martedì 28 aprile 2009

"Un padre in prestito"


Presentazione del romanzo:
"Un padre in prestito"

di Fosca Andraghetti

Nel pomeriggio di martedì 28 aprile 2009, presso la bellissima Sala Conferenze del Baraccano nel Quartiere Santo Stefano di Bologna, è stato presentato il romanzo Un padre in prestito (Edizioni del Leone, 2009) della scrittrice Fosca Andraghetti. Ne hanno parlato con l’autrice Davide Ferrari, Giuseppina Rossitto e Giulia Motola di fronte ad un pubblico particolarmente numeroso e attento.

La presentazione di questo volume rientra in un progetto più ampio che mira a fare conoscere scrittori, poeti, fotografi e musicisti, ha ricordato Giuseppina Rossitto, Presidente della Associazione “Lo Specchio di Alice – Associazione Culturale Affiliata alla Università Primo Levi” e curatrice del progetto, che ha poi ha proseguito introducendo l’autrice, Fosca Andraghetti che inizia con una breve carrellata sul suo percorso letterario. Accanita lettrice, e anche scrittrice, fin da bambina; proverbiali sono rimaste le sue incursioni tra i pochi libri di suo padre letti e riletti fino a consumarli, ai quali si aggiungevano quelli della magra biblioteca scolastica e altri dei maestri. Con ironia, racconta le “sue avventure letterarie”, una scuola che non era quella suggerita dai suoi insegnanti, l’amore per i classici russi, i romanzieri inglesi, gli scrittori americani senza trascurare i grandi autori italiani. Infine, negli anni sessanta, la scoperta di Brunella Gasperini divenuta poi la sua autrice preferita. Poi i racconti pubblicati negli anni 70/80 su una rivista edita dalla Rizzoli, i corsi di scrittura, altri concorsi con esiti anche importanti, le prime pubblicazioni di poesie e di narrativa fino al fortunato incontro con le Edizioni del Leone: “un primo romanzo“ Quello che ancora non sai, pubblicato due anni fa, e Un padre in prestito, il libro di cui si parlerà oggi. E’ una storia che mi ha coinvolto molto, perché entro nei miei personaggi, li amo quasi come fossero creature vere, anzi, a volte li uso per ribellarmi o per riscattarmi da tante piccole contrarietà quotidiane dalle quali non mi so difendere...”.

Fosca Andraghetti parla dei personaggi del romanzo, dei loro caratteri, dei rapporti interpersonali, della famiglia e dei suoi silenzi più o meno motivati. E ancora dei bambini che qui compaiono, del loro affacciarsi alla vita, degli approcci con gli adulti. Sguardi perplessi, curiosi, incerti e reazioni emotive forti con diverse capacità di reagire alle situazioni che, in qualche misura, seminano disorientamento nelle loro vite. Una storia che si snoda attraverso una narrazione veloce e asciutta, ricca di episodi a volte divertenti e pieni di ironia. Conclude poi citando un paragrafo tratto dalla introduzione del volume: “Poi arrivano la frantumazione e molteplici nuove realtà, quelle che possono riguardare il quotidiano di ognuno di noi, ma l’autrice, soffiandoci dentro il suo stile di forte tensione narrativa e animandola con la sua capacità di analisi psicologica del profondo, la trasforma in una serrata vicenda ricca di suggestioni e di atmosfere, dove i personaggi si muovono da una città all’altra con la loro fatica di vivere, con le loro storie difficili che si intrecciano, si spezzano e si riannodano.”

Dopo la lettura delle prime pagine del libro, prende la parola Davide Ferrari portando il discorso sulla scrittura femminile. “…spesso i temi di vita sono trattati come un valore in sé, con grande attenzione cogliendo ogni aspetto e, quindi, anche come un qualcosa che permette di fondare un racconto senza che necessariamente ci sia un rimando ad altre verità più generali, oppure vi siano metafore che illustrino sul piccolo, sul particolare, sul quotidiano della concezione del mondo della vita.” Ferrari ritiene che “il quotidiano sia già sufficientemente ampio per essere fonte di una narrazione estesa come quella di questo romanzo, ma esiste una caratteristica specifica che non consente di creare un genere sulla base della sessualità dell’autore/autrice, però, non casualmente, può rimandare a tante altre scritture consimili.” Una rivelazione importante questo perché la sequela della narrazione porta il lettore uomo a riflettere anche sulla vita propria, sulle proprie relazioni familiari che deve integrare in una vita che si svolge altrove. Ferrari continua entrando nel merito del libro, della storia che lo ha appassionato, dal padre che è il centro del titolo, dei pensieri e anche delle liti per queste protagoniste femminili. Un accostamento a Umberto Saba che, abbandonato dal padre, era vissuto con la madre e con la nutrice; causa o concausa, questo, della sua nevrosi e di una sensibilità fragilissima ma anche disincantata; due elementi che ha ritrovati nel racconto che Saba fa, in parte in poesia e in parte come una nota di diario, dell’incontro con il padre già in età adulta. Quello che si ripresenta è un padre sbandato, che ha mandato una carriera a rotoli, ma forse si umilia e contemporaneamente condanna ogni possibile riconquista di ruoli chiedendo soldi, un aiuto concreto. Senza dare giudizi, si può vedere il quadro così come lo si vede nel racconto di Fosca Andraghetti. Bellissima è la reazione che ha nella sua scrittura: una condanna a una separazione, a una scelta del tutto irriducibile che non si può recuperare in alcun modo.

“Io penso che la lettura di un libro come questo, Un padre in prestito consente proprio di poter riandare a noi e agli altri di cui qualcosa magari sappiamo, perché è proprio come una pista fatta di tante situazioni familiari di questo quotidiano che, da solo, ci permette di ripensare tutto il senso di un nostro esistere senza per forza dover trarre da una lezione pregressa. Mia mamma era una grande lettrice di riviste femminili, quelle però degli anni 60; contenevano un inserto letterario con qualche nome famigliare come Natalia Ginzburg, Brunella Gasperini e altre. Allora trovavo difficilissimo seguire queste trame con questi nomi. Poi ho pensato, negli anni, al fatto che, da questo tipo di letteratura se valida, si prendono delle cose utili alla bisogna per capire una situazione, per ricordarsi una parola, ed altro. Ecco allora che questo universo di letteratura popolare, ma d’alto contenuto, è un grande aiuto dato alla situazione culturale di una paese, di una generazione. La letteratura femminile è questo: non sempre o quasi sempre c’è un grande valore. Noi dobbiamo molto alla letteratura, al valore del racconto femminile, vera storia di familiarità.”

Davide Ferrari conclude così il suo intervento e la parola passa a Giulia Motola che esordisce con un commento sui temi trattati nel libro: temi importanti come la famiglia, le relazioni che ci sono all’interno della stessa, di queste cose che vengono taciute e, proprio per questo, possono poi creare delle fratture che si protraggono nel tempo e difficili da rimarginare. “Riguardo a questi argomenti – dice Giulia Motola – emerge, all’interno del libro, una dimensione familiare vissuta molto anche dagli uomini e mai in una forma secondaria. Infatti, uno dei due fondamenti di questa famiglia, Giorgio, il padre prestato, è una bella figura per la funzione di protettore e di garanzia, fulcro nell’ambito della famiglia… sua moglie Rita è colei che dà rassicurazione ed ha un ruolo di accoglienza."

Prosegue parlando dei personaggi e di come si muovono all’interno del libro. “Una struttura su diversi piani perché, all’interno di questo testo, abbiamo la relazione dal quale parte e i flash back attraverso i quali si ricostruisce la relazione di personaggi principali. Il tutto con un grosso lavoro di equilibri e un gioco di temi non facile per l’autrice.” Sulla caratterizzazione dei personaggi rileva che il loro aspetto fisico non è immediatamente rappresentato completamente, ma si diluisce nel tempo creando così delle aspettative per il lettore che può, in questo modo, fare le sue considerazioni. Altra cosa interessante sono le anticipazioni, piccoli accenni a un qualche cosa che potrebbe accadere creando anche qui una attesa, una curiosità nel lettore spingendolo a proseguire nella lettura. Quindi flash back, anticipazioni, caratterizzazione dei personaggi diluita nello spazio e nel tempo di narrazione. Parla poi della protagonista del libro, Mirka, la bambina che non conosce il suo vero padre e che si muove all’interno del suo nucleo famigliare. Ci sono altri personaggi nel libro, ad esempio nonni di Rita, personaggi che sono dei cammei, con le loro presenze saltuarie. C’è questo nonno che, pur nella sua bruschezza nel definire Delinquente il maturo professore che abbandona Rita, non lascia sola sua figlia e ne accetta la maternità illegittima, fa in modo che sua figlia abbia una famiglia e che non si senta mai sola. “Anche questa volta, c’è un uomo che ha una funzione protettiva, una funzione che ricorda gli alberi. Ricorda l’olmo, l’albero che Giorgio ha poi piantato per Mirka verso la quale ha una specie di predilezione rispetto a Margherita, la figlia carnale. Gesto simbolico quello di piantare un albero. Un olmo. Mirka sa di non avere un padre, e le viene sempre rinfacciato quello in prestito. In una pagina viene definita molto bene questa situazione che inizia: Di sicuro il fatto di non avere un padre l’aveva molto condizionata…”

Sarà Rita, la madre, a spiegarle di questo padre naturale che non è lì, e la rassicura anche dicendole “Tu hai tutti noi”. In realtà questo aspetto dell’esserci della famiglia la porta, forse, ad una sorta di riconciliazione con la figura del padre biologico cioè quello dell’immaginario. Se un padre non c’è, è una ferita che non si richiude, ma Mirka è stata fortunata perché ha avuto sempre questo “padre in prestito”, Giorgio, pur con la sofferenza latente per questo padre naturale che non l’ha mai accettata. Una ulteriore considerazione sul riflettere delle cose, sulle molte situazioni di famiglie non strutturate nella forma tradizionale, le cosiddette famiglie allargate: c’è la speranza che anche in una famiglia allargata ci sia, o si possa creare, una situazione serena con delle relazioni sane.

Giulia Motola chiede all’autrice, che ha dato voce ad una varietà di personaggi, che cosa significa per lei dare voce ai bambini.

“Forse ricordare la mia voce di bambina. – risponde Andraghetti - In Mirka ci sono io bambina, ci sono le mie paure e le mie fragilità, ma anche la mia capacità di farmi compagnia da sola. In Margherita ci sono le mie birichinate, in Alberto c’è la mia voglia di giocare, di rifugiarmi nel gioco e quella di piacere agli adulti per essere accettata. Le voci dei bambini che compaiono in Un padre in prestito, sono quelle dei bambini che ho incontrato e che incontro ancora: le mie nipoti, i figli delle mie amiche… Potrei forse scrivere un libro sui bambini, sui giochi e le favole che inventavo. Magari sarà il prossimo che scriverò!”

Con questa battuta Fosca conclude e prende la parola Giuseppina Rossitto. Poiché ogni lettore è un lettura del libro, oltre alle considerazioni dei relatori che l’hanno preceduta, Rossitto ha rilevato altri aspetti. Innanzi tutto la partenza che è il passaggio dalla scrittura creativa alla scrittura d’autore che, in questo contesto, è ben visibile nella tematica trattata: la famiglia, cioè il racconto di sé che va verso il racconto più largo, anche nel sociale. “Il libro di Fosca non si esaurisce nella famiglia – prosegue Rossitto -, in questo tema principale e centrale del padre in prestito. C’è tutto un contorno, il trasferimento del racconto di sé nel sociale.” Una famiglia nuova, allargata, dove c’è un passaggio generazionale, c’è una gravidanza, quella di Rita, fuori dal matrimonio, che porterà la famiglia a fare delle scelte importantissime. Poi, in un certo senso, la storia si ripete con la separazione di Margherita. C’è di nuovo un bambino che rimarrà solo. Meno sacrifici, tutti intorno a questo bambino. Giorgio e Rita, Mirka stessa costituiscono un punto di riferimento per lui che si ritrova in una famiglia di persone separate. Questi sono i problemi: la famiglia allargata con il divorzio, la separazione, la ricongiunzione… “La contemporaneità così presente in questo libro, la vita di ogni giorno diventa una caratteristica. E’ una capacità ben riuscita il saper trasferire nella narrazione di un contesto sociale molto stretto, quello bolognese, cioè andare nella narrazione e ritrovare le tue strade, la tua collina, i tuoi ristoranti, il tuo fiume, cioè l’ambiente di tutti giorni, un’altra realtà contemporanea. E’ un grosso valore.”

Poi attorno a questa famiglia compare il dramma che si alimenta e si consuma nel tempo, c’è questo strappo fortissimo che coinvolge un po’ tutti.

“Come diceva prima Davide, il rapporto con il padre per una donna è molto importante, ma credo lo sia per chiunque indipendentemente dal sesso perché è il rapporto con le radici, lo è anche con la madre, e quando le radici si perdono, diventa un trauma difficilmente recuperabile.” Un trauma che non è solo in Mirka, ma anche della sorella Margherita con quel continuo rinfacciare alla sorella ti ho prestato mio padre, quel padre che non è tutto suo, ma lo ha dovuto dividere con qualcuno a cui non apparteneva. In questo senso è stato un trauma anche per lei. In un episodio appare chiaramente il dolore di questa donna, apparentemente superficiale, più disinvolta come carattere, ma anche lei con delle mancanze fortissime. Due personaggi con tutte le problematiche presenti nella società di oggi.

“In questo trauma c’è una espressione molto poetica ed è quando Mirka, alla fine del suo percorso, si rifugia sotto l’olmo che Giorgio ha piantato per lei e fa attorno a sé un cerchio di foglie, una fragilità incredibile perché basta un soffio di vento a spostare le foglie, ma racchiude il suo universo. Poi chiama Giorgio. Ecco, è questa è l’immagine poetica che non è l’unica. Ricordiamoci che Fosca è anche poetessa; non è né determinante né prevalente questo aspetto del libro, ma alcuni tratti hanno proprio del poetico.

L’altro tema di grande attualità che Fosca affronta è il lavoro, il rapporto con il lavoro che, qui, ha delle caratteristiche particolari: i nostri personaggi, prevalentemente femminili come Mirka e Margherita, arrivano al lavoro con il percorso della raccomandazione. Come del resto succede anche al marito di Margherita che lavora nella azienda di Giorgio, cioè del suocero. Un ambiente con una protezione eccessiva. Il percorso privilegiato di Mirka però si interrompe con il mobbing, altro tentativo di Fosca di trattare una problematica attuale nel mondo del lavoro. Mirka dovrebbe fare delle scelte adeguate al suo carattere forte, ma ancora una volta trova la protezione del nuovo Presidente che si trasforma in un storia affettiva. Non sono personaggi scontati.”

G. Rossitto rileva inoltre il rapporto dell’autrice con i bambini, del suo ruolo con gli stessi. “Fosca – dice - si è immedesimata in questi bambini, poi ha detto tante cose di sé e dei vari personaggi, il ruolo della nonna, della amica. Ma non ha parlato del ruolo di una madre che non è una dimenticanza, ma una cosa voluta perché significa che si riconosce di più negli altri ruoli che non in quello della madre. Ecco in questo personaggio l’autore non è riuscito, (o non ha ritenuto) di calarsi sino in fondo.” [In effetti è una scelta dell’autrice: Mirka sa che sua madre è presente, come lo sa Margherita. Quindi non è lei che si contendono, ma il padre biologico solo per una di loro n.d.a].

Riguardo alla costruzione del libro, secondo Rossitto le prime centro pagine si somigliano molto e si somigliano molto le seconde cento pagine. Ricorda che l’autrice ha parlato di un vecchio romanzo, scritto dieci anni prima, che ha rielaborato aggiungendo diverse parti nuove. “… si nota molto lo stacco di una narrazione che passa dal 98 ad oggi. Nella seconda parte del libro si muove molto di più, c’è una narrazione più veloce, ci si muove di più nell’ambientazione, ci si muove molto di più anche con i personaggi anche non di rilievo, ma che fanno del racconto un percorso dinamico e denota una maturità dello scrivere.”

[L’autrice ha preso spunto da un suo vecchio romanzo inedito, riscritto completamento e con l’aggiunta di nuovi personaggi come, appunto Margherita e Giorgio, che compaiono già nelle prime pagine. L’autrice ha costruito un percorso logico: da una tranquilla quotidianità, quindi un tempo di narrazione lento, si passa ad un insieme di avvenimenti che scorrono sempre più velocemente quindi anche il tempo di narrazione diventa più incalzante. [n.d.a]

“Il tipo di narrazione mi ha dato l’impressione di una narrazione da sceneggiatura di soap opera, non lo dico in senso negativo, ma mi riferivo anche al cinema, parlavo della realtà trasferita nelle immagini cinematografiche o televisive. C’è l’uso dei particolari, dalla ambientazione molto ferma, perché molte ambientazioni sono al chiuso, dentro la famiglia rappresentata con immagini. Fosca ha parlato dei suo percorso iniziale: il racconto popolare, il racconto sui settimanali, lei stessa ha scritto sui settimanali in epoche precedenti, quindi c’è questo aspetto del racconto popolare con tutte le caratteristiche.”

A conclusione del suo intervento, Rossitto fa un suo commento sulla lunghezza del romanzo che, a suo parere, non deve superare le 150/170 pagine. “Ci deve essere una narrazione più veloce perché ci sono più libri in circolazione che vanno letti. Il narratore non riesce a dire tutto, noi ce ne accorgiamo perché quando lo leggiamo, automaticamente nascono impressioni e punti di vista quindi si creano tanti altri libri quanti sono i lettori, partendo dai diversi spunti.”

Il saluto a Palazzo d'Accursio



Davide Ferrari lascia Palazzo d'Accursio, dopo dieci anni.
A salutarlo,il 27 Aprile, con Salvatore Caronna e Andrea De Maria, una folla di cittadini e di amici, delle istituzioni e del mondo della cultura. Dell'altro schieramento: Enzo Raisi e Daniele Carella.

lunedì 20 aprile 2009

Davide Ferrari, su scuola e politica per la città.

L'intervento di Davide Ferrari alla conferenza programmatica del PD di Bologna, Sala Europa, Palazzo dei Congressi, 20 Aprile 2009. Video.

Si può vedere a:
http://www.ustream.tv/recorded/1411121

martedì 7 aprile 2009

C'è la crisi? Prendo un taxi.

E' notte e un taxi mi porta a casa. Siamo una comunità, noi clienti abituali. Meno ricchi di quel che si potrebbe credere, anzi. Non giovani, un po' impediti. Con la voglia di chiacchierare, come altri dal barbiere. Quante cose si confessano a un taxista! E fa piacere quando la voce al radiotaxi ti riconosce. Meglio di quando ti dicono: "Il solito, dotto' ?" al caffè. Da un po' di tempo le cose non vanno. Le fila dei taxi fermi, in attesa dei clienti, crescono. Ad ogni posteggio. Quasi ad ogni ora. E' la crisi. Fino a un anno fa era il contrario. Quanti sacramenti invocati mentre il radiotaxi non trova auto, e quanto nervoso in fila alla stazione o in Piazza Re Enzo. Ma oggi... "Attendiamo la Fiera del libro", mi diceva speranzoso un autista amico. La Fiera è arrivata ma pochi gli operatori con la licenza di uccidere nelle note a piè di lista.Le imprese hanno il braccetto corto. Non ci sono più gli standisti di una volta. . "Fa paura pensare che presto arriveranno 40 auto in più"incalza il driver. Già, le nuove licenze, onerose e contrattate con la categoria, giustissime in tempi normali, d'un tratto diventano un pericolo.
I taxisti non sono simpatici a tutti.
Qualcuno guida parlando al telefonino con la fidanzata. Altri d'estate ciabattano in sandali.
Però è gente che lavora. E poi sono simpatici. C'è quello che vuole per forza una strada intitolata ala categoria, perchè " c'è via del fonditore" e allora...E quello che vuole mettere i "piedoni" gialli, le impronte incollate sul selciato, per segnare il posto del primo cliente in ogni fila. E come fu ridicola la campagna che li additava come una pericolosa corporazione succhiasangue. Non mi piacciono i populisti che li hanno difesi. Ma certi liberisti, più o meno, che li trattavano come fossero un pericolo pubblico han fatto danni.
Comunque: c'è la crisi? Prendo un taxi. Finchè si può.
E' ancora notte. La pioggia in strada, a Bologna, è un'altra cosa, se si è in taxi. Oh il luccichio. Nel tepore. Accompagnati. Ricordate il Dino Sarti: " Io non fumo , non ci ho vezzi, mi piglio un taxi, mi cavo un caprezzi".

Segnali di fumo.
Rubrica di D.F. su "Ilbologna" quotidiano Epolis.

venerdì 3 aprile 2009

“Amo la scuola”. 2 Aprile 2009. La relazione.

Partito Democratico di Bologna
Forum delle scuole

Convegno programmatico
“Amo la scuola”Bologna, sala della Cappella Farnese, palazzo d’Accursio, 2 Aprile 2009

Relazione introduttiva di Davide Ferrari

Abbiamo assemblato vari contributi che ci sono giunti in questi giorni e che troverete nella carpetta dei materiali. Contributi diversi che sono stati però molto utili per comporre un temario, una traccia di orientamento.
Un brogliaccio di temi che io penso possa essere utile sia ai candidati che sono presenti in sala, e saluto, alla Presidenza, Beatrice Draghetti , ma anche tale da poter aiutare anche le istituzioni, nel prossimo futuro.
L’impegno sarà lungo. Avremo un mandato comunque difficile, che dovrà affrontare il tema più grave del fare più cose con meno risorse. E questa volta, quando si dice “meno risorse” si parla davvero di molte, molte risorse umane e finanziarie disponibili, in meno.
Ecco, questo è lo scopo di questa iniziativa; iniziativa che si svolge in campagna elettorale ma che non ha un taglio elettorale, ha le caratteristiche e l’ambizione di misurarsi su un tempo più lungo. Diceva bene Luciano Russo, non siamo in un tempo normale. Siamo, appunto, in un tempo che viene “tagliato” dagli avvenimenti per usare una linguaggio divenuto familiare in ambito scolastico.
Ecco allora che abbiamo provato a fare questa sfida: vedremo se, questa sera, alla fine di questa lunga camminata avremo potuto lasciare, soprattutto a voi, indicazioni, temi, contenuti.

I valori, il fine della scuola.

Volevo partire da un aneddoto personale: mi è capitato di leggere, qualche giorno fa, in un testo di un centro di ricerca abbastanza importante, non proprio il primissimo, ma certamente fra i più importanti, un centro italiano, un elenco di quelli che, a loro dire, dovrebbero essere i valori posti come fine della scuola.
Ne sono rimasto colpito. I valori elencati erano, nell’ordine: autorità, gerarchia, e disciplina.
Certo, il momento è quello che è, e consideriamo importanti anche noi il rispetto, l’autorevolezza dei docenti. Però fa riflettere questo elenco, fa pensare che sono quegli stessi “valori” che il governo e le sue televisioni ci propongono con grande insistenza, insieme, con malcelata ipocrisia, ai mille e mille nani e ballerine che occupano gli schermi televisivi.
Chiediamoci: sono forse davvero questi i valori che ci deve assicurare la scuola? Io non lo credo, noi non lo crediamo. Ci sembra invece che i valori debbano essere ben diversi, che il fine dell’educazione debba essere quello di favorire una crescita individuale libera e piena, differenziata e ricca; che, in sostanza con una frase “l’apertura di porte e finestre nella vita dei bambini” dovrebbe essere il portato principale della scuola. E questa, se vogliamo, è la base di quella “naturale devozione della scuola alla democrazia”, di cui scriveva John Dewey e di cui recentemente la nostra Mauria Bergonzini ha scritto in un bel contributo.
Ecco il punto: oggi non si parla solo di tagli, ma anche – io penso – di una sfida sui valori. Siamo chiamati ad una battaglia culturale sui fini di fondo circa il ruolo della scuola. Dietro alla difesa che vogliamo fare, positiva e assolutamente necessaria, della scuola di tutti non c’è tanto la difesa di un servizio e di spazi di solidarietà. C’è di più: c’è il bisogno di riportare la scuola alla sua funzione, non a quelle funzioni plastificate e fasulle alle quali, certamente, le gravissime scelte del governo, ma anche, purtroppo, un certo dibattito culturale insistente quanto negativo e inaccettabile, vorrebbero condannarla.
“Amo la scuola” - ha voluto dire proprio questo il nostro titolo di questa sera – e cioè concepire la missione educativa come la più importante per la qualità della crescita sociale, certamente, ma prima ancora – e su questo punto insistiamo –per assicurare ad ogni individuo, ad ogni persona maggiore consapevolezza, dignità, libertà.
E’ acclarato, a nostro avviso, come questo governo sia nemico della scuola – ma pensiamo che ci si debba chiedere se non stia, in questo essere nemico della scuola, per i richiami fin qui fatti, anche la radice di una inimicizia verso la democrazia.
E’ una prospettiva inquietante.
La politica del governo Berlusconi prima ha stabilito i confini dell’intervento pubblico obbligando a drastici tagli nella scuola e nell’Università. E poi, con la controriforma Gelmini, ha cercato di dare copertura a quella che non è una razionalizzazione, ma la scelta di dequalificare, di paralizzare la scuola pubblica.
Trovo ad esempio curioso e molto grave – è solo un esempio, ma su un tema centrale – che tutte le dichiarazioni e gli atti del governo che si sono succeduti in questi mesi in merito ai tempi scuola, li considerino, li trattino come contenitori, mentre mai si parla della distribuzione delle materie all’interno di questi contenitori. La qualità dei risultati ottenuti fino ad ora dipende invece anche dalle scelte pedagogiche di metodo e di contenuto, che non debbono essere sottovalutate perché fondamentali nella formazione di base delle nuove generazioni.
Si pone quindi in primo piano la questione della qualità della didattica, poiché la drastica riduzione di tempo scuola non si può coniugare con tempi dell’apprendimento distesi, soprattutto nei primi anni scolastici, e penalizza l’apprendimento delle medesime competenze di base.

Difendere il sistema formativo dell’Emilia-Romagna, di Bologna

E’ particolarmente necessario, quindi, difendere il sistema formativo dell’Emilia-Romagna dagli effetti drammatici che queste scelte sono destinate a produrre.
Un altro aneddoto che qualcuno di voi ha vissuto: qualche giorno fa un lunghissimo striscione –che qualcuno ha definito, forse esagerando un poco, il più lungo striscione della storia delle manifestazioni civili a Bologna, ha percorso il centro della città.
Non ho avvertito, nel corso di quella manifestazioni, un clima di sola protesta, di non-proposta. Al contrario, mi pare che sia avvenuto in quella occasione, come in tante altre, la sensazione come se i tagli ciclopici della Gelmini avessero suscitato l’orgoglio di essere scuola fino in fondo, nei docenti ma ancor più nelle famiglie.
I genitori e le famiglie – almeno qualche genitore, qualche famiglia, molte – hanno compreso che a tutto si può porre rimedio; magari quando l’economia ripartirà – ma sarà durissimo, riuscire a risanare la grave ferita inferta alla migliore delle nostre scuole: la scuola primaria, la scuola per tutti i bambini… Una scuola non si inventa e non si improvvisa: con la scuola non si scherza! Bisognerebbe, quando gli affari vanno male, raddoppiarne i finanziamenti, e non tagliarli!
Per questo tanti bolognesi hanno cucito quel lenzuolo infinito degno – scusatemi la battuta – di una Penelope con le gambe così lunghe da poter capitanare una squadra di Watussi…. E per questo hanno sfidato un po’ di vento, con le mani all’altezza del petto, per stringere e sorreggere quella tela.
Noi eravamo tra loro: la protesta è stata larga e noi vogliamo raccoglierla e unirla alla proposta.
La partita è nazionale e proprio ieri Dario Franceschini ha lanciato – e Mariangela Bastico con lui – una petizione con la quale il PD chiede la immediata cancellazione di alcune fra le misure più gravi come quelle dei tagli finanziari e il maestro unico, l’orario a 24 ore settimanali e l’abolizione delle compresenze.
Su questi punti insisterà – ed è bene che insista – una campagna nazionale di questo Partito, che è già sul campo così come di altre forze che possono riflettere ed impegnarsi con noi.

Una vertenza per la scuola di Bologna.

Qui, oggi, dobbiamo insistere sull’aspetto più locale non perché Bologna possa avere problemi diversi dagli altri, ma perché dobbiamo vedere attraverso questo laboratorio – che questa volta è un laboratorio di rischio – come portare un contributo specifico sia con la protesta sia con l’azione di governo a questa battaglia più generale che si sta facendo.
Io parlerei, adoperando un termine che è già stato usato alla recente Conferenza per il miglioramento dell’offerta formativa, di costruire una vera e propria “Vertenza per la scuola di Bologna”, portata avanti insieme da Enti locali e cittadini.
E d’altra parte, come si potrebbe tacere, In un territorio dove, proprio mentre il Governo taglia, si registra una crescita costante della popolazione scolastica: 3mila ragazzi in più quest’anno rispetto al precedente e mai comunque una crescita di meno di 2 mila negli ultimi otto anni.
E poi non possiamo e non vogliamo nascondere le gravi preoccupazioni, non solo umane, non solo solidaristiche, ma anche riferibili alla qualità di tutta la scuola circa la drastica riduzione di posti di lavoro. Si parla – sulle cifre non azzardo, ma riprendo quelle sindacale e quelle degli enti locali – di circa 600 unità. Delicata è anche la situazione a livello di personale tecnico e ausiliario.

Noi vorremmo fare questa battaglia mettendo in campo anche idee nuove, o per lo meno raccogliere le migliori idee positive correnti e che devono avere ancora più gambe per correre più rapidamente.

Nell’ottica di un federalismo solidale

Ad esempio, se il tema è come rapportare la dimensione locale ad una nuova idea di Stato e quindi ad una battaglia nazionale, una idea su cui riflettere potrebbe essere questa: come potrebbe realizzarsi un vero federalismo solidale, a partire dalle scuole e a partire soprattutto dalla storia delle istituzioni bolognesi scolastiche e degli interventi degli enti locali per l’educazione, la formazione, l’istruzione, già così ricca di esperienze incentrate sulla dimensione del territorio.
Cominciamo a parlarne cercando però una nostra prospettiva: il federalismo non può essere una via di fuga dalle responsabilità pubbliche! O è il segno della cultura della libertà e dell’autogoverno, della sicurezza per tutti anche i più deboli, perché la Repubblica si divide per fare di più e meglio. Oppure è bene essere chiari: è pura reazione.

Sarebbe interessante, invece, mettere in campo idee per la perequazione delle possibilità fra territori forti e territori più deboli, che vedano in campo anche agenzie centrali dei territori forti. Ad esempio, su Bologna ed Emilia.
Mi permetto una proposta personale. Io da tempo penso ad una superagenzia per sussumere ed aiutare le zone deboli e gestire emergenze formative e culturali. Una specie di “Tennesse Valley” capace di agire su tutto il territorio nazionale proprio quando la Repubblica conquista nuove autonomie e nuove diversità.
Ma il punto, per gli enti locali, non è ipotizzare tante piccole Rome dotate di tanti piccoli viali Trastevere, ma prevedere una gestione del sistema che unifichi tutte le competenze oggi in capo agli enti locali, ridia loro ordine, aumenti l’integrazione, rispetti la libertà dell’insegnamento e la funzione delle scuole. Dia vita, in sostanza, ad un patto significativo e rilevante per la qualità, anche oggi, anche di fronte alla nuova e più pericolosa situazione.
Noi pensiamo che in questa dimensione si dislochi la rivendicazione di un forte ruolo della Regione e degli enti locali.

La legge Aprea: un decentramento proprietario

Vedete, non ci convince, ad esempio, ciò che viene dopo la Gelmini, la Legge Aprea. Certo, c’è un linguaggio diverso, però la sostanza sembra quella di essere una sorta di decentramento proprietario.
Ho detto prima: decentriamo. Leggiamo che addirittura gli enti locali, con le imprese, entrerebbero nei consigli di amministrazione di scuole diventate fondazioni! Ma si tratta di integrare o di imporre magari scelte didattiche, magari scelte culturali?

Le scuole ad altissimo rapporto con il lavoro del territorio

Certo, noi per primi abbiamo proposto anche in campagna elettorale – e qui riproponiamo – una cosa che ha aspetti di similitudine, ma per scuole ad altissima vocazionalità. E lo proponiamo da tempo, da parte di tutti i partiti da cui proveniamo: un’altissima vocazionalità territoriale richiede un maggiore rapporto scuola-impresa-territorio. Ed ecco, ad esempio, che per alcuni poli didattici attorno ad istituti tecnici di fortissima vocazione e socializzazione, può essere interessante dare più spazio alla dimensione della Fondazione per tutto ciò che può crescere attorno alla scuola. E vedere lì anche una diretta responsabilità delegata non solo ai rapporti tra l’assessorato e quella scuola da parte degli enti locali.
Ma è tutto un altro discorso ed è un discorso promotivo e non oppressivo. E io credo che le esperienze emiliane dovrebbero essere un punto di partenza proprio perché noi possiamo rivendicare qualche cosa che ha funzionato. E’ vero o no che il modello dell’integrazione tra la libertà delle scuole e una forte presenza di sostegno, anche di indirizzo dell’ente locale, ha prodotto risultati: dalla scuola dell’infanzia alla scuola di base, fino alla secondaria superiore?
Queste esperienze, con l’impegno diretto, anche sul piano del personale impiegato, non sono la zavorra, ma sono state il banco di prova soprattutto a Bologna, di tutte le principali innovazioni.
Da tempo, d’altra parte è emerso il problema: come ripensare, riqualificare, non solo ridurre le gestioni dirette in epoca di scarsità crescente di risorse. Anche su questo abbiamo una proposta.

Un progetto per l’intervento comunale a Bologna.
Una istituzione per le scuole dell’infanzia. Un progetto per il nuovo polo-Aldini.

Prevediamo, ad esempio, a Bologna come in altre realtà, istituzioni autonome cui dare vita per organizzare le risorse in capo agli enti locali. E ci proponiamo di attuare una programmazione che determini fin dall’inizio un obiettivo sostenibile, quante scuole dell’infanzia comunale tenere, quanti interventi diretti per l’handicap mantenere, da qui ad un intero ciclo di programmazione, per almeno un decennio, dunque. Un elemento di arrivo, dunque, da indicare subito, per poter sostenere ciò che si mantiene, come un laboratorio di qualità.
Siamo perplessi da una discussione, ma anche da una azione di governo, talvolta, che pur con tante qualità inizia ogni volta dalla difesa di tutto e poi alla fine rincorre disperatamente lo Stato perché assuma gestione di sempre più parti di quelle che erano le scuole degli enti locali.
E’ comprensibile, ma una buona programmazione richiede una operatività inversa. Mettere in luce dove ha un senso storico gestire ancora direttamente, dichiarare che cosa mantenere; creare strumenti di governo più forti per la gestione e attorno a questo costruire un progetto di sistema integrato di cui da tempo, nella pratica, si è dato vita.
Questo discorso è valido soprattutto per le scuole dell’infanzia. Ma in qualche modo – e qui, pur con tanta difficoltà, qualcosa si è fatto di significativo – anche per i poli polifunzionali tecnici: a Bologna le Aldini-Valeriani-Sirani.
Il Comune ha bussato a tutte le porte, ma nessuno ha risposto. Questi imprenditori che scendono in campo proponendosi di fare di fare i sindaci, in quel momento hanno tenuto il portafoglio chiuso! Forse interessa di più che si apra il portafoglio del pubblico, per incrementare qualche iniziativa privata, piuttosto che aprire il proprio!
Ecco, mi chiedo: se ci fosse stato attorno alle Aldini qualche cosa di simile a quello che è avvenuto intorno alla riqualificazione del patrimonio GD, in questi giorni, che cosa poteva accadere? Forse qualcosa di ancora più avanzato di quanto abbiamo realizzato, con l’assunzione da parte dello Stato degli Istituti scolastici, ed il mantenimento di una serie di servizi formativi e di orientamento in capo all’Ente Locale.
Ma certo la scelta è stata interessante, non solo necessaria, sic stantibus rebus.
La scelta, noi così la intendiamo, di mantenere una poliedricità di interventi intorno ad un polo scolastico che veniva riassunto dalla rete delle scuole pubbliche.
Adesso si tratta di sviluppare la progettualità dei servizi formativi Aldini, fare veramente un polo di rinnovata qualità ed utilità, con la piena collaborazione con la Scuola vera e propria, statale ma-ricordiamolo sempre-dotata di autonomia, primo interlocutore dell’Ente Locale e del territorio.
Bisogna accelerare, ora, proprio nel senso che prima richiamavo.

Siamo qui partiti richiamando il tema degli interventi diretti del Comune di Bologna.
Ma se l’ottica è il progetto, se la base è la libertà di insegnamento e di fare scuola delle istituzioni autome, tali sono le scuole pubbliche che un tempo dicevamo solo “statali” il punto di partenza deve essere : riconoscere negli istituti i primi interlocutori, non fare più nemmeno un progetto- da parte dell’Ente locale- senza una compartecipazione delle scuole, dall’idea, alle risorse umane e logistiche.

Un grande accordo strategico Enti Locali-Scuole, dagli edifici ai contenuti

Ci vorrebbe quindi un grande accordo strategico Enti Locali-Scuole, quasi un piano “regolatore” della rete educativa, dagli edifici ai contenuti, pensato e realizzato insieme.
Troverete nei contributi delle proposte prodotte da amici del Forum delle scuole*.
Partiamo da punti di riferimento valoriali: il diritto alla formazione, la famiglia, il ruolo della scuola pubblica, l’integrazione sociale e culturale, l’accesso al sapere.
Ma poi azzardiamo delle proposte sullo specifico. Ho detto già un po’ del rapporto con le istituzioni; ho detto della scuola materna. Del metodo e degli strumenti per governare, programmando, il tema complesso delle gestioni dirette del Comune.

Gli interventi scuola-cultura-territorio

Voglio ancora dire una cose, l’una sugli interventi scuola-territorio. Qui abbiamo colui che dette il via, con una sistematizzazione teorica, il professor Franco Frabboni che ringrazio di essere qui con noi. Sono passati molti anni e non è facile mantenere la rete delle aule didattiche decentrate, un impegno diretto su tante realtà, anche perché sono cresciute altre esperienze, di altra provenienza.
Guardate, io per convocare questa nostra iniziativa mi sono basato su un elenco di servizi comunali e di associazioni partecipanti ad un bel convegno promosso dall’assessore Virgilio. Non perché non le conoscessi ma perché chiamare a raccolta queste realtà, vuol dire fare i conti con un numero di realtà che supera il centinaio.
Mi chiedo: in quale altra città, per fare una locandina di una iniziativa simile, occorre riempire tutto lo spazio di una A3 per metterci tutte le firme?
Cioè, in quale altra realtà si è fatta crescere e si è mantenuta una rete così fitta di istituzioni culturali così aperte alla fruizione didattica e aperte alle scuole? Questo è un punto centrale: troviamo le forme più adatte, ma guai se diventasse una questione di politica del personale.
Questo è un punto essenziale, attorno al quale fare ancora più emergere, qualificare, quel ruolo autonomo e rispettoso della autonomia delle scuole che, appunto, vede l’ Ente Locale fornire ad esse un servizio e investire per la qualità di tutta l’attività didattica, di tutte le scuole.
Ho detto, seppur poco, sui vari ordini di scuola. Ma voglio dirvi davvero che in ogni parte troverete, nel documento della Conferenza per l’offerta formativa, tanti spunti che permettono di vedere chiaramente cosa sta accadendo. Che cosa accade sulle iscrizioni, ad esempio. La vera e propria truffa: scegliete e – vorrei dire – non vi sarà dato!
E anche i rischi in settori di scuole di cui si parla poco. Ma non sta a me sviluppare compiutamente tutti gli argomenti, li troverete nei contributi.
Voglio finire con un’affermazione: sembra forse poca cosa, ma difendere la scuola pubblica chiamando a raccolta anche altri, anche chi vuole fare impresa, purché sia un intraprendere sano, difendere la scuola pubblica mantenendo un profilo alto anche quando le risorse sono poche e quindi riprogrammando e scegliendo è difficile e necessario.
Difendere la scuola pubblica come priorità politica: qui c’è ancora moltissimo da fare, nonostante – è curioso- grande parte del personale politico, certo quello miglior, provenga dalla scuola. E’ importante, ecco, che si recuperi il senso di una priorità.
Mi chiedo se almeno il 5% delle dichiarazioni polemiche che abbiamo visto nel nostro campo negli ultimi sei mesi, fosse stato impiegato a propagandare e magari anche a riflettere sulle realizzazioni e i punti critici di un così vasto intervento per la scuola che le nostre istituzioni fanno, ancora oggi, forse saremmo più contenti di noi.
Guardate: siamo coscienti che ancora, pur con mille distinguo, il mondo della scuola, gli insegnanti e anche tante famiglie, ma anche chi ci critica perché ci vorrebbe più sulla barricata, oppure invece chi dice “no, attenzione perché la barricata non reggerà”; insomma, tutto l’arcipelago dell’educazione militante, dimostra un’ attenzione e una capacità propositiva che resta molto alta.
Noi esercitiamo una professione intellettuale ma siamo innanzitutto cittadini che vogliono far discutere e non possiamo rispondere per tutto il Partito; possiamo però creare momenti di approfondimento che sollecitino una voce più chiara e costante. Ripeto, all’altezza anche di ciò che già si fa.
In sostanza, ogni tanto ci chiediamo: ne vale la pena? Pensiamo di sì. Io una volta terminavo spesso con una nota frase di don Milani che implica una parolaccia. Oggi si potrebbe lasciare stare, essere più pudibondi, ma tanti me l’hanno sentita dire spesso: la frase famosissima di “Lettere ad una professoressa”.
Se non sappiamo se la scuola sia sempre, ed in ogni sua espressione, meglio di quella cosa lì, come diceva Don Milani, certo vale la pena impegnarsi per la scuola.
Noi qui siamo per la scuola, per la scuola sempre.





*Per informazioni ed il materiale di programma completo del convegno “Amo la scuola” e del Forum
scrivere a: forumscuole.pdbologna@yahoo.it

giovedì 2 aprile 2009

"Amo la scuola"

"Amo la scuola".
Bologna: le scuole, il territorio, gli Enti Locali
Giovedì 2 Aprile

Desidero invitare personalmente ad un incontro "PER" la scuola, non soltanto "sulla" scuola,
Si svolgerà a Bologna, in Sala della Cappella Farnese, Palazzo d' Accursio, Piazza Maggiore 6, dalle ore 17,30 alle 23.
Un tempo lungo, ma pieno di tante cose.
Con tanti insegnanti, genitori e studenti, con associazioni e sindacati, e con il mondo di chi fa e promuove cultura cultura in dialogo con Flavio Delbono, Beatrice Draghetti, Andrea De Maria.
A seguire troverete il programma, in forma sintetica. L'incontro è promosso dal Forum sui temi della scuola, del PD di Bologna, in collaborazione con il Gruppo consiliare del PD del Comune di Bologna.
Sono a vostra disposizione per ogni informazione e chiarimento,

Davide Ferrari
(Presidente del Forum)




Spero sarete con noi anche al buffet che alle ore 19,45 ci ritroverà presso il Bar Paolo in via IV Novembre.
................................................................................................................................................................................



PD Bologna, Forum sui temi della scuola

Giovedì 2 Aprile 2009
“Amo la scuola”
Bologna: le scuole, il territorio, gli Enti Locali

Insegnanti, genitori e studenti,
Associazioni ed esperienze,
dalle Scuole, dall’Università, dalla Cultura
in dialogo con

Flavio Delbono
Beatrice Draghetti
Andrea De Maria
Giovanni Sedioli

Apertura del dibattito di
Davide Ferrari

Partecipano tra altri alla discussione
Paolo Rebaudengo, Maria Virgilio, Marilena Pillati, Daniela Turci,
Franco Frabboni, Vittorio Biagini, Marco Mazzoli

Presiedono:
Luciano Russo e Rosanna Facchini

Sala della Cappella Farnese,
in Palazzo D'Accursio, Piazza Maggiore 6

Orario: I sessione ore 17,30 - 19,45
h 19,45 Buffet
II sessione ore 20,45 – 23
Info: forumscuole.pdbologna@yahoo.it