venerdì 20 aprile 2001

La Resistenza. Consiglio comunale straordinario.

Venerdì, April 20, 2001
Consiglio comunale straordinario sulla Resistenza chiesto dalle opposizioni.
9 aprile 2001, Bologna, primo firmatario della richiesta Davide Ferrari

RELAZIONE DI DAVIDE FERRARI
Presidente del Gruppo DUE TORRI- DS

Io credo che quando un Consiglio comunale, volenti o nolenti i colleghi della Maggioranza, discute di temi così rilevanti, occorre chiedere ai propri interlocutori la pazienza di svolgere una discussione pacata e seria e di ascoltare, per poi eventualmente ribattere un'argomentazione non solamente ancorata all'attualità e ai più stretti termini della polemica politica.
Nei giorni scorsi sono intervenuti esponenti importanti della cultura nazionale a partire da un singolo avvenimento, che forse - forse - gli attori, coloro che avevano con i loro emendamenti, tesi a togliere il riferimento alla Resistenza nella citazione sulla Costituzione, presente nel nostro Statuto del Comune di Bologna, non avevano nemmeno ben valutato per cogliere, ripeto, in questo evento un riferimento più generale.
Alte e importanti figure della Resistenza e della Cultura italiana hanno messo in relazione la questione dello Statuto del nostro Comune, che voi avete aperto-con gravi fatti, gravi, legati talvolta al tentativo di sponsorizzare dalle sedi istituzionali, peraltro quelle più improprie, le operazioni più smaccate di revisionismo storico e di indirizzo politico della ricerca storica e della divulgazione scolastica della ricerca storica, altre volte a mettere in dubbio persino i fondamenti della legittimità dello Stato democratico con proposte di netta separazione dei diritti della cittadinanza, a seconda della razza o della Religione, e altre ancora con l'avvallo, anche in Italia, di personaggi, che rappresentano la più squallida riproposizione della cultura fascista e nazista nel cuore dell'Europa ai nostri più vicini confini.
Tutto questo avviene oggi in Italia, non c'è dubbio che chi è intervenuto nel dibattito culturale e nazionale su questo tema di Bologna, ha posto una relazione, ha posto un termine di connessione fra questo, di cui oggi noi discutiamo e la più generale tendenza al revisionismo storico e all'attacco dei fondamenti repubblicani e democratici della funzione statuale nel nostro Paese, come per altro in tutta l'Europa.
Chiediamoci perché, colleghi della Maggioranza. Se fossi in voi cercherei di rispondere non - come dire - come fa lo scolaretto bacchettato, per carità, nessuno vi chiede questo, ma chiederei a me stesso di rispondere agli interrogativi che sono stati rivolti alla nostra città, perché quando una parte importante della cultura nazionale rivolge un interrogativo angosciato sulla natura e la tenuta della democrazia a chi governa una città, lo rivolge alla città stessa e questa città deve rispondere, oggi dovrebbe rispondere con le vostre parole, che rappresentate la maggioranza.
Fra le tante voci voglio citare quella più recente e forse più autorevole, che un quotidiano bolognese ci ha invitato a leggere, quella di Claudio Pavone, uno storico che ha partecipato alla Resistenza da protagonista, ma che è anche una delle figure più illustri dell'Università italiana.
Ebbene, Claudio Pavone ha ricordato con grande chiarezza di riferimenti, addirittura cronologici, il nesso inscindibile che vi è fra Resistenza e Costituzione democratica.
Certo, vi sono stati altri fattori, la liberazione per l'iniziativa delle forze alleate, il clima di collaborazione democratica a livello internazionale, che ha portato alla sconfitta del nazi-fascismo, ma in Italia se non si è andati a una pura e semplice restaurazione di quei fondamenti autoritari e irrisolti dello Stato democratico, che avevano consentito il fascismo, dalla monarchia allo Statuto albertino, questo si è avuto grazie al fatto che dalla pura e semplice caduta istituzionale del fascismo, alla rinascita del nostro Stato, c'è stato un avvenimento, non hanno parlato soltanto le nazioni belligeranti, ha parlato una parte importante del nostro popolo e della nostra cultura.
Ha parlato la Resistenza italiana.
Io ricordo un discorso molto bello di Alcide De Gasperi, quando chiese la rilegittimazione del nostro Paese, di fronte al consesso delle nazioni ricostruito da chi aveva vinto quella guerra, così tragica come la seconda guerra mondiale è stata, Alcide De Gasperi iniziò il suo discorso dicendo: "Io sento che soltanto la vostra personale cortesia vi trattiene dal manifestarmi la vostra ostilità".
Ebbene, Alcide De Gasperi era presidente del Consiglio di uno Stato rinato, non era presidente del Consiglio di uno Stato ricostruito come era prima del fascismo.
Ha potuto parlare a nome dell'intera nazione al di là delle maggioranze e delle minoranze fra le forze democratiche, perché era presidente del Consiglio di una nuova Repubblica democratica, di una nuova Italia.
Non dell'Italia di prima del fascismo, ma di una nuova Italia.
L'Italia del voto alle donne, l'Italia della libertà e del diritto al lavoro, l'Italia come non c'era mai stata prima.
Mai stata prima e quell'Italia non è nata - ripeto - per caso, è nata perché si sono incontrate, sancendosi poi nella Costituzione, culture prima non protagoniste e non affermate fino in fondo come il caposaldo della vita civile di questo Paese.
Non più le culture dei maggiorenti oppure dei gruppi di potere economico, ma le culture delle grandi forze sociali e politiche di massa.
La cultura cattolica, la cultura socialista e comunista che è stata in Italia sul terreno democratico, le culture repubblicane, le culture liberali, quelle cioè che sono state però al vaglio della loro trasformazione in culture compiutamente democratiche e repubblicane.
Questo è molto importante.
Oggi, a fronte dello sconvolgimento che ha portato in questo decennio al trapasso da una Repubblica a un'altra, trapasso ancora incompiuto, ed oggi quando questa trasformazione del nostro Paese avviene, mentre in tutta Europa è all'ordine del giorno un processo di unificazione politica e statuale, chiediamoci: è su questi fondamenti che noi vogliamo ricostruire una stagione democratica nuova, di pace, più larga ancora ai confini sovranazionali di questo Paese o è un'altra Europa, è un'altra Italia che vogliamo affermare? Quale?
Qualche giudizio mi sento di avanzarlo, sulle culture che agitano anche il patrimonio culturale non solo dell'estrema destra fascista, che ancora agisce nel nostro Paese, ma anche culture più diffuse, più vaste, culture che sono dentro lo stesso schieramento del centro-destra.
Ve lo voglio dire con estrema franchezza, chiedendovi su questo una risposta ed un confronto.
Sono quelle culture che considerano l'integrazione europea come occasione di pura e semplice abolizione dei dazi e dei vincoli alla libera espressione del commercio e dell'attività economica, mettendo fra quei vincoli anche quei legami di solidarietà istituzionale finora ancorate alle carte costituzionali e ai diritti dei singoli Stati, colleghi, questo è il punto.
E sono anche quelle culture che in solo apparente contraddizione al liberismo assurto come forza più importante degli stessi vincoli di solidarietà civile e istituzionali statuali e della Repubblica, sono per le piccole patrie, per patrie di razza, per patrie di confine regionale ed economico, per patrie di stile di vita o di adesione religiosa. Piccole patrie conchiuse che sono non contraddittorie, ma alleate al liberismo che si vuole disfare degli Stati come principi sovrani a garanzia della libertà e della sovranità diffusa come garanzia della libertà di essere cittadini e non sudditi.
C'è un contrasto che esploderà fra queste due visioni, fra un Berlusconi e un Bossi, c'è un contrasto che esploderà, ma oggi la cosa drammatica e tragica è che se non si afferma una cultura democratica condivisa, la tendenza a una iper deresponsabilizzazione rispetto ai livelli collettivi, sia sul versante liberistico, sia sul versante regionalistico e comunitaristico, il rischio che noi abbiamo è che con il passaggio dalla prima alla seconda Repubblica, dalla prima Europa democratica, ad una nuova Europa federale, se le classi dirigenti chiamate a questo travaglio, a questo trapasso non sono concordi sul reinverare la democrazia a fondamento di questa trasposizione, di questo cambiamento, noi siamo a rischio nelle radici più profonde dei nostri diritti di cittadinanza, dei diritti di tutti, colleghi.
Ecco perché il centro-destra ha avuto tanta difficoltà anche a Bologna a prendere le distanze da quella che può sembrare una vicenda minuta, una questione amministrativa.
Eppure ci è stato persino detto: "guardate che in altri Enti locali non c'è questo riferimento, guardate che è un fatto tecnico."
No, non è così.
Ecco perché anche oggi siamo di fronte ad un ordine del giorno del centrodestra, compresa La Tua Bologna, che si limita a prendere atto delle dichiarazioni di antifascismo del Sindaco di Bologna e considera semplicemente di potere affermare un'unità della vostra maggioranza solo sulla ricusazione tecnica di questo Consiglio comunale e sul riaffido alla Commissione Statuto dell'itinerario della questione.
Non è un caso, perché questo avviene; non è un caso e lo sappiamo bene, lo sapete voi, come lo sappiamo noi; non è un caso perché nelle culture del centro-destra sono presenti quei punti che io vi ho sollevato e sono punti irrisolti.
Ecco allora i giorni che sono passati da quando i colleghi Cevenini e Benecchi hanno sollevato giustamente, seguendo l'itinerario di discussione che aveva nella Commissione Statuto il tema della Resistenza e del riferimento alla Costituzione della nostra Carta Statutaria fondamentale.
Ecco perché è avvenuto un dibattito che ha sfuggito ogni sede istituzionale, non era semplicemente una dimostrazione di arroganza da parte della Maggioranza, è che in questa sede si voglia o no dichiararla legittima, la politica deve andare nelle sue radici più profonde, non può sfuggire nelle pubbliche relazioni, non può sfuggire nella furbizia delle dichiarazioni tattiche.
No, in un Consiglio comunale la politica deve parlare sui motivi suoi più alti e forti, deve dire la verità.
Ecco il punto, ed è una verità indicibile, perché non c'è ricostruzione sui diritti fondamentali della Carta costituzionale italiana, sulla prima parte della Costituzione, come base per il passaggio al federalismo e alla nuova Repubblica d'Italia.
Oggi non c'è condivisione fra le forze politiche italiane nel centro-destra; è un problema, ripeto, ancora irrisolto.
Come ha visto Bologna questi giorni di furbizia e di dichiarazioni televisive di sfuggita alle responsabilità istituzionali di rinvio, come ha vissuto Bologna questi giorni che hanno visto, ed è molto grave colleghi, la sola Minoranza agire, perché si è arrivasse ad una discussione chiara in Consiglio comunale. Molto grave, che sia dovuta essere una parte sola a prendere questa iniziativa.
Io credo che la città abbia vissuto, reagendo certo con linguaggi diversi a seconda delle generazioni.
Certamente con lo sdegno lo sdegno di chi si è sentito colpito in prima persona come partigiano e resistente, come fondatore dei diritti di cittadinanza di cui tutti noi ci gioviamo oggi, e con l'interesse e la curiosità delle nuove generazioni che ha trovato in punte di avanguardia anche l'occasione di manifestare francamente l'interesse ai loro diritti di oggi, che devono rimanere nell'Europa di domani, che stiamo costruendo e non essere archiviati con la Resistenza alla Costituzione, io credo anche una diffusa inquietudine.
Può darsi che questo non si esprima direttamente in politica, ma Bologna, vedete, è una strana città; è una città che è posta al centro dei processi civili e politici dell'Italia da sempre, da prima che esistesse come Stato la nostra nazione.
E' la città che ha liberato per prima la servitù della gleba, è la città che ha visto dopo l'episodio della rivoluzione francese la prima Costituzione democratica affermanti i diritti dell'individuo, è una città che dopo il 1256 e dopo il 1796 ha vissuto più di altre il travaglio come libertà autonomamente cercata nella Resistenza della fine della seconda guerra mondiale.
Questo è dovuto ad un grande protagonismo politico che ha caratterizzato la storia di questa città, prima ancora che il termine politica fosse assunto nei termini della modernità, ma io credo che questo derivi anche persino dalla sua natura più propria: Bologna è una città, che è al centro delle vie di passaggio, non solo geografiche, ma culturali di questa nazione e che ha visto affermarsi le punte più alte di tutte le grandi tradizioni politiche del nostro Paese.
E' una città che non può rinchiudersi nel protagonismo della libertà d'impresa e nelle piccole patrie conchiuse, perché la nostra piccola patria - Presidente - non esisterà mai, a fronte dell'Europa.
Può esistere nelle pendici prealpine, può esistere in un sud che torna all'indietro, ma al centro dell'Italia, dove è collocata Bologna, un destino di piccola patria non risponde in alcun modo, alla coscienza di avere necessità di libertà e di ricchezza di questa terra e di questa città.
E' una città che ha bisogno di uno sviluppo che si leghi a solidarietà.
Uno sviluppo che è sempre stato teso al protagonismo dell'individuo e della collettività, perché non è fatto di grandi poteri e di grandi imprese, perché non può essere fatto così.
Cambieranno dalla campagna alla città, dall'industria meccanica alla nuova economia i prodotti, ma la nostra sarà sempre una economia sociale tesa al protagonismo di molti.
Lo è per inevitabile destino della nostra natura umana, oltre che antropologica e geografica.
Chi oggi si vuole interrogare sulla bolognesità, chi addirittura si ritiene interprete di una bolognesità tesa al confronto e allo scontro con le altre culture, non comprende questa natura profonda della nostra città.
La bolognesità non è un presepio da agitare nei quartieri del piccolo commercio.
No, la bolognesità è una profonda idealità unita ad una necessità storica, Bologna è terra di libertà, perché senza libertà non ha futuro e non ha benessere.
Noi vi sfidiamo ad interpretare anche oggi questo terreno della storia e del futuro di Bologna. Ripeto, cambieranno i nomi, cambieranno le occasioni, ma i valori non sono nati a caso con tanta forza in questa nostra città.
Per questo vi chiediamo di ritirare ordini del giorno tecnici, amministrativi, pretestuosi e di votare con noi che oggi come sempre è stato in questa città, Bologna sia all'avanguardia dei diritti di democrazia e di libertà.
Diritti modernamente intesi, ampliati, ma fondati sull'esperienza della Carta costituzionale e della Resistenza che ha in questa città una delle sue più alte e indissolubili radici.
Questo vi chiediamo: votate con noi che ora e sempre saremo dalla parte della resistenza democratica.