Dal referendum bolognese
alle elezioni amministrative, l'astensione è stata protagonista.
Passati alcuni giorni si
può, si deve, andare oltre le prime interpretazioni, pur legittime.
E' vero: referendum poco
votato equivale a referendum sbagliato o, almeno, caricato di attese
esagerate ed estranee alla realtà, molto circostanziata del quesito.
La “carica” ha motivato ma ha anche molto allontanato.
Tuttavia deve riflettere
anche chi questo referendum non ha voluto.
La lontananza e la non
appartenenza di tanti, su un punto come la scuola deve preoccupare,
anche se facilitata da un “aut-aut” referendario poco
sostenibile.
Abbraccia non soltanto i
“blocchi politici”, ma anche identità di grandissima rilevanza,
come l'insieme ecclesiale.
Non esprimersi, esprime.
Molte cose e non positive.
Lo si è visto alle
amministrative. Sono un risultato “strategico” per la democrazia
le belle affermazioni del PD, nel momento più difficile. Danno però
al PD in primo luogo la responsabilità di opporsi alla mancanza di
speranza, di parlare a chi si dichiara con il “non voto”.
Separarsi dal quadro “dato” della politica potrebbe essere
precedente a scelte critiche. La ripresa di fenomeni contestativi
estremi sembra dietro l'angolo, anche se ancora poco se ne parla.
Anche la crisi di Grillo, meritata, va
considerata con
attenzione. Vediamo ora che il consenso ricevuto alle politiche era
parte di un problema che cresce e si trasforma, tornando al “No”
assoluto del “non voto”. Quali le scelte di domani di questo
“popolo separato” dalla partecipazione? Come agirvi? Come riunire
la nostra società civile? Sono le vere domande. Ora è il tempo di
rispondere.
L'Unità E-R, 1 Giugno 2013