mercoledì 6 marzo 2013

I funerali di mio babbo, Aldo Ferrari

Mercoledì 6 febbraio 2013, alle ore 15, nel cimitero di Borgo Panigale.




Grazie di essere qui con noi,
innanzitutto un saluto alla zia Nicoletta, sorella del babbo, che oggi è lontana ma vicinissima a noi,  ed al caro zio Serafino, con un amore grandissimo.

Grazie per i tanti messaggi, leggerò alcune parole da quello di Vasco Errani, Presidente della Regione,

"La capacita' di Aldo Ferrari di documentare e interpretare le vicende della citta' di Bologna, da fotoreporter e da giornalista, resta patrimonio della nostra comunita'. Con la sua scomparsa viene meno un uomo e un professionista che e' stato interprete della vita cittadina  impegnato alla guida del sindacato regionale dei giornalisti anche nella tutela della professione";
e da quello, così caro e amichevole di Virginio Merola, Sindaco di Bologna:

“Storico fotoreporter e giornalista, con i suoi scatti ha ritratto la nostra città rianimatasi dopo essere stata vittima del secondo conflitto mondiale, ed ha raccontato le personalità multiple che tra gli anni '50 e '60 popolavano Bologna, da quella sportiva a quella artistica. 
Con la scomparsa di Aldo Ferrari perdiamo un brillante testimone della storia della nostra città. A Ferrari va la riconoscenza di tutta Bologna, non solo per il servizio reso alla città con il suo lavoro, ma soprattutto per l'immenso patrimonio culturale e storico che ha lasciato in eredità alla nostra comunità, donando tutti i suoi scatti all'Archivio fotografico della Cineteca". 

E ci hanno raggiunto le parole di Beatrice Draghetti, Presidente della Provincia, cui siamo grati.

Ringraziamo Sergio Lo Giudice per il suo ricordo in consiglio comunale e per il minuto di silenzio che, insieme alla Presidente Simona Lembi, ha voluto dedicare ad Aldo, per testimoniare, come ha detto, che:
“Oggi il cordoglio della famiglia, a cui ci uniamo, è il cordoglio della città di Bologna per la perdita di un testimone attento e acuto di una parte  importante della propria storia”.
Ringrazio i dirigenti del PD che ci sono stati vicini, nella persona del Segretario Raffaele Donini, che è qui con noi.
Ringrazio tutti i parlamentari ed i candidati, salutando Andrea De Maria, per le sue parole e per la sua presenza qui.
Ringraziamo tutti i colleghi che ne hanno scritto, con affetto, sulla stampa. Tutti li salutiamo nella persona dell'amico, tanto caro al babbo, Luca Goldoni.
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SONO SEGUITI GLI INTERVENTI DI
Claudio Santini- collega e amico, former Presidente dell'Ordine dei giornalisti,
Giovanni Rossi- segretario nazionale della Federazione della Stampa,
Anna Fiaccarini- responsabile della Biblioteca “Renzo Renzi” e dei fondi fotografici della Cineteca di Bologna
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Il maestro Paolo Buconi, violinista, ha eseguito “Sarabanda” di Haendel.
http://www.youtube.com/watch?v=JSAd3NpDi6Q
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Care amiche, cari amici,

Perdere il proprio padre è sentire, immediato, il vuoto dei ricordi non più condivisi nel dialogo, la vita comune non più rinnovata nell’amore, nella confidenza quotidiana.
Per tutti è così. Noi figli  sentiamo, insieme con Paola, la sua compagna di questi anni, il dolore,  la mancanza improvvisa (non importa l’età avanzata, non consola) di una guida di immensa generosità, fino agli ultimi, lucidi giorni.
Un amico poeta, suo collega giornalista, Pier Damiano Ori, ci ha scritto che Aldo era “imponente e gentile”. Un uomo che camminava leggero, senza odi e rancori, lieve nella sua corporeità così massiccia.
Atleta in età giovanile, marinaio sui mezzi d’assalto, visse, poi, lo sbandamento di una fede sbagliata, razionalmente perduta dopo la tragedia della guerra, senza incertezze e senza plateali abiure, perché l'abiura non ha stile e non consente di capire, fino in fondo.
Destinato per tradizione familiare, plurisecolare, alla carriera militare ed all’ingegneria aveva seguito altre ispirazioni, più vicine alla madre, la pittrice Emma Dallolio, alla moglie, Lucia ed al cognato, il nostro zio geniale e sfortunato, Costantino Della Casa, intellettuale influenzato dalla Sinistra.
Si era dedicato ad un mestiere, un artigianato, così lo considerava con rispetto e passione, fare il fotoreporter, correre in Lambretta da un capo all’altro dell’Emilia-Romagna, in caccia di immagini. Dal 1950 al ’60 fu la sua grande stagione di fotografo. Dalle immagini, straordinarie, del Polesine alluvionato, al volto di Ligabue, il poeta folle degli argini e del dolore, diecimila scatti in dieci anni, un patrimonio.
Come hanno scritto Gregorio Scalise e Bruno Stefani l’impronta pittorica, luminosa, nelle sue foto è saldamente legata all’ingegno del taglio, della composizione, e a quel lavoro in camera oscura che produceva, dalla congerie dei “clic”, il capolavoro.
Oggi Aldo è riconosciuto come uno dei fotoreporter di maggior talento e alcune sue inquadrature -lo sappiamo-possono stare nella storia della fotografia italiana.
Anche da giornalista mantenne l’attenzione alla grafica, all’impaginazione. Alcune sue pagine appaiono oggi, ideate ancora per la composizione a caldo e la linotype, moderne, di un’arditezza che stupisce.
Le sue fotografie diventarono invece cronaca della vita personale. C’è in queste “altre” foto un secondo patrimonio che andrà proposto alla conoscenza del suo pubblico, così cresciuto in questi ultimi anni.
Una vita multiforme, vissuta seguendo la brezza della casualità e del talento: Aldo, nei suoi diversi mestieri, l’ingegnere, l’artista.

Tre cose costanti nella sua vita, lo abbiamo ascoltato dalle testimonianze proprio ora,
il lavoro,
la famiglia,
l'amicizia.
Dell'amicizia vorrei dire, in ultimo.
La morte lo ha trovato vivo, appassionato di tutto.
Come facesse a stare nell'attualità senza leggere,
senza aggiornarsi con lo studio,
senza ascoltare musica,
senza guardare film, come aveva il compiacimento di dire spesso, esagerando,
ce lo chiedevamo.
La risposta è che
imparava con gli amici, nella frequente convivialità, che gli era necessaria,
i mitici compagni di scuola, la pluriclasse del Galvani, così la definiva Claudio Santini ironizzando sul numero dei componenti che il babbo citava,
i compagni d'arme e di sport,
i colleghi,
lo “stupidario”, la congrega del buon tempo cui tanto era legato,
le telefonate con il Brasile, con Ial Ceciliato, con Skype, in webcam, due veri “nonni multimediali” così meno soli e uniti sempre.

Un pomeriggio, dall'Università, da  Bressanone, gli telefonai per raccontargli la mia lezione conclusiva di un ciclo sui poeti contemporanei, lo facevo sempre.
Gli dissi che avevo terminato con una poesia-canzone di Roberto Roversi , ben nota.
Gli piacque molto, e lui mi aiutò a capire che parlava anche della solitudine del vecchio, espressa in prima persona,  non soltanto della solita nostra generazione degli anni '60 e '70, come può sembrare,e della necessità e dovere di parlare con gli altri, di ritrovarsi sempre, soprattutto con i più giovani,  i ragazzi,  chi ci segue...

Se vuoi toccare sulla fronte il tempo che passa volando,
in un marzo di polvere di fuoco
e come il nonno di oggi sia stato il ragazzo di ieri
se vuoi ascoltare non solo per gioco il passo di mille pensieri
chiedi chi erano i Beatles

Se vuoi sentire sul braccio il giorno che corre lontano,
e come una corda di canapa è stata tirata
o come la nebbia inchiodata tra giorni sempre più brevi
se vuoi toccare col dito il cuore delle ultime nevi
chiedi chi erano i Beatles

Perché la pioggia che cade è presto asciugata dal sole
un fiume scorre su un divano di pelle
ma chi erano mai questi Beatles
di notte sogno città che non hanno mai fine
sento tante voci cantare e laggiù gente risponde
nuoto tra onde di sole e cammino nel cielo del mare
ma chi erano mai questi Beatles.
(http://www.youtube.com/watch?v=NzF1Vf5Ro9E)

Addio,

con te, babbo, Fiammetta ed io, salutiamo oggi chi abbiamo già perduto, gli altri nonni amatissimi da Elena e Rosa, da tutti noi,  Luisa e Walter Moretti, Luciana e Glauco Cremaschi, e salutiamo colei cui ogni momento ci rivolgiamo, noi, i figli che ti ha dato, la nostra mamma, Lucia.
Ciao , babbo.