venerdì 22 marzo 2013

Referendum e scuole dell'Infanzia. E' lo Stato il latitante.


Il 26 Maggio si avvicina. A Bologna si voterà per il Referendum sulle convenzioni fra il Comune e le scuole paritarie.
Io non sono cattolico, non ho particolari relazioni nelle scuole paritarie, ma continuo a non essere convinto, non dai valori, che sono i miei, ma dalla scelta politica dei referendari.
Si dirà che le convenzioni dividono , anche se si fanno da vent'anni e con qualche profitto per la qualità della scuola di migliaia di bimbi. Il Referendum, però, ha moltiplicato la divisione, ha tracciato un solco profondo fra i migliori Enti Locali che, in tutta Italia, Puglia di Vendola compresa, cercano un rapporto con tutte le scuole, paritarie comprese, e una parte dei movimenti ed anche del corpo insegnante della scuola pubblica.
Quel solco andrà colmato e ponti andranno gettati, prima possibile.
La realtà aiuterebbe.
Il Comune di Bologna non toglie nulla alla scuola pubblica, anzi spende come nessun altro per le proprie scuole e per le scuole statali.
Spende oggi come non ha mai speso, neanche ai tempi d'oro dei grandi Sindaci Dozza, Fanti, Zangheri e Imbeni.
Ci sono mille cose che non vanno , ma perchè qui si fa.
E' lo Stato il grande latitante. E senza un maggiore impegno dello Stato l'offerta di scuola pubblica non può aumentare.
Urgono molti più "posti" realizzati o pagati dallo Stato.
Questa era ed è la vera battaglia da fare. Lo Stato non da a Bologna quasi nulla per l'Infanzia e taglia, e impedisce al Comune di assumere e di spendere. Qui è l'origine delle liste di attesa, non nel nodo delle paritarie.
Qui, non in un disimpegno del Comune che non esiste.
Almeno questo si potrà dire, subito, insieme? Si deve.

"Il contrario", rubrica di Davide Ferrari
L'Unità E-R  23 03 2013

sabato 16 marzo 2013

I selvaggi bus.


Alle fermate senza bus, con i passeggeri arrabbiati per gli scioperi all'improvviso, si sono ritrovati a dire No, amministratori pubblici e portavoce dei partiti. E' naturale, è giusto. I trasporti, nella vita quotidiana, sono una dura necessità. Qualunque protesta deve tenerne conto. Ma, sì c'è un ma, la condanna va ribadita-chiara- ma non basta.
Affermatisi nel boom degli anni dello sviluppo e della redistribuzione sociale, come una categoria di “aristocrazia operaia” i lavoratori dei trasporti urbani erano fra le colonne di un sindacalismo forte e consapevole. Poi è caduta, nonostante la resistenza dei nostri Enti Locali, la pioggia fitta della destrutturazione e della precarizzazione, del risparmio a tutti i costi sulla manodopera, la pioggia acida delle “altre priorità”. La responsabilità vince quando ci si sente “importanti” per tutto il sistema. Ma, i trasporti, lo sono ancora? Leggi dopo leggi hanno stabilito: i costi sono troppo alti , bisogna tagliare, competere. Ci pensino i privati o almeno li si imiti. Ma un treno, un autobus non sono merci qualunque, sono i mezzi sui quali un mercato sano dovrebbe poter correre. Hanno una funzione sociale, per l'economia e per la qualità della vita. Sono, poi, l'alternativa, se di qualità, alla dissipazione energetica ed all'inquinamento. Non sappiamo se i “rivoltosi“ credono in queste ragioni. La loro forma di lotta certo favorisce l'opposto, un altro passetto verso il degrado, nell'Italia dei vaffanculo. Ma se ad ogni critica loro rivolta non si unisce il richiamo e l'impegno ad una svolta, il senso del trasporto come bene comune, la risposta sarà generica e debole. Troppo.  

"Il contrario"
rubrica di Davide Ferrari
L'Unità E-R
16 III 2013

sabato 9 marzo 2013

FAST FOOD, DOVE NASCE LA RABBIA DEI SENZA-TUTELA




l“I giovani non hanno voglia di
lavorare”: frase fra le più
ingiuste ed irritanti. questa
espressione eterna , inaccettabile
ma ingenua, in bocca ai più
rancorosi fra i vecchi di ogni
tempo, diventa una offesa se
ripetuta da padroni e dirigenti. Per
i giovani il lavoro non c'è. Quando
lavorano, lo fanno per poco tempo,
per pochissimi soldi, con diritti
deboli e difficili da far rispettare.
Quando tutto è cominciato, la crisi
era sconosciuta, sembrava
inevitabile la prosperità, ci
raccontarono che bisognava
rassegnarsi: mentre l'industria si
frazionava e si delocalizzava,
evaporava, avremmo avuto l'ascesa
di un nuovo proletariato giovanile,
nel terziario più diffuso, di bassa
qualità, in sostanza. I volti allegri
per natura dei giovani al desk dei
fast food parvero raccontare il lato
buono della trasformazione in
corso. Oggi sappiamo che questi
cambiamenti ci hanno reso più
deboli. Non c'è solo la “cattiva”
finanza, contro cui sono tutti
d'accordo. C'è un impoverimento
pauroso della qualità del sistema
produttivo e, nello stesso tempo,
della qualità del lavoro. Mentre ai
tavoli fast crescono i disagiati e gli
anziani, anche qui, nelle nostre
terre più forti, nella catena dei
panini, simbolo di un consumo “a
portata di tutti”e “moderno”, si
affannano e si avvicendano persone
concrete, giovani con poca tutela,
troppo soli. Ora c'è chi, tra loro,
protesta. «Hanno studiato troppo»,
gli rimproverano, «per questo sono
insoddisfatti». Si dice che per
acchiappare più voti bisogna
sapersi presentare, “rinfrescarsi”.
Sarà così. ma è urgente ascoltare,
voler capire, non voltare lo sguardo
al disagio e al conflitto. Cominciamo
da qui 


IL CONTRARIO
rubrica di DAVIDE FERRARI
L'Unità E-R 9 III 2013

mercoledì 6 marzo 2013

I funerali di mio babbo, Aldo Ferrari

Mercoledì 6 febbraio 2013, alle ore 15, nel cimitero di Borgo Panigale.




Grazie di essere qui con noi,
innanzitutto un saluto alla zia Nicoletta, sorella del babbo, che oggi è lontana ma vicinissima a noi,  ed al caro zio Serafino, con un amore grandissimo.

Grazie per i tanti messaggi, leggerò alcune parole da quello di Vasco Errani, Presidente della Regione,

"La capacita' di Aldo Ferrari di documentare e interpretare le vicende della citta' di Bologna, da fotoreporter e da giornalista, resta patrimonio della nostra comunita'. Con la sua scomparsa viene meno un uomo e un professionista che e' stato interprete della vita cittadina  impegnato alla guida del sindacato regionale dei giornalisti anche nella tutela della professione";
e da quello, così caro e amichevole di Virginio Merola, Sindaco di Bologna:

“Storico fotoreporter e giornalista, con i suoi scatti ha ritratto la nostra città rianimatasi dopo essere stata vittima del secondo conflitto mondiale, ed ha raccontato le personalità multiple che tra gli anni '50 e '60 popolavano Bologna, da quella sportiva a quella artistica. 
Con la scomparsa di Aldo Ferrari perdiamo un brillante testimone della storia della nostra città. A Ferrari va la riconoscenza di tutta Bologna, non solo per il servizio reso alla città con il suo lavoro, ma soprattutto per l'immenso patrimonio culturale e storico che ha lasciato in eredità alla nostra comunità, donando tutti i suoi scatti all'Archivio fotografico della Cineteca". 

E ci hanno raggiunto le parole di Beatrice Draghetti, Presidente della Provincia, cui siamo grati.

Ringraziamo Sergio Lo Giudice per il suo ricordo in consiglio comunale e per il minuto di silenzio che, insieme alla Presidente Simona Lembi, ha voluto dedicare ad Aldo, per testimoniare, come ha detto, che:
“Oggi il cordoglio della famiglia, a cui ci uniamo, è il cordoglio della città di Bologna per la perdita di un testimone attento e acuto di una parte  importante della propria storia”.
Ringrazio i dirigenti del PD che ci sono stati vicini, nella persona del Segretario Raffaele Donini, che è qui con noi.
Ringrazio tutti i parlamentari ed i candidati, salutando Andrea De Maria, per le sue parole e per la sua presenza qui.
Ringraziamo tutti i colleghi che ne hanno scritto, con affetto, sulla stampa. Tutti li salutiamo nella persona dell'amico, tanto caro al babbo, Luca Goldoni.
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SONO SEGUITI GLI INTERVENTI DI
Claudio Santini- collega e amico, former Presidente dell'Ordine dei giornalisti,
Giovanni Rossi- segretario nazionale della Federazione della Stampa,
Anna Fiaccarini- responsabile della Biblioteca “Renzo Renzi” e dei fondi fotografici della Cineteca di Bologna
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Il maestro Paolo Buconi, violinista, ha eseguito “Sarabanda” di Haendel.
http://www.youtube.com/watch?v=JSAd3NpDi6Q
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Care amiche, cari amici,

Perdere il proprio padre è sentire, immediato, il vuoto dei ricordi non più condivisi nel dialogo, la vita comune non più rinnovata nell’amore, nella confidenza quotidiana.
Per tutti è così. Noi figli  sentiamo, insieme con Paola, la sua compagna di questi anni, il dolore,  la mancanza improvvisa (non importa l’età avanzata, non consola) di una guida di immensa generosità, fino agli ultimi, lucidi giorni.
Un amico poeta, suo collega giornalista, Pier Damiano Ori, ci ha scritto che Aldo era “imponente e gentile”. Un uomo che camminava leggero, senza odi e rancori, lieve nella sua corporeità così massiccia.
Atleta in età giovanile, marinaio sui mezzi d’assalto, visse, poi, lo sbandamento di una fede sbagliata, razionalmente perduta dopo la tragedia della guerra, senza incertezze e senza plateali abiure, perché l'abiura non ha stile e non consente di capire, fino in fondo.
Destinato per tradizione familiare, plurisecolare, alla carriera militare ed all’ingegneria aveva seguito altre ispirazioni, più vicine alla madre, la pittrice Emma Dallolio, alla moglie, Lucia ed al cognato, il nostro zio geniale e sfortunato, Costantino Della Casa, intellettuale influenzato dalla Sinistra.
Si era dedicato ad un mestiere, un artigianato, così lo considerava con rispetto e passione, fare il fotoreporter, correre in Lambretta da un capo all’altro dell’Emilia-Romagna, in caccia di immagini. Dal 1950 al ’60 fu la sua grande stagione di fotografo. Dalle immagini, straordinarie, del Polesine alluvionato, al volto di Ligabue, il poeta folle degli argini e del dolore, diecimila scatti in dieci anni, un patrimonio.
Come hanno scritto Gregorio Scalise e Bruno Stefani l’impronta pittorica, luminosa, nelle sue foto è saldamente legata all’ingegno del taglio, della composizione, e a quel lavoro in camera oscura che produceva, dalla congerie dei “clic”, il capolavoro.
Oggi Aldo è riconosciuto come uno dei fotoreporter di maggior talento e alcune sue inquadrature -lo sappiamo-possono stare nella storia della fotografia italiana.
Anche da giornalista mantenne l’attenzione alla grafica, all’impaginazione. Alcune sue pagine appaiono oggi, ideate ancora per la composizione a caldo e la linotype, moderne, di un’arditezza che stupisce.
Le sue fotografie diventarono invece cronaca della vita personale. C’è in queste “altre” foto un secondo patrimonio che andrà proposto alla conoscenza del suo pubblico, così cresciuto in questi ultimi anni.
Una vita multiforme, vissuta seguendo la brezza della casualità e del talento: Aldo, nei suoi diversi mestieri, l’ingegnere, l’artista.

Tre cose costanti nella sua vita, lo abbiamo ascoltato dalle testimonianze proprio ora,
il lavoro,
la famiglia,
l'amicizia.
Dell'amicizia vorrei dire, in ultimo.
La morte lo ha trovato vivo, appassionato di tutto.
Come facesse a stare nell'attualità senza leggere,
senza aggiornarsi con lo studio,
senza ascoltare musica,
senza guardare film, come aveva il compiacimento di dire spesso, esagerando,
ce lo chiedevamo.
La risposta è che
imparava con gli amici, nella frequente convivialità, che gli era necessaria,
i mitici compagni di scuola, la pluriclasse del Galvani, così la definiva Claudio Santini ironizzando sul numero dei componenti che il babbo citava,
i compagni d'arme e di sport,
i colleghi,
lo “stupidario”, la congrega del buon tempo cui tanto era legato,
le telefonate con il Brasile, con Ial Ceciliato, con Skype, in webcam, due veri “nonni multimediali” così meno soli e uniti sempre.

Un pomeriggio, dall'Università, da  Bressanone, gli telefonai per raccontargli la mia lezione conclusiva di un ciclo sui poeti contemporanei, lo facevo sempre.
Gli dissi che avevo terminato con una poesia-canzone di Roberto Roversi , ben nota.
Gli piacque molto, e lui mi aiutò a capire che parlava anche della solitudine del vecchio, espressa in prima persona,  non soltanto della solita nostra generazione degli anni '60 e '70, come può sembrare,e della necessità e dovere di parlare con gli altri, di ritrovarsi sempre, soprattutto con i più giovani,  i ragazzi,  chi ci segue...

Se vuoi toccare sulla fronte il tempo che passa volando,
in un marzo di polvere di fuoco
e come il nonno di oggi sia stato il ragazzo di ieri
se vuoi ascoltare non solo per gioco il passo di mille pensieri
chiedi chi erano i Beatles

Se vuoi sentire sul braccio il giorno che corre lontano,
e come una corda di canapa è stata tirata
o come la nebbia inchiodata tra giorni sempre più brevi
se vuoi toccare col dito il cuore delle ultime nevi
chiedi chi erano i Beatles

Perché la pioggia che cade è presto asciugata dal sole
un fiume scorre su un divano di pelle
ma chi erano mai questi Beatles
di notte sogno città che non hanno mai fine
sento tante voci cantare e laggiù gente risponde
nuoto tra onde di sole e cammino nel cielo del mare
ma chi erano mai questi Beatles.
(http://www.youtube.com/watch?v=NzF1Vf5Ro9E)

Addio,

con te, babbo, Fiammetta ed io, salutiamo oggi chi abbiamo già perduto, gli altri nonni amatissimi da Elena e Rosa, da tutti noi,  Luisa e Walter Moretti, Luciana e Glauco Cremaschi, e salutiamo colei cui ogni momento ci rivolgiamo, noi, i figli che ti ha dato, la nostra mamma, Lucia.
Ciao , babbo.