Diciamo la verità: abbiamo tutti paura della fine del mondo. Fra buchi dell’Ozono sul cielo di mezzo pianeta, ghiacciai e calotte artiche diventate meno resistenti di un Cof a Ferragosto e vulcani in libera uscita, abbiamo spesso il cuore serrato, molto più di quanto vogliamo ammettere, e la testa che cerca di non pensarci. C’è il rischio di perdere il confine fra immaginario e realtà, di assorbire la fine, di non credere in nessun futuro. Fenomeni della psiche. C’è però chi si incarica di far diventare reali i nostri spettri. Abbiamo letto di un virus che avrebbe la forza di uccidere meta' della popolazione mondiale. Non nasce dalla cacca dei piccioni cinesi, caduta nella mangiatoia degli innocenti suini messicani. E' stato realizzato da un laboratorio olandese. Sono bastate poche modifiche all'H5N1, quello dell’influenza aviaria, prodotte facendo ammalare dei poveri furetti. I simpatici animaletti pare abbiano un sistema respiratorio fra i più simili a quello umano.
Un tempo, per noi, l’Olanda era quella della nota contadinella dei detersivi. Con la sua mano evitava l’annegamento a Calimero. Un’olandesina buona, candida, utile.
Oggi gli “olandesini” si divertono a produrre virus, “per vedere l’effetto che fa”. Dicono che servirà per studiare rimedi. Intanto si producono pericoli, poi si vedrà…
"E’ il virus piu' letale che si possa immaginare” , dichiara lo scienziato Ron Fouchier, capo del progetto di ricerca. Vuole essere invitato da Barbara D’Urso, vuole la medaglia del Guinness? Dovrà insistere. Ci sono dei concorrenti. Pare possano vantare gli stessi risultati i protagonisti di un’altra ricerca, guidata da tale Yoshihiro Kawaoka dell'Universita' del Wisconsin. Così, se qualcosa va storto, invece di sterminarne solo la metà potremmo arrivare alla scomparsa totale, degli uomini e dei furetti. Dopo ci penseranno le zebre, i tonni ed i moscerini a prendersi cura del Pianeta.
Le riviste del settore pare siano incerte, bontà loro, sulla pubblicazione dei dati. Se qualcuno in cucina volesse provare a riprodurre i virus? Si chiedono. Ni invece ci chiediamo: saranno mille e tutte buonissime le ragioni di questi scienziati. Tuttavia non ci dispiacerebbe affidarli ai parenti dei furetti sacrificati. La D ’Urso continuerà a far ballare il walzer sui bicchieri da chi mangia la mortadella con le orecchie? Pazienza.
Mala Lingua
rubrica di Davide Ferrari
"Sardegna quotidiano"
30 XI 2011
mercoledì 30 novembre 2011
domenica 27 novembre 2011
Centrosinistra. Navigare insieme.
Il Centrosinistra: ha amato segnalarsi con bellissime specie arboree, ma rassomiglia più agli animali degli abissi marini. Il suo ritratto è nelle tavole dei manuali, cangiante di forme, imponente e misterioso. Eppure ancora qualcuno dubita della sua sopravvivenza nell’attualità. Non noi. Anzi lo vorremmo solido, tratto d’unione fra ideali, programmi e necessità di Governo. Soprattutto oggi. Dovrebbe essere così: più ci si unisce nell’ Union sacree attorno a Monti, più si pone mano ad un programma proprio, di cambiamento. Ma l’Alleanza non è facile. Anche qui si discute. A Bologna, ad esempio, sul People Mover . Il Sindaco, come da poteri e da autorevolezza, ha parlato e si è assunto le proprie responsabilità. Le categorie economiche paiono concordi sul Sì. C’è però un movimento contro, abbastanza vasto e forte del consenso di alcune valide personalità. C’è da sperare che nessuno voglia l’eredità della vicenda Civis, nel senso-attenzione- di raccogliere la spinta del “meglio non far nulla”. Forse una navigazione in un mare preventivamente mappato insieme, su una barca condivisa aiuterebbe a superare lo scoglio del diverso parere su questo punto. A Sinistra le tentazioni di rifiutare una cultura di governo sono costanti, per vincerle bisogna sfidarle alla responsabilità. Soprattutto adesso.
Il contrario
rubrica di Davide Ferrari
L'Unità Emilia-Romagna
26 XI 2011
Il contrario
rubrica di Davide Ferrari
L'Unità Emilia-Romagna
26 XI 2011
martedì 22 novembre 2011
Il nuovo disco di Silvio. Il resto è passato.
Silvio Berlusconi è nato Bilancia. Tratti caratteristici del segno sono gli occhi languidi, l’ attaccamento agli amici fino all’intransigenza sui loro difetti, vissuti con paterna preoccupazione, e una vocazione artistica, per esempio il canto.
Tutto quadra. Vien da chiedersi perché con tante buone qualità l’ex Premier abbia voluto dedicare la sua vita al potere, mostrando così altre note caratteristiche, che forse sarebbero rimaste sepolte sotto i ghiacci di una vita quotidiana più semplice, come la mummia del Similaun.
Fatto sta che l’ex entertainer, con Villaggio e De Andrè, nelle crociere degli anni ’50, perduto il vertice si ripropone alla base della sua personalità. E’ in uscita un altro suo disco. Sono duetti con Apicella, ancora una volta. Il bravo musicista è da sempre nel cuore di Silvio, forse più degli ignudi compagni dei bunga bunga. Si chiamerà “Il vero amore”. Il nome sembra azzeccato. Nelle fotografie gli sguardi del chitarrista e dell’anziano singer di Arcore appaiono addolciti, sereni, crisi e sconfitte sono dimenticate. Sono messe da parte quelle Miss, impietose a pagamento, sempre pronte, nei festini, a giudicarti la tenuta dell’epidermide più riservata. Apicella è la vera passione. Forse è lui, possiamo pensarlo senza alcuna malizia, il legame stabile al quale, nei momenti più confusi della vicenda Ruby, Silvio ha fatto riferimento. Il leader scrive i testi e Apicella la musica, come Mogol e Battisti. Silvio è un po’ poeta, lo sappiamo, per questo nei suoi discorsi, nelle frasi intervallate dagli storici “mi consenta” e “cribbio”, la verità e l’illusione si confondevano tanto frequentemente. Dal milione di posti di lavoro al ponte sullo stretto di Messina: dobbiamo giudicare con meno severità le sue dilatazioni della realtà. Furono licenze poetiche.
La cattiveria della politica mal si addiceva alla sua sensibilità dolce. La politica non può essere il luogo di vita di chi è sempre pronto a dare, a dare. C’è ancora chi gli chiede prestiti, persino dagli arresti, come lo spendaccione Lele Mora. Lo fanno perché sanno il suo grande cuore, non per i limiti infiniti del suo portafoglio.
D’altra parte anche i nuovi capelli incollati alla rotondità del cranio con la garavella di un liutaio, hanno il colore ambrato di una mandola.
E’ questa la vera vita di Berlusconi. Il resto? Una brutta parentesi.
Mala Lingua
rubrica di Davide Ferrari
"Sardegna quotidiano"
23 11 2011
Tutto quadra. Vien da chiedersi perché con tante buone qualità l’ex Premier abbia voluto dedicare la sua vita al potere, mostrando così altre note caratteristiche, che forse sarebbero rimaste sepolte sotto i ghiacci di una vita quotidiana più semplice, come la mummia del Similaun.
Fatto sta che l’ex entertainer, con Villaggio e De Andrè, nelle crociere degli anni ’50, perduto il vertice si ripropone alla base della sua personalità. E’ in uscita un altro suo disco. Sono duetti con Apicella, ancora una volta. Il bravo musicista è da sempre nel cuore di Silvio, forse più degli ignudi compagni dei bunga bunga. Si chiamerà “Il vero amore”. Il nome sembra azzeccato. Nelle fotografie gli sguardi del chitarrista e dell’anziano singer di Arcore appaiono addolciti, sereni, crisi e sconfitte sono dimenticate. Sono messe da parte quelle Miss, impietose a pagamento, sempre pronte, nei festini, a giudicarti la tenuta dell’epidermide più riservata. Apicella è la vera passione. Forse è lui, possiamo pensarlo senza alcuna malizia, il legame stabile al quale, nei momenti più confusi della vicenda Ruby, Silvio ha fatto riferimento. Il leader scrive i testi e Apicella la musica, come Mogol e Battisti. Silvio è un po’ poeta, lo sappiamo, per questo nei suoi discorsi, nelle frasi intervallate dagli storici “mi consenta” e “cribbio”, la verità e l’illusione si confondevano tanto frequentemente. Dal milione di posti di lavoro al ponte sullo stretto di Messina: dobbiamo giudicare con meno severità le sue dilatazioni della realtà. Furono licenze poetiche.
La cattiveria della politica mal si addiceva alla sua sensibilità dolce. La politica non può essere il luogo di vita di chi è sempre pronto a dare, a dare. C’è ancora chi gli chiede prestiti, persino dagli arresti, come lo spendaccione Lele Mora. Lo fanno perché sanno il suo grande cuore, non per i limiti infiniti del suo portafoglio.
D’altra parte anche i nuovi capelli incollati alla rotondità del cranio con la garavella di un liutaio, hanno il colore ambrato di una mandola.
E’ questa la vera vita di Berlusconi. Il resto? Una brutta parentesi.
Mala Lingua
rubrica di Davide Ferrari
"Sardegna quotidiano"
23 11 2011
sabato 19 novembre 2011
Movimenti. La nostra bussola dice: dialogo.
A Bologna ci si indigna facilmente. L’Emilia-Romagna ha visto fiorire tutti i movimenti politici. Oggi la crisi ed anche un certo quale recupero dell’attrattiva delle ideologie produce il fenomeno, detto alla spagnola, degli “indignados”. Come fu per i “gauchistes” della metà degli anni ’60, al loro inizio i movimenti sono definiti da nicknames in lingua estera. Poi, se il momento è propizio, mettono radici. La prima domanda di fronte alle occupazioni, alle trattative e agli sgomberi, è proprio questa: siamo in presenza di fuochi di paglia, déjà vus, oppure, come crediamo, si tratta di scintille più significative, di un conflitto destinato a crescere?
Sono troppe le contraddizioni sociali accumulate. E il quadro politico che, caduto Berlusconi, ritrova una positiva occasione unitaria, può correre il rischio oggettivamente di non rappresentare aree importanti, per opinione e volontà. Non vanno respinte fuori dalla vita democratica.
Abbiamo già vissuto l’Unità nazionale, da un lato, ed il ’77 dall’altro. Tutto è diverso. Ma la storia deve insegnare. Se fossimo il capitano Jack Sparrow la bussola ci indicherebbe di puntare sul dialogo, nella chiarezza, certo, e nella legalità. Non è facile. Altri soffieranno sul fuoco. E’ un compito nostro, una parte della responsabilità nazionale che ci siamo assunti.
Il contrario
rubrica di Davide Ferrari
L'Unità Emilia-Romagna
19 11 2011
Sono troppe le contraddizioni sociali accumulate. E il quadro politico che, caduto Berlusconi, ritrova una positiva occasione unitaria, può correre il rischio oggettivamente di non rappresentare aree importanti, per opinione e volontà. Non vanno respinte fuori dalla vita democratica.
Abbiamo già vissuto l’Unità nazionale, da un lato, ed il ’77 dall’altro. Tutto è diverso. Ma la storia deve insegnare. Se fossimo il capitano Jack Sparrow la bussola ci indicherebbe di puntare sul dialogo, nella chiarezza, certo, e nella legalità. Non è facile. Altri soffieranno sul fuoco. E’ un compito nostro, una parte della responsabilità nazionale che ci siamo assunti.
Il contrario
rubrica di Davide Ferrari
L'Unità Emilia-Romagna
19 11 2011
giovedì 17 novembre 2011
Buon Natale, Sirio.
Fra poco è Natale. Infatti, quando non alluvia, piove come ad Aprile e fa caldo come a Settembre. Lo sconvolgimento del clima cambia tutto. Per fortuna, a rammentarci il Calendario, giungono puntuali le polemiche di stagione. Così, a Bologna, ritorna la tradizionale discussione prenatalizia su Sirio, il vigile elettronico. Bisogna spegnerlo, durante le feste? Il Comune, negli anni scorsi, lo ha fatto. Sia il roccioso Cofferati che il fuggevole Del Bono hanno spento. Contenti i commercianti. Scontenti quei rari animali civici che, a piedi o in bicicletta, in autobus o arrovellandosi per trovare un parcheggio, sono soliti prendersela a male per una regola oscurata. Non si ricorda mai abbastanza che Sirio non è un divieto in più ma soltanto la certezza di non poter “sfuggire” se si trasgrediscono le regole. Questa volta, il Sindaco Virginio Merola non spegnerà. Si troveranno, forse, altre vie per rispondere alla preoccupazione, legittima e comprensibile di chi, nel periodo che sta arrivando deve vendere il più possibile, per pareggiare i conti difficili della crisi. Siamo d’accordo con il Sindaco. Ci sostengono le ragioni della salute e dell’ambiente ma, di più, le motivazioni della correttezza. Fino a che l’Italia sarà il paese delle centinaia di migliaia di leggi e norme dimenticate, del: “Ma tanto poi…”, dei penultimatum, avremo poche speranze. D’altra parte era stata condotta una verifica dopo le prime esperienze di parziale riapertura babbonatalizia. Ricorderemo male ma ci pare che i risultati non avessero segnalato incrementi di vendita molto significativi. E’ che le abitudini dei cittadini sono consolidate, non mutano allo scattare della scatola magica. Un po’ di maggior rigore non violenta, fotografa invece i comportamenti. E’ quindi davvero il caso di guadagnare continuità. Si dirà che si parte con le piccole cose. Qualcuno troverà il modo di sacramentare contro i privilegi della casta (argomento-maionese che va bene su tutti i piatti). Eppure se tanto se ne parla, da anni e anni, se cercarono per tanto tempo di non farlo partire, evidentemente Sirio a qualcosa serve. Questa rinnovata “rigidità” trova una sponda nelle notizie che arrivano dalla Padania. Anche sindaci ariani e celtiberi, come il mitico Tosi di Verona, sono alla prese con problemi similari. Colui che era uso girare con un felino al guinzaglio corredato dal cartello recante la scritta: “Magna el teron”, sembra sia alle prese con piani del traffico cogenti e limitanti. Fioccano, sotto il balcone di Giulietta, le raccolte di firme e attorno all’Arena, è tutto un alzar di voci. Anche in riva all’Adige molti vorrebbero andare in macchina, vale a dire finire nell’ingorgo, sempre e dovunque. Però alla lunga, forse troppo alla lunga, il buon senso torna a galla e prevale. Sirio non è una ideologia, è una necessità.
”Il contrario”
rubrica di Davide Ferrari
L'Unità Emilia-Romagna
17 Novembre 2011
”Il contrario”
rubrica di Davide Ferrari
L'Unità Emilia-Romagna
17 Novembre 2011
mercoledì 16 novembre 2011
L'Italiano, nel tempo della crisi.
Lo sappiamo: la crisi ci cambierà la vita. Già l’ha cambiata a milioni di italiani, vecchi e nuovi: ai disoccupati, agli scoraggiati che non si registrano nemmeno più al collocamento, ai precari, ai giovani che non entrano nel mercato del lavoro e agli stagionati che vivono nel terrore di uscirvi E poi ci sono i pensionati e i vicini alla pensione (“Ci taglieranno e quanto?”). Ai quasi tutti, sotto scopa per il mutuo.
La crisi vive di drammi e paura. Anche di parole. Un tempo noti solo a pochi addetti, i termini della finanza e dei mercati sono entrati nel parlare comune. Si infilano ogni giorno dalle orecchie ed escono sibilando dalle nostre bocche.
L’Italiano è una lingua duttile, flessibile, assorbente come una spugna. Il nazionalismo lo riserviamo solo agli Azzurri del calcio, quando riusciamo a battere la rappresentativa delle isole Faer Oer. Siamo lontani dai francesi che sbarrano la strada dei loro vocabolari alle parole straniere. Mussolini impose “filmo”, “Rascele” e “Osiri”: tutti risero mormorando, giustamente. Qui le parole nuove entrano, si allargano, spadroneggiano. Dall’astronautica all’informatica, l’Inglese, amato da noi più che da tutti e parlato meno che in qualunque altro paese, ha allagato le lingue, ha trasformato e si è trasformato. Se ne accorse Totò con i suoi “cocomeri americani“, il giaccone militare con gli alamari, anzi i “calamari”, e il suo “schiusmi” al polismano, “generale austriaco”, con il suo “breccofisso”, la colazione con il niente, lo “uicchè”, il riposo fine-settimanale scoperto da un popolo senza soldi e senza orari. E oggi cosa non direbbe Totò? Come riciclerebbe i paurosi detti delle altalene di borse e del nostro futuro che, ci dicono, vacilla? Sono gli italiani quotidiani a fare le sue veci, accorpando, tagliando ed incollando le parole che, più o meno, imparano.”Lasciami stare, ho uno spread alla testa!” Così Lei sfugge alla routine matrimoniale. “E’ saltata la stagnazione. Domani chiama l’idraulico”.”Non ti dico la recessione, proprio qui alla spalla. Terribile”. “Ho comprato dai cinesi un bond a microonde. E’ già rotto!”.
Ci aspetta Natale, in questo tempo di alluvioni e siccità. Hanno tolto la neve persino dalla pubblicità. Con il portafoglio snello, agile, sottile, ci verrà da guardare gli acquisti degli altri: “Ma andassero tutti a fa-un default!”
Mala Lingua
rubrica di Davide Ferrari
"Sardegna quotidiano" 16 11 2011
La crisi vive di drammi e paura. Anche di parole. Un tempo noti solo a pochi addetti, i termini della finanza e dei mercati sono entrati nel parlare comune. Si infilano ogni giorno dalle orecchie ed escono sibilando dalle nostre bocche.
L’Italiano è una lingua duttile, flessibile, assorbente come una spugna. Il nazionalismo lo riserviamo solo agli Azzurri del calcio, quando riusciamo a battere la rappresentativa delle isole Faer Oer. Siamo lontani dai francesi che sbarrano la strada dei loro vocabolari alle parole straniere. Mussolini impose “filmo”, “Rascele” e “Osiri”: tutti risero mormorando, giustamente. Qui le parole nuove entrano, si allargano, spadroneggiano. Dall’astronautica all’informatica, l’Inglese, amato da noi più che da tutti e parlato meno che in qualunque altro paese, ha allagato le lingue, ha trasformato e si è trasformato. Se ne accorse Totò con i suoi “cocomeri americani“, il giaccone militare con gli alamari, anzi i “calamari”, e il suo “schiusmi” al polismano, “generale austriaco”, con il suo “breccofisso”, la colazione con il niente, lo “uicchè”, il riposo fine-settimanale scoperto da un popolo senza soldi e senza orari. E oggi cosa non direbbe Totò? Come riciclerebbe i paurosi detti delle altalene di borse e del nostro futuro che, ci dicono, vacilla? Sono gli italiani quotidiani a fare le sue veci, accorpando, tagliando ed incollando le parole che, più o meno, imparano.”Lasciami stare, ho uno spread alla testa!” Così Lei sfugge alla routine matrimoniale. “E’ saltata la stagnazione. Domani chiama l’idraulico”.”Non ti dico la recessione, proprio qui alla spalla. Terribile”. “Ho comprato dai cinesi un bond a microonde. E’ già rotto!”.
Ci aspetta Natale, in questo tempo di alluvioni e siccità. Hanno tolto la neve persino dalla pubblicità. Con il portafoglio snello, agile, sottile, ci verrà da guardare gli acquisti degli altri: “Ma andassero tutti a fa-un default!”
Mala Lingua
rubrica di Davide Ferrari
"Sardegna quotidiano" 16 11 2011
mercoledì 9 novembre 2011
Il Principe ed i 133 valletti.
Il Principe ereditario a vita Carlo d’Inghilterra è un uomo dalle molti virtù. Peccato che mai a nessuno sia riuscito di ricordarne una.
E’passato alla storia fin da giovanissimo per l’assenza di vocazioni e per l’impossibilità di portarne alla luce i talenti, anche ai più esperti precettori. Da tempo non capitava di sapere qualcosa di nuovo su di lui, almeno in Italia. Al massimo possiamo ricordare qualche comparsata involontaria a “Striscia la notizia”, che da lustri insiste sul tormentone sulle attrattive della Parker Bowles. E’ la nuova generazione a tenere banco, quella dei figli, più belli tutti di lui grazie alla tenerezza di Diana.
Squarcia la dimenticanza una inchiesta effettuata in Albione sulle spese personali di Carlo. Sono cospicue. Pare che i valletti addetti alla sua persona siano 133, appena meno numerosi delle “giacche rosse” di una compagnia di Wellington. Ad uno è affidata la cura dei lacci delle sue scarpe. Questo attendente, cui i mocassini debbono sembrare quello che è la Gelmini per i precari della scuola, ogni qualvolta il Principe si toglie i calzari, o qualcuno glieli sfila graziosamente, immediatamente provvede a stirarne le stringhe, per dedizione al vecchio Infante. Eppure l’eleganza non è mai stata il punto di forza della famiglia reale. I loro cappelli Montgolfier, i completi equini, le giacche da caccia alla volpe indossate in Polinesia, tutto il quadro è apparso sempre improponibile agli occhi di noi latini, educati dalla leggerezza delle Fontana.
E’ che noi non si guardava in basso, non ci si avvedeva del fulgore dei lacci, della metallica piega che consente loro di fendere l’aria con il minimo di attrito, real contributo al risparmio energetico e alla lotta per il cambiamento del clima.
E gli altri 132 valletti cosa faranno tutto il giorno? Le duecento camice di Charles censite a Buckingam Palace saranno impegnative, tuttavia il senso di uno spreco c’è. Si potrebbe pagare il debito della Grecia con i loro stipendi, pare. Al confronto impallidiscono le cifre della casta politica italiana. Il Principe Scilipoti, il funambolo della poltrona, torna ad essere un signor nessuno. Forse però siamo ingiusti con noi stessi. Può darsi che l’Italia sia ancora avanti. Chi sa che i capelli in fibra ottica del nostro Silvio non valgano di più dei fili stracotti di amido che chiudono le scarpe di Carlo?
"Mala Lingua"
rubrica
di Davide Ferrari
"Sardegna quotidiano"
9 XI 2011
E’passato alla storia fin da giovanissimo per l’assenza di vocazioni e per l’impossibilità di portarne alla luce i talenti, anche ai più esperti precettori. Da tempo non capitava di sapere qualcosa di nuovo su di lui, almeno in Italia. Al massimo possiamo ricordare qualche comparsata involontaria a “Striscia la notizia”, che da lustri insiste sul tormentone sulle attrattive della Parker Bowles. E’ la nuova generazione a tenere banco, quella dei figli, più belli tutti di lui grazie alla tenerezza di Diana.
Squarcia la dimenticanza una inchiesta effettuata in Albione sulle spese personali di Carlo. Sono cospicue. Pare che i valletti addetti alla sua persona siano 133, appena meno numerosi delle “giacche rosse” di una compagnia di Wellington. Ad uno è affidata la cura dei lacci delle sue scarpe. Questo attendente, cui i mocassini debbono sembrare quello che è la Gelmini per i precari della scuola, ogni qualvolta il Principe si toglie i calzari, o qualcuno glieli sfila graziosamente, immediatamente provvede a stirarne le stringhe, per dedizione al vecchio Infante. Eppure l’eleganza non è mai stata il punto di forza della famiglia reale. I loro cappelli Montgolfier, i completi equini, le giacche da caccia alla volpe indossate in Polinesia, tutto il quadro è apparso sempre improponibile agli occhi di noi latini, educati dalla leggerezza delle Fontana.
E’ che noi non si guardava in basso, non ci si avvedeva del fulgore dei lacci, della metallica piega che consente loro di fendere l’aria con il minimo di attrito, real contributo al risparmio energetico e alla lotta per il cambiamento del clima.
E gli altri 132 valletti cosa faranno tutto il giorno? Le duecento camice di Charles censite a Buckingam Palace saranno impegnative, tuttavia il senso di uno spreco c’è. Si potrebbe pagare il debito della Grecia con i loro stipendi, pare. Al confronto impallidiscono le cifre della casta politica italiana. Il Principe Scilipoti, il funambolo della poltrona, torna ad essere un signor nessuno. Forse però siamo ingiusti con noi stessi. Può darsi che l’Italia sia ancora avanti. Chi sa che i capelli in fibra ottica del nostro Silvio non valgano di più dei fili stracotti di amido che chiudono le scarpe di Carlo?
"Mala Lingua"
rubrica
di Davide Ferrari
"Sardegna quotidiano"
9 XI 2011
sabato 5 novembre 2011
A Bologna si può fare.
E' luogo comune che mentre altre città nel decennio scorso hanno ricostruito la propria immagine, innovato e realizzato, Bologna sia diventata la capitale del ristagno.
Gli esempi internazionali, che ci sono stati scagliati addosso come corpi contundenti, sono noti: Lione, Valencia, perfino le metropoli della Cina in avvicinamento. Altrettanto noto è l'esempio in Italia. E' Torino. Dalle Olimpiadi del 2006 si è detto che Torino dimostrava che “se si vuole si può”, dell'inutilità delle doleances dei Comuni contro i tagli e la mancanza di una vera concertazione Governo-Città..
Ma chi esemplificava? La Destra, contenta di stornare i “j'accuse” dal Governo e dalle sue forbici. Anche certa Sinistra, quella Sinistra executive che spesso chiede il fare, il fare a tutti i costi.
Purtroppo il senso comune non è quasi mai buon senso.
E' stata rilanciata in questi giorni la notizia che Torino è la città più indebitata d'Italia. Il default è un rischio reale. Il nuovo Sindaco Fassino dovrà operare in condizioni proibitive.
Le Olimpiadi sono una bella cosa, l'immagine internazionale un obiettivo per tutte le Metropoli. Meno giustificato è il ricorso all'indebitamento e a strumenti finanziari del genere spendo oggi, pagherò gli interessi domani e dopodomani e così via. Non si vuol dire che Torino a falklito, ha fatto molte buone cose ma i problemi dell'epoca raggiungono anche i miti.
E Bologna, cosa c'entra? Non è forse anche la nostra città alle prese con problemi drammatici di sostenibilità dei propri servizi? Non si vorrà dire che non ci sono stati ritardi ed errori, qui, per esempio sulle infrastrutture? Non è la nostra idea,. Tuttavia gli anni del “grande sonno”, gli anni dell'incertezza e della caduta dell'immagine di Bologna vanno profondamente ripensati.
Se il mandato Guazzaloca si dimostra sempre più quello delle scelte sbagliate (una su tutte il Civis al posto del Tram) gli anni da Vitali a Cofferati hanno visto almeno tre cose che vanno ribadite.
I)La rete dei servizi è rimaasta in piedi, la più vasta d'Italia, mentre cambiavano enormemente i quadri sociali, basta pensare all'emigrazione. II)La riconsiderazione delle reti societarie partecipate, dalla dismissione delle Farmacie al consolidamento di Hera è stata pensata in tempo e condotta, fra luci ed ombre, in modo da garantire livelli qualitativi non indifferenti.III)Non si è utilizzato lo strumento finanziario per legare il cappio alla città in cambio di una immediata capacità di realizzazione.Qui siamo a svolte obbligate, difficili: la sussidiarietà, il nodo dei trasporti. Ma qui “si può fare” perchè l'hardware non è stato scassato, il capitale d'intelligenza dell'intervento pubblico locale è rimasto alto.
Il moderno cuore pubblico: è questo che batte ed è la forza più grande.
“Il contrario”
rubrica di Davide Ferrari
l'Unità Emilia-Romagna
5 11 2011
Gli esempi internazionali, che ci sono stati scagliati addosso come corpi contundenti, sono noti: Lione, Valencia, perfino le metropoli della Cina in avvicinamento. Altrettanto noto è l'esempio in Italia. E' Torino. Dalle Olimpiadi del 2006 si è detto che Torino dimostrava che “se si vuole si può”, dell'inutilità delle doleances dei Comuni contro i tagli e la mancanza di una vera concertazione Governo-Città..
Ma chi esemplificava? La Destra, contenta di stornare i “j'accuse” dal Governo e dalle sue forbici. Anche certa Sinistra, quella Sinistra executive che spesso chiede il fare, il fare a tutti i costi.
Purtroppo il senso comune non è quasi mai buon senso.
E' stata rilanciata in questi giorni la notizia che Torino è la città più indebitata d'Italia. Il default è un rischio reale. Il nuovo Sindaco Fassino dovrà operare in condizioni proibitive.
Le Olimpiadi sono una bella cosa, l'immagine internazionale un obiettivo per tutte le Metropoli. Meno giustificato è il ricorso all'indebitamento e a strumenti finanziari del genere spendo oggi, pagherò gli interessi domani e dopodomani e così via. Non si vuol dire che Torino a falklito, ha fatto molte buone cose ma i problemi dell'epoca raggiungono anche i miti.
E Bologna, cosa c'entra? Non è forse anche la nostra città alle prese con problemi drammatici di sostenibilità dei propri servizi? Non si vorrà dire che non ci sono stati ritardi ed errori, qui, per esempio sulle infrastrutture? Non è la nostra idea,. Tuttavia gli anni del “grande sonno”, gli anni dell'incertezza e della caduta dell'immagine di Bologna vanno profondamente ripensati.
Se il mandato Guazzaloca si dimostra sempre più quello delle scelte sbagliate (una su tutte il Civis al posto del Tram) gli anni da Vitali a Cofferati hanno visto almeno tre cose che vanno ribadite.
I)La rete dei servizi è rimaasta in piedi, la più vasta d'Italia, mentre cambiavano enormemente i quadri sociali, basta pensare all'emigrazione. II)La riconsiderazione delle reti societarie partecipate, dalla dismissione delle Farmacie al consolidamento di Hera è stata pensata in tempo e condotta, fra luci ed ombre, in modo da garantire livelli qualitativi non indifferenti.III)Non si è utilizzato lo strumento finanziario per legare il cappio alla città in cambio di una immediata capacità di realizzazione.Qui siamo a svolte obbligate, difficili: la sussidiarietà, il nodo dei trasporti. Ma qui “si può fare” perchè l'hardware non è stato scassato, il capitale d'intelligenza dell'intervento pubblico locale è rimasto alto.
Il moderno cuore pubblico: è questo che batte ed è la forza più grande.
“Il contrario”
rubrica di Davide Ferrari
l'Unità Emilia-Romagna
5 11 2011
mercoledì 2 novembre 2011
A Bologna. "Contrada Pasolini". Una proposta
Si torna a parlare di come meglio ricordare Pier Paolo Pasolini nella città dove nacque, dando il suo nome ad una via, ad un luogo “centrale”. Già è intitolato a lui il parco, a S.Donato, dove ogni anno, per terribile casualità dobbiamo ricordare altri martiri della violenza, i carabinieri del Pilastro trucidati dai Savi. Pasolini è nato a Bologna, qui ha studiato, al liceo Galvani e all’Università.
Bologna è stato il luogo d’incontro con i suoi amici di sempre, Roversi, Scalia, Leonetti, Renzi, Giovanna Bemporad, Silvana Mauri Ottieri. Proprio a Bologna Pasolini scoprì i propri riferimenti letterari primari e maturò la sua fortissima impressione coloristica, sotto l’egida di Roberto Longhi.
Alcuni anni or sono, con Alberto Bertoni, Gregorio Scalise e Giancarlo Sissa, avanzammo la proposta di intitolare a Pier Paolo Pasolini la ”Manifattura delle Arti”, il rione del centro di Bologna, rinnovato da un intervento pubblico di alto livello, dove trovano posto: la nuova sede della Cineteca ed il parco della ex Manifattura tabacchi, la sede della GAM (Galleria d’Arte Moderna) al “Forno del pane”, la Salara, le residenze e le aule universitarie del Palazzaccio e dintorni. Insomma, siamo nel cuore di Bologna.
Riproponiamo la nostra idea. Ricordando che la Cineteca è sede del Fondo archivio Pasolini, che Laura Betti consegnò, come suo ultimo atto d'amore, alla città dove entrambi erano nati. Non volevamo, allora, si trattasse di una richiesta istituzionale al Sindaco, era tra l'altro Giorgio Guazzaloca. Spiegammo che intendevamo suscitare un impegno personale e collettivo a nominare Pasolini, in quel luogo bellissimo, preso, pian piano, giorno dopo giorno, da tutti i bolognesi, a cominciare dagli studenti e dai docenti dell’Università, dagli operatori e dagli utenti della Cineteca e della GAM.
Oggi mi rivolgo al Sindaco Merola direttamente, ma senza voler smarrire il senso di una “intitolazione dolce”, partecipata.
Vorrei come allora che questo straordinario rione della città divenisse la “Contrada Pasolini”.
Ci sono altri luoghi , cantoni, incroci, della città nominati , battezzati dall'uso popolare. Così vorrei ci fosse anche la contrada Pasolini. Luoghi con un nome più condiviso, vero, luoghi che sono un punto di riferimento.
Se riuscissimo a fare egualmente per “contrada Pasolini”, avremo ricordato il grande poeta come meglio non si potrebbe.
Prendiamo un impegno personale, tutti, di nominare così la nuova Manifattura delle Arti, non solo il Comune, al quale certamente lo chiediamo. Diciamo, tutti, al momento di fissare un appuntamento in quel luogo: “ci vediamo alla Pasolini”.
La Manifattura delle Arti, figlia di una lunghissima tradizione bolognese di attenzione allo studio dell’immagine, deriva anche dalle stagioni che Pasolini attraversò, interpretò, portò nel mondo intero. Dare il suo nome a un luogo di Bologna, ad uno dei suoi “cuori”, con una decisione istituzionale che allargarsi liquidamente, con l’adesione di centinaia di persone, nel comportamento quotidiano. Così si affermerebbe il ricordo, il senso e non solo metteremmo una targa sopra un muro.
“Il contrario”
rubrica di Davide Ferrari
L'Unità Emilia-Romagna
29 Ottobre 2011
Bologna è stato il luogo d’incontro con i suoi amici di sempre, Roversi, Scalia, Leonetti, Renzi, Giovanna Bemporad, Silvana Mauri Ottieri. Proprio a Bologna Pasolini scoprì i propri riferimenti letterari primari e maturò la sua fortissima impressione coloristica, sotto l’egida di Roberto Longhi.
Alcuni anni or sono, con Alberto Bertoni, Gregorio Scalise e Giancarlo Sissa, avanzammo la proposta di intitolare a Pier Paolo Pasolini la ”Manifattura delle Arti”, il rione del centro di Bologna, rinnovato da un intervento pubblico di alto livello, dove trovano posto: la nuova sede della Cineteca ed il parco della ex Manifattura tabacchi, la sede della GAM (Galleria d’Arte Moderna) al “Forno del pane”, la Salara, le residenze e le aule universitarie del Palazzaccio e dintorni. Insomma, siamo nel cuore di Bologna.
Riproponiamo la nostra idea. Ricordando che la Cineteca è sede del Fondo archivio Pasolini, che Laura Betti consegnò, come suo ultimo atto d'amore, alla città dove entrambi erano nati. Non volevamo, allora, si trattasse di una richiesta istituzionale al Sindaco, era tra l'altro Giorgio Guazzaloca. Spiegammo che intendevamo suscitare un impegno personale e collettivo a nominare Pasolini, in quel luogo bellissimo, preso, pian piano, giorno dopo giorno, da tutti i bolognesi, a cominciare dagli studenti e dai docenti dell’Università, dagli operatori e dagli utenti della Cineteca e della GAM.
Oggi mi rivolgo al Sindaco Merola direttamente, ma senza voler smarrire il senso di una “intitolazione dolce”, partecipata.
Vorrei come allora che questo straordinario rione della città divenisse la “Contrada Pasolini”.
Ci sono altri luoghi , cantoni, incroci, della città nominati , battezzati dall'uso popolare. Così vorrei ci fosse anche la contrada Pasolini. Luoghi con un nome più condiviso, vero, luoghi che sono un punto di riferimento.
Se riuscissimo a fare egualmente per “contrada Pasolini”, avremo ricordato il grande poeta come meglio non si potrebbe.
Prendiamo un impegno personale, tutti, di nominare così la nuova Manifattura delle Arti, non solo il Comune, al quale certamente lo chiediamo. Diciamo, tutti, al momento di fissare un appuntamento in quel luogo: “ci vediamo alla Pasolini”.
La Manifattura delle Arti, figlia di una lunghissima tradizione bolognese di attenzione allo studio dell’immagine, deriva anche dalle stagioni che Pasolini attraversò, interpretò, portò nel mondo intero. Dare il suo nome a un luogo di Bologna, ad uno dei suoi “cuori”, con una decisione istituzionale che allargarsi liquidamente, con l’adesione di centinaia di persone, nel comportamento quotidiano. Così si affermerebbe il ricordo, il senso e non solo metteremmo una targa sopra un muro.
“Il contrario”
rubrica di Davide Ferrari
L'Unità Emilia-Romagna
29 Ottobre 2011
5 novembre a Roma: un appuntamento per l’Italia.
Firmano per la partecipazione intellettuali e scrittori bolognesi. Lucarelli primo firmatario.
Si è aperta a Bologna, una raccolta di firme a sostegno della partecipazione alla manifestazione del Pd a Roma del 5 Novembre.
Comunichiamo qui il testo della dichiarazione e le prime firme da parte di intellettuali, scrittori.
La condizione del nostro paese ci preoccupa e ci interroga, stretta fra la crisi economica e finanziaria ed un gravissimo degrado e perdita di credibilità delle Istituzioni e della stessa politica cui si è giunti innanzitutto per diretta responsabilità del Presidente del Consiglio e del Governo.
Non è più possibile limitarsi ad assistere o delegare.
E’ importante per tutti i cittadini che una grande forza politica come il PD chiami ad una partecipazione diretta il 5 Novembre, con la manifestazione nazionale alla quale aderiamo.
E’ possibile, deve essere possibile:
-ritrovare fiducia e credere nel cambiamento;
-avere una politica partecipata e sobria;
-affrontare la crisi con decisione ed equità;
-restituire al lavoro valore e dignità;
-riaffermare l’immagine, il ruolo dell’Italia e delle sue culture, in Europa e nel mondo.
Prendere parte, oggi, è anche il nostro invito, per esigere una svolta, “In nome del popolo italiano”.
Carlo Lucarelli, Fabio Abagnato, Gian Mario Anselmi, Vittorio Biagini, Stefano Brugnara, Paolo Buconi, Maria Teresa Cacciari, Ombretta Capitani, Francesco Domenico Capizzi, Janna Carioli, Castelli Carla, Domenico Cella, Loredana Chines, Giancarla Codrignani, Nicoletta Conti, Rolando Dondarini, Rossella D'Ugo, Davide Ferrari, Fabrizio Festa, Franco Frabboni, Carlo Galli, Maurizio Garuti, Gianni Ghiselli, Rita Medici Imbeni, Ivano Marescotti,Umberto Mazzone, Piero Mioli, Carlo Monti,Santino Prosperi, Laura Renzoni Governatori, Werther Romani, Gregorio Scalise, Gianni Sofri, Annamaria Tagliavini.
Si è aperta a Bologna, una raccolta di firme a sostegno della partecipazione alla manifestazione del Pd a Roma del 5 Novembre.
Comunichiamo qui il testo della dichiarazione e le prime firme da parte di intellettuali, scrittori.
La condizione del nostro paese ci preoccupa e ci interroga, stretta fra la crisi economica e finanziaria ed un gravissimo degrado e perdita di credibilità delle Istituzioni e della stessa politica cui si è giunti innanzitutto per diretta responsabilità del Presidente del Consiglio e del Governo.
Non è più possibile limitarsi ad assistere o delegare.
E’ importante per tutti i cittadini che una grande forza politica come il PD chiami ad una partecipazione diretta il 5 Novembre, con la manifestazione nazionale alla quale aderiamo.
E’ possibile, deve essere possibile:
-ritrovare fiducia e credere nel cambiamento;
-avere una politica partecipata e sobria;
-affrontare la crisi con decisione ed equità;
-restituire al lavoro valore e dignità;
-riaffermare l’immagine, il ruolo dell’Italia e delle sue culture, in Europa e nel mondo.
Prendere parte, oggi, è anche il nostro invito, per esigere una svolta, “In nome del popolo italiano”.
Carlo Lucarelli, Fabio Abagnato, Gian Mario Anselmi, Vittorio Biagini, Stefano Brugnara, Paolo Buconi, Maria Teresa Cacciari, Ombretta Capitani, Francesco Domenico Capizzi, Janna Carioli, Castelli Carla, Domenico Cella, Loredana Chines, Giancarla Codrignani, Nicoletta Conti, Rolando Dondarini, Rossella D'Ugo, Davide Ferrari, Fabrizio Festa, Franco Frabboni, Carlo Galli, Maurizio Garuti, Gianni Ghiselli, Rita Medici Imbeni, Ivano Marescotti,Umberto Mazzone, Piero Mioli, Carlo Monti,Santino Prosperi, Laura Renzoni Governatori, Werther Romani, Gregorio Scalise, Gianni Sofri, Annamaria Tagliavini.
Tempo di giovani. Quali?
“Tu c’eri, alla Leopolda?” E’ domanda frequente. Se la risposta , come nel mio caso è “No”, molti si stupiscono, si allontanano impercettibilmente. Il loro linguaggio non verbale, i fremiti del corpo, sembrano dirci:”Non c’eri? Ma allora non sei nessuno. Cosa speri ancora dalla vita?”
Hano ragione, la Convenzione di Matteo Renzi andava frequentata, agita-come oggi si usa dire. Tante novità, una freschezza da brivido, come quando di Luglio si apre il frigorifero. Mi ha colpito una frase di Andrea Baricco. Rispondendo ad una domanda-gioco più o meno cosi: “Cosa faresti se tu fossi Presidente del Consiglio?”, il noto scrittore ha argomentato:”Avevo trent’anni venti anni fa. Adesso il mio tempo è finito”.
Eppure il coetaneo Baricco è molto giovanile. A differenza di me, non ha la pancia e pare vivere ancora senza il terrore di dover ricorrere al riportino. C’è qualcosa di profondo dietro questo esplodere dell’amore per la giovinezza, in Italia. Ci sono le vergogne, non solo i lifting, di una classe dirigente che non ha la fiducia dei cittadini. Ancora: chi di noi non ha un figlio che ci renda partecipi della triste avventura di vivere in un’economia fatta di molta disoccupazione e di altrettanta occupazione precaria e a reddito bassissimo?
Non mi pare però che, attorno al tavolo di cucina, in famiglia, diano la colpa ai genitori, o peggio ai nonni, quegl’empi percettori di pensione che un vasto arco politico indica a responsabili del nostro dissesto.
Si vorrebbe un lavoro, non essere carne da cannone in una guerra fra le generazioni. Si citano le primavere arabe. “Le hanno fatte i giovani”, ci si ricorda. E chi doveva farle? Difficile vedere prese di “Palazzi d’Inverno” di eserciti di nonne con badanti. Difficile vedere al posto dei sampietrini e delle molotov, le demtiere trasformate in nacchere contundenti. Ma perchè si è tornati a fare delle rivoluzioni? Non pare che fossero rivolte contro i vecchi ma contro la dittatura e la miseria.
Mentre a Destra Berlusconi annuncia che le profezie Maya in suo possesso garantiscono che batterà allegramente il secolo, a Snistra si cerca il giovane più giovane. Solo un giovanissimo, senza arterio ed alito pesante, con una bocca senza rughe potrà dire tutto. Proprio tutto tranne che questo mondo inceppato non ci piace, che ne vogliamo uno più giusto, non un’altro uguale, nuovo.
Mala Lingua
Rubrica di Davide Ferrari
"Sardegna quotidiano"
Hano ragione, la Convenzione di Matteo Renzi andava frequentata, agita-come oggi si usa dire. Tante novità, una freschezza da brivido, come quando di Luglio si apre il frigorifero. Mi ha colpito una frase di Andrea Baricco. Rispondendo ad una domanda-gioco più o meno cosi: “Cosa faresti se tu fossi Presidente del Consiglio?”, il noto scrittore ha argomentato:”Avevo trent’anni venti anni fa. Adesso il mio tempo è finito”.
Eppure il coetaneo Baricco è molto giovanile. A differenza di me, non ha la pancia e pare vivere ancora senza il terrore di dover ricorrere al riportino. C’è qualcosa di profondo dietro questo esplodere dell’amore per la giovinezza, in Italia. Ci sono le vergogne, non solo i lifting, di una classe dirigente che non ha la fiducia dei cittadini. Ancora: chi di noi non ha un figlio che ci renda partecipi della triste avventura di vivere in un’economia fatta di molta disoccupazione e di altrettanta occupazione precaria e a reddito bassissimo?
Non mi pare però che, attorno al tavolo di cucina, in famiglia, diano la colpa ai genitori, o peggio ai nonni, quegl’empi percettori di pensione che un vasto arco politico indica a responsabili del nostro dissesto.
Si vorrebbe un lavoro, non essere carne da cannone in una guerra fra le generazioni. Si citano le primavere arabe. “Le hanno fatte i giovani”, ci si ricorda. E chi doveva farle? Difficile vedere prese di “Palazzi d’Inverno” di eserciti di nonne con badanti. Difficile vedere al posto dei sampietrini e delle molotov, le demtiere trasformate in nacchere contundenti. Ma perchè si è tornati a fare delle rivoluzioni? Non pare che fossero rivolte contro i vecchi ma contro la dittatura e la miseria.
Mentre a Destra Berlusconi annuncia che le profezie Maya in suo possesso garantiscono che batterà allegramente il secolo, a Snistra si cerca il giovane più giovane. Solo un giovanissimo, senza arterio ed alito pesante, con una bocca senza rughe potrà dire tutto. Proprio tutto tranne che questo mondo inceppato non ci piace, che ne vogliamo uno più giusto, non un’altro uguale, nuovo.
Mala Lingua
Rubrica di Davide Ferrari
"Sardegna quotidiano"
Gelmini e dopo Gelmini.
Scuola, che fare? Gelmini e dopo Gelmini.
Mercoledì 2 Novembre · h 18.00
Libreria Feltrinelli, piazza di porta Ravegnana 1, Bologna
Andrea Segrè e Graziella Giorgi in dialogo con Franco Frabboni
Presiede Gigi Marcucci
con un intervento di Davide Ferrari
In occasione della pubblicazione del libro:
"UN MINISTRO SENZA IDEE, SENZA ROSSORI, SENZA SOGNI.
La 'cascata' dei corsivi di Franco Frabboni sull'Unità Emilia-Romagna".
Pensa Multimedia ed.
Promosso da Casadeipensieri e La Feltrinelli Eventi
Mercoledì 2 Novembre · h 18.00
Libreria Feltrinelli, piazza di porta Ravegnana 1, Bologna
Andrea Segrè e Graziella Giorgi in dialogo con Franco Frabboni
Presiede Gigi Marcucci
con un intervento di Davide Ferrari
In occasione della pubblicazione del libro:
"UN MINISTRO SENZA IDEE, SENZA ROSSORI, SENZA SOGNI.
La 'cascata' dei corsivi di Franco Frabboni sull'Unità Emilia-Romagna".
Pensa Multimedia ed.
Promosso da Casadeipensieri e La Feltrinelli Eventi
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