
E poi il corollario intelligente della libertà del lavoro: l'urbanistica regolata, una socialità ed un consumo culturale proverbiali, i nidi, le scuole per l'Infanzia, il tempo pieno, l'Aldini-Valeriani e l'Università più aperta, a poco a poco.
Cosa resta di tutta questa Bologna? Inutile citare tutte le stazioni della Via Crucis, sgranare il rosario di ciò che fa luce e di ciò che si è spento. L'allarme è per una perdita che si sta accelerando: la crisi si sa, e il pensare a salvarsi invece di reinvestire. Saremo ancora una città che produce oppure un'escrescenza di ceti parassitari, in un'età -peraltro- senza più opulenza?
Passato il voto, che ci ha riunito, camminiamola, oggi, Bologna, mentre monta la polvere del caldo. Altri distretti, altre economie, potranno impiegare le braccia e le menti di chi ci saluta senza troppe speranze, di chi ci rimprovera-senza nasconderlo- che le nostre generazioni hanno avuto di più? Non allunghiamo il passo, per correre dietro al crepitio delle beghe. Camminiamo, veloci abbastanza per fare, lenti a sufficienza per discutere, per dialogare.
L'Unità Emilia-Romagna
"Il contrario”
rubrica di Davide Ferrari