martedì 15 novembre 2016

La vittoria di Trump. Prime note.


La vittoria di Trump è un fatto di tale gravità che non può essere definito con analisi frettolose, tanto diffuse quanto generiche.
La più richiamata attribuisce tout court la vittoria al voto per il candidato di estrema destra da parte dei ceti popolari “abbandonati dall'elitarismo dei democratici”.
C'è una parte di verità in questa sintesi ma anche molto di fuorviante.
In poche parole, non è vero che Trump abbia convinto ceti di "sinistra sociale" inconsapevoli e/o abbandonati, è vero invece che si è determinato un allontanamento di alcune componenti, vaste, di questi ceti dalla proposta dei democratici.
Il risultato sembra lo stesso ma non è così. Il voto di Trump non è una generica protesta anti-sistema, è un voto a destra, radicale ed inequivoco dove si è ritrovata la grandissima parte dell'elettorato moderato e dell'america bianca. Guardiamo meglio i dati.
Innanzitutto non è vero che Trump ha vinto per aver determinato a suo favore spostamenti elettorali socialmente significativi.
Donald Trump entra alla Casa Bianca con meno voti popolari rispetto a quelli ottenuti 4 anni fa da Mitt Romney.
A permetterglielo è stato il risultato dei democratici, con Hillary Clinton che, pur vincendo nel voto popolare, ha perso oltre 6 milioni di voti rispetto all'elezione di Barack Obama nel 2012.
Diventano quasi 10 milioni, se si considerano i voti ottenuti nel 2008, l'elezione del grande successo del presidente
uscente.
In sintesi i candidati Democratici alla presidenza hanno perso poco meno di 4 milioni di voti nel '12 rispetto all' '8 e altri 6 milioni nel '16 rispetto al '12. Una parte sono andati ai Repubblicani, come sempre avviene, nel normale interscambio fra i due partiti, e probabilmente una quota di voti repubblicani è andata invece a Hillary. Invece l'enorme maggioranza dei voti che hanno lasciato i Democratici si è dispersa, in particolare nell'astensione, qualcuno anche in proposte alternative, determinando la sconfitta di Clinton, ma non certo raggiungendo Trump.
La Clinton ha presentato senza dubbio dei limiti di innovazione, di simpatia, di popolarità, ma i fenomeni di erosione, di abbandono, vengono da più lontano e, in maniera più o meno simile, avvengono a danno di altre "sinistre" in Europa e non solo. E' interessante osservare le prime indicazioni che possediamo sull'origine sociale del voto a Trump e del voto alla Clinton.
Come da analisi Reuters sono i ricchi a votare Trump, più si scende nella scala sociale e meno voti prende il cosiddetto Tycoon.
Anche la ripartizione geografica è indicativa. Trump vince in tutti gli stati di tradizionale e solido orientamento conservatore, nelle aree rurali.
E gli altri dove ha prevalso, allora? Clinton perde molti stati per pochissimi voti.
Così in Michigan, dove 11.000 voti separano Trump dalla Clinton, in Wisconsin, dove la differenza tra i due candidati è di 27.000 voti, così in Florida, dove sono 120.000 i voti repubblicani in più.
Infine bisogna ricordare che la Clinton ha ricevuto il 55% dei suffragi degli under 30, il 54% delle donne e il 65% degli ispanici e un numero altissimo di voti di neri, di poco inferiore alla percentuale di Obama (l'89%).
Allora... a) la coalizione (minoranze di massa-città) determinata da Obama non è smentita dal voto andato alla più moderata Hillary, nel senso che l'architettura del voto alla Clinton non è sostanzialmente diversa da quella del voto a Obama, anzi, in un certo qual modo i caratteri di quest'ultima sono ormai- non superabilmente- la cifra di tutto il voto democratico, però (b) al voto democratico è mancata una quota rilevante di conferme di voto. I motivi sono noti ed anche i ceti sociali che più si distaccano: ceti medi proletarizzati dalla crisi e, in questo ambito, a nostro avviso, ceti di media o buona intellettualità del pubblico impiego o subordinati in ambiti privati. Infine, cosa non meno importante...(c) la proposta estrema di Trump, se non ha avuto voti “nuovi” da aree e identità sociali più democratiche, a differenza di quel che si scrive in questi giorni, non ha allontanato quasi nessuno dei possibili elettori conservatori. Il voto di centro-destra, in larghissima misura, è andato a chi ha svolto, nella sua campagna elettorale, numerosi comizi circondato da gruppi paramilitari nazisti osannanti e armati, per citare un elemento.
Evidentemente, ben più forti della paura dell'estremismo, sono state le condivisioni della volontà di potenza e supremazia che Trump ha espresso e il non riconoscimento -in alcun modo- dell'America plurale e plurietnica come l'"America".
Se pare difficile che tout court proposte più radicali possano invertire la rotta, certamente la sinistra moderata e "liberale", nel senso europeo del termine, non rispecchia i ceti dove maggiore è stato l'allontanamento e non le è sufficiente per riguadagnare, in molti casi, il loro voto, parlare di temi "altri" rispetto alla concreta condizione sociale ed economica: diritti civili, diversità, integrazione.
Non solo, i temi ambientali e il riprendere nel mondo di aperte sfide al primato della potenza degli Usa obbligavano, e obbligano, a chiarire una visione diversa, (non solo meno propensa agli interventi militari diretti, ma capace di scommettere su una nuova governance del mondo basata sull' interdipendenza).
Invece il confronto sempre più aspro con Putin, i tentativi, ancora sottotraccia ma evidenti, di contenere la Cina promuovendo alleanze fra tutte le potenze asiatiche ad essa concorrenti, la stessa larvale avversione alla Germania e alla Ue come creatura tedesca, dimostrano invece le incertezze e gli errori di una intera impostazione.
Concludendo quel che è accaduto dimostra che, senza una sua ricostruzione sociale e, nello stesso tempo senza una vera analisi dell'identità del voto a Trump, nei suoi caratteri di orientamento profondi, la parte progressista può quindi essere condannata alla sconfitta, anche in presenza di alternative estremiste e di bassissimo profilo di governo.
Davide Ferrari
"Il progresso d'Italia"
15 XI 2016