Alle fermate senza bus, con i
passeggeri arrabbiati per gli scioperi all'improvviso, si sono
ritrovati a dire No, amministratori pubblici e portavoce dei partiti.
E' naturale, è giusto. I trasporti, nella vita quotidiana, sono una
dura necessità. Qualunque protesta deve tenerne conto. Ma, sì c'è
un ma, la condanna va ribadita-chiara- ma non basta.
Affermatisi nel boom degli anni dello
sviluppo e della redistribuzione sociale, come una categoria di
“aristocrazia operaia” i lavoratori dei trasporti urbani erano
fra le colonne di un sindacalismo forte e consapevole. Poi è caduta,
nonostante la resistenza dei nostri Enti Locali, la pioggia fitta
della destrutturazione e della precarizzazione, del risparmio a tutti
i costi sulla manodopera, la pioggia acida delle “altre priorità”.
La responsabilità vince quando ci si sente “importanti” per
tutto il sistema. Ma, i trasporti, lo sono ancora? Leggi dopo leggi
hanno stabilito: i costi sono troppo alti , bisogna tagliare,
competere. Ci pensino i privati o almeno li si imiti. Ma un treno, un
autobus non sono merci qualunque, sono i mezzi sui quali un mercato
sano dovrebbe poter correre. Hanno una funzione sociale, per
l'economia e per la qualità della vita. Sono, poi, l'alternativa,
se di qualità, alla dissipazione energetica ed all'inquinamento. Non
sappiamo se i “rivoltosi“ credono in queste ragioni. La loro
forma di lotta certo favorisce l'opposto, un altro passetto verso il
degrado, nell'Italia dei vaffanculo. Ma se ad ogni critica loro
rivolta non si unisce il richiamo e l'impegno ad una svolta, il senso
del trasporto come bene comune, la risposta sarà generica e debole.
Troppo.
"Il contrario"
rubrica di Davide Ferrari
L'Unità E-R
16 III 2013