Mentre un negozio apre, tre chiudono. E’ l’ultimo dei tanti
bollettini statistici che scandiscono una crisi infinita. Succede qui in
Emilia-Romagna, in questo 2013. e altrove va anche peggio. Qualcuno chiude per
mettersi in salvo con il suo “gruzzoletto” dopo molti anni di un lavoro
remunerativo ma faticosissimo. C’è anche questo: una anticipata chiusura di
attività per sfiducia. Ma, nella grande maggioranza dei casi la serranda si
abbassa perché ad andare avanti non si riesce. Le famiglie non incassano,
dividono quel che hanno con sempre più disoccupati o male occupati al loro
interno. Ogni spesa si assottiglia o si rimanda. Quanti sciagurati hanno
scritto in questi anni esortando i giovani al libero commercio in proprio. Costruitevi
voi il lavoro, dicevano.
Certo, il piccolo commercio può essere, in qualche misura e
per un tempo limitato, “anticiclico”, cioè andare bene anche a quando le grandi
centrali produttive si fermano. Ma , a lungo andare, tutto si eguaglia. Se non
si produce e non si guadagna non si compra. E infatti chi vende chiude. Che fare?
Il contrario di quello che ci fanno fare. Bisogna far ripartire l’economia ed
il lavoro , con una forte leva pubblica. Raccogliere tutto il poco denaro che c’è
e investire, subito, garantendo il debito a livello continentale. Lo scrivono
con chiarezza economisti di una nuova e solida generazione, come Ronny
Mazzocchi che abbiamo recentemente ascoltato a Bologna. Ma vi sono interpreti politici di una svolta
come questa, in Europa e a casa nostra? Letta non è Monti. La consapevolezza di
essere finiti su un treno che corre verso il baratro sembra farsi strada.. Ma
troppo lentamente. Troppo.
"Il contrario"
Rubrica di Davide Ferrari
L'Unità E-R, 15 Giugno 2013