l“I
giovani non hanno voglia di
lavorare”:
frase fra le più
ingiuste
ed irritanti. questa
espressione
eterna , inaccettabile
ma
ingenua, in bocca ai più
rancorosi
fra i vecchi di ogni
tempo,
diventa una offesa se
ripetuta
da padroni e dirigenti. Per
i
giovani il lavoro non c'è. Quando
lavorano,
lo fanno per poco tempo,
per
pochissimi soldi, con diritti
deboli
e difficili da far rispettare.
Quando
tutto è cominciato, la crisi
era
sconosciuta, sembrava
inevitabile
la prosperità, ci
raccontarono
che bisognava
rassegnarsi:
mentre l'industria si
frazionava
e si delocalizzava,
evaporava,
avremmo avuto l'ascesa
di
un nuovo proletariato giovanile,
nel
terziario più diffuso, di bassa
qualità,
in sostanza. I volti allegri
per
natura dei giovani al desk dei
fast
food parvero raccontare il lato
buono
della trasformazione in
corso.
Oggi sappiamo che questi
cambiamenti
ci hanno reso più
deboli.
Non c'è solo la “cattiva”
finanza,
contro cui sono tutti
d'accordo.
C'è un impoverimento
pauroso
della qualità del sistema
produttivo
e, nello stesso tempo,
della
qualità del lavoro. Mentre ai
tavoli
fast crescono i disagiati e gli
anziani,
anche qui, nelle nostre
terre
più forti, nella catena dei
panini,
simbolo di un consumo “a
portata
di tutti”e “moderno”, si
affannano
e si avvicendano persone
concrete,
giovani con poca tutela,
troppo
soli. Ora c'è chi, tra loro,
protesta.
«Hanno studiato troppo»,
gli
rimproverano, «per questo sono
insoddisfatti».
Si dice che per
acchiappare
più voti bisogna
sapersi
presentare, “rinfrescarsi”.
Sarà
così. ma è urgente ascoltare,
voler
capire, non voltare lo sguardo
al
disagio e al conflitto. Cominciamo
da
qui
IL CONTRARIO,
rubrica di DAVIDE FERRARI
L'Unità E-R 9 III 2013