sabato 29 dicembre 2012

Ma cos'è questa crisi'

Anche da noi non va. Si combatte di più, con la Regione, i Comuni dalla parte giusta, ma la crisi cresce. Ma cos'è questa crisi?
Dicevano che la colpa era di finanzieri malandrini, dei loro titoli tossici, ma la bomba non è la miccia. In questi anni molte micce sono state disinnescate, salvando più di una volta titoli e banche, ma le esplosioni continuano. Ci hanno raccontato che la questione non era tanto quella di suscitare nuovo lavoro, ma di regolare “meglio” quello esistente. Il mercato avrebbe pensato al resto: tutti contenti, meno diritti ma il pane assicurato. Ma a forza di ridurre i salari, a cominciare da quelli dei giovani, il monte dei soldi disponibili per il consumo si è abbassato a tal punto che si producono troppe merci, non si vendono, si chiude. Eppure insistono. Gli dai  strumenti per assunzioni flessibili o a più basso costo? Usano le partite Iva. Per giovani e per vecchi precarizzati. E poi, e poi..Oppure niente. “Se non faccio così chiudo” Una difesa non sempre insincera ma che fa aumentare la stretta a quel consumo di cui le aziende dovrebbero pur vivere. Non c'è speranza allora? Bisogna fare “reset”. Cominciare una fila, dovrà essere lunghissima, di scelte antirecessione. Nessuno sa bene come. Ma una cosa diciamo ai liberisti, a quelli più bravi, quelli che vanno scrivendo Agende, aggiungete una frase in più: “abbiamo sbagliato”. Ai nostri che stanno gareggiando per le primarie dei parlamentari (Domani andate a votare!) un augurio e un consiglio: rivolgetevi ai lavoratori, ascoltate, proponetevi di rappresentarli. Però senza i nostri “ma anche..”
La crisi corre. Basta dirne anche uno soltanto e chi l'acchiappa più..

L'Unità, 29 dicembre 2012
"Il contrario"
rubrica di Davide Ferrari

sabato 22 dicembre 2012

Il teatro è necessario, il liberismo no

"Il contrario"
di Davide Ferrari
[L'Unità 22 XII 2012]

2013: 250° anniversario del Teatro Comunale di Bologna. 
Fra i migliori per qualità strutturali, la sua storia è un inconfondibile melange fra la provincia, il mondo, il gusto per le novità che via via hanno dato il segno alle epoche. 
La passione per Wagner, per esempio. 
Via ai festeggiamenti, dunque?
I tempi nostri non sono quelli dei facili applausi celebrativi. 
Si sta con il cuore stretto: i soldi raccolti localmente non bastano, la riduzione dei fondi statali, che potrebbe derivarne in automatico,
condannerebbe ad un declassamento probabilmente perpetuo. 
Da centro di produzione propria, a teatro-impresario che, di volta in volta, produce ciò che è più richiesto. 
Un passaggio, comunque, di enorme rischio. 
Il sistema della Lirica è una delle colonne dell'immagine dell'Italia e della sua produzione culturale concreta. 
Una riforma per metterlo in sicurezza non può consistere solo nel ritiro del pubblico e in meccanismi premiali per chi raccoglie di più altrove. 
Così può reggere solo La Scala.
La via, se c'è, è molto diversa. 
Il pubblico adegui i suoi fondi, in cambio chieda agli Enti Locali, alle Regioni, di razionalizzare e concentrare, e, ai privati, di farsi avanti, con ritorni fiscali e di marketing garantiti dalla solidità ritrovata degli enti.
 Solo se c'è garanzia di vita si potrà, infine, avere una forte revisione contrattuale per lavoratori che già stanno facendo
rinunce. Insomma: lo Stato deve dare e programmare, proprio per tagliare sprechi e duplicità, per attirare fondi privati non residuali.
Idee vecchie come la bella Clelia del Gluck, che aprì nel '763. Oggi
che il liberismo ci accompagna a non lontanissimi default, anche nella cultura, sembrano di nuovo freschissime.

sabato 8 dicembre 2012

Pubblica istruzione e città: la vera partita.

Il Rettore Dionigi accusa: si tagliano i fondi per la ricerca. Contemporaneamente, lo Stato continua a lasciare al Comune quasi tutto lo sforzo di “gestire” l'Infanzia. E' lo Stato il vero giocatore in panchina nella partita per l'istruzione pubblica. Questo vogliamo dire agli studenti ed ai bolognesi che hanno firmato per un referendum sulle convenzioni con le materne paritarie. Nessun dubbio sulla volontà dei cittadini di difendere la scuola. Ma l'informazione è stata, fino ad ora, molto carente ed i referendari, spinti dalle loro convinzioni, hanno tralasciato dettagli e chiarimenti. Il Comune di Bologna è il primo promotore della scuola pubblica. Nonostante il capestro del bilancio, impiega somme rilevantissime per le proprie scuole e, nello stesso tempo, convenzionandosi secondo trasparenza e qualità, interviene per tutti i bambini dai 3 ai 6 anni.
Il Comune gioca per lo stesso obiettivo che si chiede nelle manifestazioni. Il referendum invece, se va in gol, rischia di segnare nella propria porta. Le convenzioni non tolgono un euro da quanto comunque il Comune può spendere per le proprie scuole ed i propri insegnanti, per legge. Senza convenzioni starebbero peggio il 30% dei bambini e, se le paritarie chiudessero, si innalzerebbe stratosfericamente la lista dei senza posto. Non si parla di esamifici per liceali svogliati, qui, ma di bambine e bambini.
La Città degli studi, per tutte le età, deve ricomporre la propria squadra e chiedere fondi adeguati.
Se c'è, fra i referendari, chi lo intende, parliamone. Far decidere i cittadini sulla base di un confronto di verità è, ora che le firme ci sono, responsabilità di tutti.

"Il contrario" rubrica di Davide Ferrari, Sabato 8 Dicembre, sull'Unità E-R.

sabato 1 dicembre 2012

2 Dicembre. Voto e regole. Perchè l'Italia cambi.


“Votate, votate, votate!” Era l'allegro tormentone finale di Canzonissima, ricordate? Ogni anno veniva coniugato con un diverso jingle. In palio i 150 milioni della lotteria di Capodanno. Un tesoro, allora, negli anni di quella antica austerity.  
Ripetiamolo anche noi. Domani in palio, nel secondo turno delle Primarie, c'è ben di più. Si tratta di nominare, con l'indiscutibile democrazia di un voto, il candidato del centrosinistra al Governo dell'Italia. 
Votate, dunque. Sì, ma chi deve votare? Per diritto di cittadinanza, alla maggiore età, elettori lo siamo tutti. Ma le Primarie in questione non sono “per tutti”. 
Non sono un autobus dove si viaggia pagando i mitici 2 euro. Si è “cittadini del centrosinistra” se ci si è registrati come tali. Conta quella firma, conta quell'intenzione. Tutto si può far meglio, certamente, ma aver composto, questa volta, l'albo degli elettori del centrosinistra è stata una decisione giusta e trasparente, un'assicurazione contro burle e brogli, un 'oasi di serietà nell'Italia delle orgette e delle feste pagate coi rimborsi spese. Tutto qui. Ti sei registrato? Allora puoi decidere di votare,
al primo e al secondo turno, solo al primo o solo al secondo, di non votare. Come desideri. Non lo sei? Niente di male, ma questa partita, evidentemente, hai deciso non fosse, ora, la tua. Dicono che così “è brutto”. Dicono “chi vuole vada”, al seggio. Sarebbe come se, in una
elezione politica, al primo turno avessero votato gli italiani  e, al secondo, si volessero aggiungere gli svizzeri. Invece, con serenità e tranquillità, domani avremo un'altra buona prova. L'Italia dei trucchi deve cambiare, finalmente.

"Il contrario"
rubrica di Davide Ferrari
L'Unità E-R
1 XII 2012

sabato 24 novembre 2012

Un voto, per pretendere un domani.



Il tempo breve di questa campagna elettorale per le Primarie del Centrosinistra è già alle nostre spalle. I leaders candidati sono tornati in quest' Emilia preoccupata, ferita dal terremoto e dalla disoccupazione. Bene accolti. A cominciare, naturalmente, dal favorite son Pier luigi Bersani, con la sua provata credibilità. Non è solo la generosissima tradizione democratica della nostra terra. Si è fatta strada l'idea che queste Primarie siano la ripartenza della politica. Ce n'è bisogno e la gente lo sa, più di quanto si creda. Si comincia a capire che la partita non è tra tecnici sapienti e plebe fannullona. La crisi non si risolve risparmiando, tagliando, spendendo sempre di meno. Senza idee, senza promozione di sviluppo non se ne esce. La stagione di emergenza non finirà con il Governo Monti, i vincoli europei andranno rivisti ma oro da redistribuire comunque non ci sarà, è verissimo. Proprio per questo la politica ha un compito enorme. Tocca a lei affrontare i problemi. I banchieri e i “professori” non sono vampiri evocati da occulti poteri antipopolari, ma, quando sanno fare, sono strumenti. Non possono e non devono fare di più. La parola è a noi, scegliamo una proposta, la migliore, e diamogli la forza sufficiente per governare. Non disperdiamoci nei rivoli avvelenati delle polemiche sulle date di nascita, gli scontrini delle sale, le affluenti vuotaggini dei luogotenenti in carriera. Abbiamo capito che sono lampi di contraerea contro la speranza. Domenica le urne siano chiare, siano una voce. “Ci riguarda”, come sempre. Mai come oggi. Il nostro oggi, di persone e famiglie, che non si arrendono, che pretendono un domani.

IL CONTRARIO
di Davide Ferrari
l'Unità E-R 24 XI 2012

sabato 17 novembre 2012

Neve assassina




Sotto la neve pane, si diceva. Molto è cambiato. Ci dicono gli scienziati che non può che peggiorare. Il surriscaldamento non è un fastidio cui si possa ovviare con un condizionatore. Le bombe d'acqua, le precipitazione brevi e violentissime sono in agguato. Il gelo sconosciuto, la nevicata assassina che ferma la città è il respiro di una tigre ferita a morte. La tigre è il Polo che si scioglie. Fino ad ora abbiamo preferito non pensarci. Si parla di tutto ma di ambiente non si parla. La politica segue l'andazzo. I Verdi sono scomparsi nelle quisquilie, i partiti migliori hanno lasciato l' impegno alle associazioni tematiche. Ma i Sindaci non possono ignorare i problemi, le conseguenze dei disastri climatici. Per prevenire, almeno un poco. Per ridurre il numero degli incidenti ed abbassare i costi sociali. Fa così anche il Comune di Bologna con misure severe. Fanno discutere. “Perchè la multa se vado in bicicletta sotto il nevischio?” e via andare, con mille domande, sui divieti, sui centimetri di coltre che li determineranno. “Ho sempre fatto così, che male c'è?” Non possiamo più fare quello che abbiamo sempre fatto. Ha ragione l'Assessore Malagoli. Però la battaglia dei comportamenti è la più dura. Non bastano le ordinanze, ci vuole informazione, tempestività e partecipazione. Sul coinvolgimento delle persone, sul farsi comunità, sentiamo che c'è da lavorare. La rete, a Bologna ancora forte, dei cittadini organizzati va coinvolta prima di ogni decisione. Già si fa? Non basta mai. Siamo già al dopo? Anche fosse, coinvolgiamo. “Dopo”, cioè adesso. Varrà molto di più del timore degli annunciati 39 euro di multa.

"Il contrario".
Rubrica di Davide Ferrari
L'Unità E-R 17 XI 2014






sabato 10 novembre 2012

Regioni e Stato. Presidenti più forti. Un confronto da fare.



Assolti i  Presidenti di  Puglia ed Emilia-Romagna: è molto
importante. Siamo particolarmente lieti di vedere Vasco Errani uscire
rafforzato, nel suo impegno nella ricostruzione e nelle risposte alla
crisi.  Vale la pena di fare considerazioni ulteriori. L’Italia è , da
tempo, attraversata dalla globalizzazione. Anche sulle istituzioni il
vento ha soffiato forte. E’ sembrato che il modo di farvi fronte,
senza essere travolti, fosse quello, nell’Europa governata quasi
soltanto dall’economia, di rafforzarne la guida politica e la vita
democratica e, contestualmente procedere ad un drastico decentramento
di poteri, dal centro degli Stati alle Regioni. Poi la svolta della
crisi: un Governo vero dell’Europa non c’è, mentre sembra che il
federalismo” delle Regioni lo si voglia ridimensionare.
Il Disegno di legge Costituzionale di Monti riporta al Centro settori
strategici. Pochi denari: tutto va razionalizzato. Bene. Domandiamo,
però: “L’Italia si batte per rendere più governata e democratica
l’Europa o si limita a eseguire i “compiti a casa” ? L’Italia crede ad
un modello alternativo alle secessioni, basato su un forte
decentramento?” Non vorremmo che la riduzione del ruolo delle Regioni
fosse propedeutica, paradossalmente, a nuovi allineamenti della
politica all’economia, che si teme intralciata da particolarismi e
partecipazione. Le  Regioni hanno reagito poco. Sappiamo i motivi.
Ma, senza un patto rinnovato con i territori, Governo e società si
incontreranno ancora di meno, con esiti molto gravi. La maggiore
serenità di Presidenti di alto valore come Errani e Vendola potrà
ridare spazio ad un confronto. Doveroso. Tutto da fare.

Il contrario
rubrica di Davide Ferrari
L'Unità E-R, 10 Novembre 2012

sabato 3 novembre 2012

“Ma dove siamo capitati ?”



Il politico Beppe Grillo dichiara che gli esponenti, del “Movimento 5
Stelle”,  non devono mostrarle, le stellette, in Tv, se no gliene
toglie qualcuna. Aggiunge considerazioni sul "punto G", riferite, in
qualche modo, alla gentile consigliera comunale di Bologna Federica
Salsi. Un Assessore di Ferrara , del mio PD, ma  giovane e
ultrariformista, rivolge su Facebook, nel santo nome di Blair, una
violenta offesa corporale, anatomica, a Nichi Vendola. Si è scusato, è
vero, ma tant'è: Grillo sdogana, l'intendenza segue. Si dirà che in
autobus, nei cessi delle scuole, davanti alle macchinette del caffè,
nei corridoi degli uffici terziari, il linguaggio non è diverso.
L'impressione però è che una "nuova" politica sia così convinta di sé
da sopravanzare il peggio del gusto comune. Una volta si era
consociativi, lenti, un po' falsi, bulimici di rapporti
interpersonali. Forse solo per questo più educati. Oggi battono le
campagne molte armate di rivoluzionari. Vogliono cambiare tutto e
intanto sostituirsi a "tutti".  I loro fans, leggiamo sulla rete, sono
pronti a difenderli da “bieche strumentalizzazioni”. Insomma viene
sempre buono il vecchio argomento della “verità di partito”. Noi la
prendiamo male, invece. Stiamo nella politica, ma ci chiediamo: “dove
siamo capitati?”. Ma ne abbiamo viste tante, resisteremo. Una cosa non
accettiamo: che una domanda simile se la pongano, allontanandosi,
quelli, molto migliori di noi, che, gente semplice, ingenua, non
accettano che il rispetto, la convivenza con la diversità non siano i
primi valori comuni. Questi no, non avete il diritto di allontanarli.
Sono loro, qualunque età ed esperienza abbiano, il nuovo ed il meglio.

Il contrario
rubrica di Davide Ferrari
L'Unità E-R, 3 Novembre 2012

sabato 27 ottobre 2012

Reagire all'antica forza, nuova, del male.




L'offesa, di Forza nuova, alle persone omosessuali e all'ambasciata di Israele è gravissima. Guai a rispondere "nel merito", argomentando con le decisioni dell'Organizzazione mondiale della sanità, che da anni e anni ha esplicitamente tolto la diversità di orientamento sessuale dalle malattie. Guai a rispondere che un'ambasciata, qualsiasi, ha nelle sue normali attività quella di collaborare con manifestazioni culturali, com'è il festival “Gender bender”. Guai. Reagire non deve essere difendere. Mettersi sulla difensiva è già far vincere il male. Sì “il male”. Esiste. Ama dividere, vive nella crisi e nel dolore, muta in odio per gli altri le tasche vuote, l'angoscia del licenziamento, l'impotenza a far fronte ai bisogni della propria famiglia. La rabbia per il presente tramuta in invidia, violenta verso chi sembra accolto, chi fa, chi va avanti. La storia è vicenda di uomini e donne, sotto ogni cielo uguali, nei sogni e nei limiti. Il male aborre la storia, la cambia in complotti oscuri. Il male ha paura della cultura, insinua in chi non sa o non comprende la tentazione di divenire, grazie all'odio e nel disprezzo, superiore al sapiente. Il male odia l'uguaglianza, sogna la conformità. Il Dio che ci ha chiamato per nome, riconoscendoci differenti e persone, tutti suoi figli, è, per lui, una
menzogna giudaico-cristiana. Usa il suo nome, invece, traviandolo, in "sacre" unzioni di capi e di schiavi, di dominatori e di arresi. Reagire. Facendoci uguali, ai gay della Salara, agli ebrei di ogni tempo, ad ogni popolo. Mettersi a lato di chi è sotto la scure, dichiarandoci parte di lui, oggi, nell'urgenza della risposta, domani, sempre.

Il contrario
rubrica di Davide Ferrari
L'Unità E-R, 27 Ottobre 2012

sabato 20 ottobre 2012

Primarie. Se no, no




Le primarie, pian piano, si stanno imponendo nell'immaginario italiano. Merito esclusivo del PD e dei suoi vari direttissimi predecessori. Merito? Sì, in un sistema bloccato e distante, pur con tutti i limiti e gli inquinamenti che sono loro propri, le primarie aiutano la partecipazione e legano i cittadini alla "Cosa pubblica", alla Repubblica. I contendenti, però, se devono, adesso, portare acqua al proprio mulino non dimentichino che, dopo pochi mesi, si ritroveranno dalla stessa parte di chi ha prevalso, volenti o nolenti. Nello stato delle cose presenti, con la crisi alla gola, difficile pensare che in caso di sconfitta alle primarie, si possa puntare sulla rovina del vincitore alle “secondarie”, cioè alle vere. Non c'è molta acqua per la politica, prosciugarla nei veleni lascerebbe solo un deserto, dove solo ben altre specie potrebbero sopravvivere. L'Emilia-Romagna, per tutto il centrosinistra, conta ancora più di qualcosa. Da qui si chieda, con fermezza, che si interrompano le campagne, il dileggio, contro i singoli dirigenti. Quella contro D'Alema è stata particolarmente insistita e sguaiata. Nello stesso tempo, non prima e non dopo, termini ogni delegittimazione degli sfidanti. Le nostre primarie non sono e non possono sembrare mai la ripetizione farsesca del “Riccardo III” di Shakespeare, tutto odio e disprezzo. Quel cattivissimo Re chiudeva implorando un “cavallo” in cambio del suo regno, una via d'uscita. Saremo noi, cittadini, militanti, elettori, a doverlo fornire, il cavallo, a chi vince, ed anche ad aiutare a rimontare in sella gli sconfitti, dopo questo primo voto. Lo faremo se motivati da una stima accresciuta, se no, no.

“Il contrario”
Rubrica di Davide Ferrari

L'Unità E-R, 20 Ottobre 2012

sabato 13 ottobre 2012

Haller, il nostro tedesco

Bologna è la città della Resistenza e del martirio. Marzabotto è sulle
sue montagne. Quando Helmut Haller vi giunse erano passati appena 17
.anni dalla Liberazione.
I bolognesi sapevano che la Germania non poteva ridursi  agli orrori
nazisti. Wagner da sempre è amato dal loggione del Comunale,  Goethe
passando a Loiano, si vide dedicare tutto, compresi zuccherotti e
torte montanare. Ma poteva essere un rischio impiantare, qui, un
calciatore tedesco.
Come avrebbe reagito  il “Senato” del Bar Otello, ma ancor più il
popolo largo, quello che ricordava le voci spietate, i
rastrellamenti, i corpi dei seviziati?
Haller poi era proprio tedesco, biondissimo, impossibile mimetizzarlo.
Il suo gioco, fantasia, luce,  realizzazione, sciolse ogni dubbio.
Un grandissimo. Qualcuno cominciò a chiamarlo "la perla bianca". Erano
gli anni di Pelè, la perla nera. “Helmut è di quella categoria”, si
diceva. Era vero, ma non riuscì a vincere ai Mondiale. Non fu colpa
sua. Dopo la vittoria rossoblu nel '64, suoi dovevano essere quelli
d'Inghilterra. Nel '66, a Wembley, lo fermò solo l'arbitraggio. Poi
andò alla Juve. anni vittoriosi. Ma Haller è sempre stato nostro, di
Bologna, non si discute.
Il suo carattere gioviale, curioso dei sapori della vita, dalla
gastronomia alla cultura, cambiò l'immagine stessa della Germania, in
città, forse in tutta Italia. Il nazismo ha portato  sterminio, ma i
tedeschi sono come tutti. Non sono  nemmeno come quelli che
perseguitano Fantozzi intimandogli silenzio e diete. Sono, anche, come
Helmut, con la sua pancetta simpatica che ogni anno cresceva e che
tutti perdonavano. A lui, il nostro tedesco. Una forza amica, che già
ci manca.

"Il contrario" rubrica di Davide Ferrari
l'Unità E-R 13 Ottobre 2012

sabato 6 ottobre 2012

Le spese in Regione e la necessità di volare.

L'intervento
di Davide Ferrari

Le spese in Regione e la necessità di volare.

Il Governo taglia i fondi ai “politici” delle Regioni. Fa bene.
Benissimo. Non è senza motivo, però, ricordare che molti contenuti del
nuovo provvedimento riprendono le regole che si è data
l’Emilia-Romagna. Evidentemente, se oggi tutti applaudono all’operato
del Governo, queste misure della nostra Regione erano giuste. Eppure
non le abbiamo viste sottolineate, negli infiniti commenti sulla
verifica degli scontrini. Non ci stupisce e non vogliamo abbaiare alla
Luna. Va così. Bisogna dimostrare, sul campo, credibilità e onore.
Nulla è scontato, nulla è garantito. Avevamo chiesto, sull’Unità,
misure drastiche, nazionali. Stanno arrivando. Ora si può andare
avanti. I demagoghi sono un pericolo, come gli scialacquatori.
Talvolta capita che coincidano, se le ultime cronache locali non sono
troppo ingenerose. Non è a loro che dobbiamo rendere conto, ma ai
cittadini. Ci vuole attacco e ci vuole difesa. Sì, difesa: delle cose
giuste, di ruoli che sono importanti per tutti. La diversità positiva
dell’Emilia-Romagna cesserebbe davvero nel momento in cui si
accettasse di ridurre al niente programmi e progetti. Se gli stolti
insistono a criticare la cosiddetta politica estera della Regione,
bisogna reagire. I fondi europei, e gli investimenti privati, non
arriveranno se si tagliano i ponti con Bruxelles, se non si mette più
il naso fuori di casa, per non addebitare i biglietti aerei. Volate in
Ryan Air, con le aviolinee di Filini e Fantozzi, ma volate, cari
governanti regionali. Guai se vi metteste a contare e ricontare le
notule con gli ex sodali di Favia. Allora sì che dovremmo chiedervi i
soldi indietro. Tutti. Perchè a nulla servireste.

L'Unità E-R, 6 10 2012

lunedì 1 ottobre 2012

Costi della politica. Una risposta definitiva.

Il contrario
Davide Ferrari



135.000 persone in Emilia-Romagna non hanno i soldi per comprare il cibo necessario, in un’Italia dove si ritiene trendy bandire un  concorso per l’unemployee of the year, il disoccupato dell’anno. Non c’è da stupire se i “costi della politica” suscitano sdegno e rivolta.
C’è chi ci marcia. Quest’ultima campagna, iniziata per la polvere alzata dalle tuniche svolazzanti negli immondi festini  del Lazio, non vorremmo finisca con ulteriori tagli alla sanità ed al sociale. In Emilia-Romagna si fa meglio e con meno. Si sono già aboliti i vitalizi, si riduce, si assicura una trasparenza prima, probabilmente, insufficiente. Non può passare l’idea che ogni cambiamento in meglio valga soltanto come ammissione di ritardi precedenti. L’Emilia-Romagna prosegua nel cambiamento.  Tuttavia l’impressione è di essere sotto un bombardamento. Le indagini in corso sono raggiunte da altre, dichiaratamente di “ricerca”. Come a dire:”cerchiamo e troveremo”. Serve, in tutta Italia, una drastica risoluzione del problema. Vogliamo essere chiari. Sarà anche giusto mettere in rete gli scontrini del bar, ma-ecco un'idea!- bisogna  decidere che gli stipendi politici, tutti, non superino una quota similare a quella di un normale salario medio dirigenziale, benefit compresi. Chi prende meno non cresca. Per gli altri : scendere. Neanche un Euro in più. Non è giusto che una elezione assicuri il benessere a vita. Ci vuole un patto con i cittadini, basato su una cifra credibile, fissata una volta per tutte, da far loro spendere in cambio di una politica dedita ed efficiente. I demagoghi non ci staranno mai, gli altri siamo sicuri direbbero di sì.
L'Unità E-R, 29 Settembre 2012

sabato 22 settembre 2012

Se manca il lavoro, la riforma fa male.


Ci vorrà tempo per capire gli effetti concreti di una riforma complessa, come quella “del lavoro”, di Monti e Fornero. Ci si attendeva un duro contraccolpo, in licenziamenti, dovuto alla parziale “sterilizzazione” dell'articolo 18. Forse è troppo presto per dirlo, ma le conseguenze più negative sembrano invece giungere dal versante “dell'entrata” nel lavoro stabilizzato. Diranno gli esperti. Salta agli occhi, tuttavia, un grave limite di tutta questa vicenda “riformatrice”. La crisi non dà tregua e le necessità di forza lavoro si riducono in ogni settore e, più o meno, ad ogni livello di qualifica. Questa legge è figlia invece di una lunga serie di teorizzazioni, tutte basate sull'idea che il mercato possedesse una naturale tendenza all'espansione, sempre troppo frenata dai famosi “lacciuoli” normativi. Teorie invecchiate inesorabilmente e oggi smentite dal baratro vertiginoso nel quale viviamo. Fornero le ha invece seguite, sospinta dalla necessità – dichiarata imperiosa – di dare segnali “ideologici” ai mercati. Compensare poi diritti persi in tema di licenziamento con rigidità, difficili nella crisi, nelle forme di assunzione è stato un po' come sommare i fischi coi fiaschi. L'economia reale, come sempre, si vendica, anche nel nostro territorio. Giungono notizie circa il rapido disfarsi, da parte di molte imprese, di propri dipendenti, prima di doverli assumere in via definitiva con le forme più rigide adesso previste. Che fare, allora? Bisogna creare lavoro. Senza questa priorità tutto il resto assomiglia all'agitarsi delle creature dell'apprendista stregone. Alchimie ed impiastri sul come si deve assumere e licenziare non possono sostituire la crescita. Se la politica vuole riconquistare credibilità, sarà bene se ne accorga. Alla svelta.

"Il contrario" rubrica di Davide Ferrari
L'Unità E-R
22 settembre 2012

venerdì 14 settembre 2012

Feste giovani, commenti ammuffiti.



Resistono. Attese da decenni a dar prova, con il loro collasso, dell'ineluttabile scomparsa del partito di massa, le Feste perdurano, mentre si consumano rapide le ere geologiche della politica. E' che, a frequentarle, male non si sta, ed a farle si fatica, ma ci si diverte. Tutto qui. I motivi? 1)Nelle Feste, pur commerciando e ristorando, non è il denaro l'unico padrone. I soldi, oggi lo sanno tutti, tranne Oscar Giannino, quando comandano, fanno la felicità solo di chi ne ha troppi. 2)Le Feste consentono l'espressione di capacità che la vita lavorativa nega o limita. Lì opprimono immeritevoli gerarchie . Qui si sentono meno. Chi si impegna conta, anche se non ha preso la laurea in Albania. Non foss'altro perchè è difficile sostituirlo.
 Nel partito che le promuove c'è chi si scandalizza se Matteo Orfini scrive che, in politica, bisogna essere anche “contro”, avere un nemico. Eppure chi si sente ostile al PD non manca. La serena accoglienza a Renzi è stata giudicata il segno di uno sfacelo, dello sfondamento dei media nello zoccolo duro. Era curiosità di chi, sempre, ha voluto vederne tante. Nessuno creda, tantomeno il Sindaco fiorentino, di avere l'anima di questo popolo in tasca. Taccuini al vento, si va in cerca di veterani turbati dall'intimo di sfratto dall'albero genealogico rivolto da qualcuno a Togliatti. Invece, del caso, nulla importa a nessuno. A Bologna M5 e NoTav sgangherano? Dopo qualche parola (“Non toccateci Bersani!”) si è ripreso a lavorare. E si è trovato il tempo  per entusiasmarsi con Bauman e Morin. Molti i giovani si potrebbe aggiungere, ma come sa di muffa questa frase, le Feste non la meritano.

"Il contrario"
Rubrica di Davide Ferrari
14 Settembre 2012




venerdì 7 settembre 2012

Dopo Favia.


Parlare ancora di Favia, E' giocoforza. La notizia ha le sue leggi. Al netto di una vertiginosa imperizia, il consigliere regionale di Grillo, ha detto, fuori onda, la verità. Il Movimento 5 Stelle non è un luogo collettivo, di partecipazione. E' una impresa mediatica governata da un guru, del quale tra l'altro, Favia, e sodali, probabilmente mitizzano eccessivamente le qualità, cattive e buone. Se è così, Grillo non è la risposta alla richiesta di cambiamento, è all'interno del problema che la origina. Freddo affaire di minuscoli  telefoni rossi e verbi all'imperativo, questo grillismo. E' una stazione della via crucis verso il fondo di una vita politica che, fra calo della partecipazione, gestione malversata, o comunque in mani ristrette, dei soldi pubblici, ascesa di improvvisati e controriforme elettorali, ha visto i poteri sempre più personalizzati, opachi, lontani e autoritari. Cosa si può fare allora? Per Casaleggio è facile. Gli basterà pubblicare nel blog del suo UFO-robot il filmato di Favia all'incontrario. Prima l'outing e poi le lisciate ai capi, l'onda seguirà il fuori onda e tutto tornerà a posto. La strada è più lunga per noi, per chi vorrebbe pulizia e democrazia, tutte e due. In questo “noi” comprendo anche molti passati dal 5Stelle, di buona fede e di troppe malriposte speranze. Noi dobbiamo fare la strada all'inverso . Dall'antipolitica con seggio assicurato alla buona politica, dall'alto al basso, dall'invettiva all'idea. Non illudiamoci, anche questi episodi, tristi come la lingua di Favia, indurranno scoramenti e abbandoni. Invece è urgente partire, senza aspettare che albeggi, subito, fin da questa notte delle coscienze. 


"Il contrario"
Rubrica di Davide Ferrari
L'Unità E-R
7 Settembre 2012



sabato 1 settembre 2012

Militonto. La parola ha una sua storia.


Magari l'utilissimo consigliere regionale Favia non la conosce. Nel brumoso '77, droga leggera ubiqua, qualcuno diceva: «Faccio il militante, di giorno. La sera, canne, e divento un militonto». Era la versione casareccia del motto di Bifo: «Duri. Con gioia». Gli anni passano. Il militonto sarebbe oggi l'uomo del Pd, promosso a somiglianze un po' improbabili con il vecchio ed efficace, durissimo quadro del Pci. Così, nelle bocche storte dal disprezzo dei manifestanti su commissione del capoGrillo, che giovedì hanno un poco disturbato, a Bologna, l'incontro con Bersani. Perchè tanta avversione? Per la propaganda grillina, uno del Pd, che ci crede e si impegna, è la smentita vivente dei facili teoremi sulla politica: «Tutti uguali» e «Tutti a mangiare». Ma queste fragili tesi sono servite a portare, in un paio d'ore, altezze come il Favia, prima in Comune poi addirittura in Regione. Difficile rinunciarvi. Qualcuno però deve cominciare. Non sono tutti uguali, in quel movimento. Lo sappiamo, lo speriamo. Magari usando il pressappoco più che la scienza, in tanti si avvicinarono al primo Grillo per l'ambiente, la difesa dell'acqua pubblica, una voglia di partecipare che meritava attenzione. 
Sono quelli incontrati nei banchetti, sempre con tanti foglietti in mano. A loro, oggi, la scelta. Considerato che non dai loro temi vengono i voti 5 Stelle, ma da quell'ammirazione per la bava alla bocca, che, come sempre, si diffonde nelle grandi crisi, escano allo scoperto. Separarsi dalla provocazione e dallo squallore, recuperare la dignità delle proprie iniziali ragioni: è scelta difficile. Doverosa.

"Il contrario"
rubrica di Davide Ferrari
L'Unità Emilia-Romagna 01/09/2012

sabato 11 agosto 2012

Comitati e referendum. Non dimentichiamoci i bambini



Tomassini e Palmizio. Berlusconiani. Velocissimi, hanno promosso, nel retrobottega, un  “Comitato per il No” nel referendum sui fondi alle scuole dell’infanzia convenzionate con il Comune.  Era facile prevederlo. L’iniziativa referendaria ha ridestato immediatamente climi da aut-aut. C’è il rischio di una rissa tutta ideologica e astratta. Le scuole bolognesi sono più avanti, nella storia e nel presente. Il lavoro concreto di tante insegnanti, il pensiero pedagogico, la “Città”, hanno costruito un sistema educativo valido che va difeso, più che si può. Oggi sono la scarsità, i tagli,  i principali nemici. Serve l’impegno di tutti. Troppi ignorano il vero convitato di pietra: lo Stato, la Repubblica. A Bologna fa troppo poco. E’ stato sbagliato, quindi,  promuovere, un referendum che guarda a un passato che a Bologna non abbiamo vissuto. Mai. Le scuole convenzionate svolgono un lavoro utile, che sarebbe incomprensibile non riconoscere. Le scuole comunali sono la colonna fondamentale di un sistema plurale che funziona. C’è una gran voglia di cogliere l’attimo, di “fare politica” senza “andare per il sottile”. Ma una scuola è un organismo delicato, non una tribuna per comizi. Non dimentichiamoci dei bambini e delle famiglie. Hanno il diritto di avere buone scuole, tutte, con ogni gestione. Comitati? Vorremmo partissero da qui, raccogliendo le esperienze, le associazioni,  in campo, il bisogno di qualità. Con questo spirito ci confronteremo nella scadenza referendaria. Seguiamo il filo del pensiero di un bimbo e arriviamo a una verità sulla scuola. Se invece tiriamo troppo la corda, il canapo si spezza, si casca per terra.

 “Il contrario”
Rubrica di Davide Ferrari
L'Unità E-R, 11 Agosto 2012

domenica 5 agosto 2012

Verità delle Feste. Da Emiliani ai giovanissimi.



Cosa unisce grandi intellettuali come Andrea Emiliani, che quest'anno sarà premiato da Casadeipensieri, all'operaio a giornata, oggi si “lavora” così, che nonostante tutto fa volontariato? Le Feste dell'Unità, o come le si vuol chiamare. La qualità assoluta e il pressappoco della buona volontà, ogni attività delle Feste, dalla ristorazione alla cultura, tiene dentro tutto. Ci sarà un perché, un quid che le mantiene in vita? E' la possibilità di lavorare senza la cavezza di gerarchie assurde e di proprietà non meritate. Ecco il nocciolo. Facendo i volontari si esprime la propria idea e la propria professionalità, originaria o anche solo dopolavoristica, estiva. Quante caricature: il sandalo con il calzino bianco, la canottiera ingiallita che lascia affumicare la pelle sgombra, le icone della mitologia festivaliera. Le Feste sono anche altro, luoghi dove si inventano strategie comunicative e tecnologie commerciali, nell'organizzazione del lavoro dei ristoranti, nelle librerie, nella programmazione degli spettacoli. Qualche volta senza saperlo, sempre senza vedersi riconosciuti. Si dice che a far da collante fossero, un tempo, l'ingenuità e l'ideologia. Pianeti oggi perduti. Ma, fin dall'inizio, deve esserci stata l'intima soddisfazione di poter dimostrare quello che si vale. Per questo le generazioni si avvicendano. I ragazzi, i tanti con la “vocazione”, capiscono in fretta quello che conta, qui. Non è il pulviscolo delle microcarriere, il glamour, quanto sbiadito, dei codazzi che si formano dietro ai “numeri uno”, ma ciò che, concretamente, si può fare. E che ti resta dentro, leggero come una tela, tenace come la memoria.

Il contrario”
rubrica
di Davide Ferrari
L'Unità E-R, 5-8-2012

mercoledì 1 agosto 2012

“Fra le culture diffuse”.


Appunti sulla vicenda e i caratteri del PCI in Emilia-Romagna. 



I. Nascita e affermazione di una eclettica totalità

L' Emilia-Romagna
che esce dalla guerra è una terra poverissima.
Il peculiare interscambio fra città e campagna ha evitato, anche durante il
conflitto e il lungo e drammatico passaggio del fronte, il
diffondersi di una carestia, di estesi fenomeni di vera e propria
fame, almeno nei territori centrali (da Imola a Parma).
Nondimeno la scarsità, nella vita quotidiana, è la protagonista assoluta.
A Bologna la grande parte delle famiglie fa un pasto solo al giorno dove la carne è
presente solo molto saltuariamente. 

I consumi voluttuari sono pressoché inesistenti. Il cinema del doppio
programma è, in locali luridi, l'unico divertimento cui si riesce
con fatica a non rinunciare. In larghe zone delle campagne è
assicurato da operatori viaggianti. La pratica sportiva è quasi
azzerata.
Queste condizioni
rimarranno invariate, nella sostanza, fino alla prima metà degli
anni cinquanta. 

Il PCI, già
vittorioso in larga parte della regione, ma non in tutta, deve
occuparsi, in primo luogo di condurre grandi lotte per minimi
miglioramenti nelle condizioni di vita urbane, e, sostenendo duri
scontri, nei patti agrari, ma è già così forte da iniziare 
ad affrontare il tema del tempo libero, e realizzare prime occasioni
di ricreazione e svago. Dapprima saranno momenti estemporanei, poi
con enormi sforzi, insieme ad una rete sorprendente di associazioni,
a finalità ideali e o
professionali, e di gruppi per le donne e la famiglia, si formerà la
rete delle Case del popolo e si diffonderà la straordinaria
esperienza delle Feste dell'Unità. 

Le iniziative di
diretta promozione sociale, come-per altri versi- la responsabilità
di numerosi Enti Locali, compresi i più importanti fra i Comuni-
diventeranno non soltanto un canale di collegamento con tutti gli
strati della società, di primaria importanza, ma via via la fucina
per la nascita e la crescita di gruppi dirigenti diffusi, di un
amplissimo volontariato, che apprenderà a misurarsi con leggi e
regolamenti, con infrastrutture ed artisti, con imprese e mestieri,
vedendo le proprie professionalità, da quelle operaie a quelle
muliebri, valorizzate in un ambiente che le rispetta e da loro
valore.

Sono oggi, finalmente, più compresi i caratteri e le motivazioni del
volontariato comunista, in Emilia così radicato da interessare, in
qualche misura, con almeno un componente, la grande maggioranza delle
famiglie. Oggi è maggiormente compreso come il volontariato abbia
prodotto una valorizzazione del lavoro e della professionalità di
decine di migliaia di persone, uomini e donne. Un lavoro, altrove
sottoposto a sfruttamento o quantomeno limitato da catene di comando
avulse dal merito, e invece fornito per libera scelta e senza la
gerarchia imposta dalla proprietà, nella realizzazione,
dall'edificazione alla gestione, delle sedi ed occasioni culturali
popolari. 
Il quadro concettuale che si è andato formando nel PCI di Togliatti, non senza
lotte interne e drammatiche crisi, soprattutto dopo la rovinosa
sconfitta del Fronte Popolare, nel 1948, che sembra smentire per
sempre la validità della scelta delle larghe alleanze dei partiti
democratici, in Emilia-Romagna trova campo per una sua validazione
concreta e di massa.
“Aderire a tutte
le pieghe della società”, qui dove non si è marginali, si fa. 

Qui non resta un
dovere politico ma si traduce in realtà: “Unire alla classe i ceti
medi”, cosiddetti produttivi, in particolare artigianali, spesso
derivati dalla fuoriuscita dai poli industriali di numerosi operai,
fra i migliori e più intraprendenti, per licenziamenti politici, ed
anche l'associare il piccolo commercio e l'ambulantato. 

“Lottare per la
pace”, prima contro gli USA dell'atomica di Hiroshima, poi per la
coesistenza, diventa qui un tratto di enorme forza.
Nell'ispirazione ed
il richiamo insistente al primato della pace si coagula, confusamente
ma efficacemente, l'identità internazionalista e “antimperialista”
che vede l'URSS come indiscutibile punto di riferimento e metro di
verità, l'apertura alle masse cattoliche, la sacralizzazione, nel
ripudio della guerra, di tutto ciò che è pace e convivenza: il
lavoro, certamente, ma anche la famiglia, i rapporti umani, persino
il loisir e l'amore.

Linea politica e
morale, rinuncia alla rivoluzione e fedeltà ai suoi ideali,
concretismo e abnegazione in vista di un mondo “altro” da
affermare e conquistare, sono le robuste basi sulle quali si fonda
l'attivismo ordinato e libero, per più decenni, di vertici e base,
di amministratori e cittadini, di creativi e di organizzatori. Tutto
ciò che anche qui possiamo riassumere nel termine, ormai noto, di
“febbre del fare”, come ripreso dal film di Mellara e Rossi.
Senza questi
fondamenti non si sarebbe affermato un modello che, soprattutto nei
suoi rapporti con la cultura, dall'alta ricerca alle diffuse opinioni
appare orientato contemporaneamente, con efficace contraddizione, ad
un eclettismo, così insistito da ammorbidire l'ideologia, senza
negarne i valori, e a una tensione alla “totalità”, alla
comprensione nella sfera della politica di ogni espressione umana.
L'impasto fra idealità assolute e concreto servizio non ha solo
affascinato e convinto tanti alla militanza ma ha costituito anche
la legittimazione, non annullata da nessuna critica o contraddizione,
neanche le più serie, raggiunta dal PCI emiliano anche in settori
politico-culturali o sociali lontani o a lui opposti.

Il rispetto e la considerazione del PCI come qualcosa come di altro
rispetto ai mali insuperati del carattere e della storia italiana (
di cui mirabilmente scrisse Pasolini nei suoi ultimi interventi),
riposarono non solo sulla patente storica di partito erede, in
Italia, di una aspirazione alla costruzione rivoluzionaria di una
società diversa, ma, e in Emilia forse più ancora, sul modello
comportamentale fornito dai suoi quadri e soprattutto dalla sua
attiva e generosa base.

Al di là di rappresentazioni edulcorate della storia, talvolta
felicemente strumentali, adottate dal PCI medesimo per dare alimento
alle proprie aperture verso il mondo cattolico, per lunghi decenni la
Chiesa, anche in Emilia-Romagna, non cessò mai di sostenere
l'opposizione al potere del partito, e alle sue realizzazioni
amministrative e sociali. Don Camillo e Peppone di Guareschi,
simpaticamente nemici ma in realtà “fatti della stessa pasta”
bonaria, hanno vinto la battaglia dell'immaginario ma reggono solo in
parte alla prova della verifica degli accadimenti storici.

Dopo le tragedie delle varie fasi del dopoguerra, con gli episodi di
terrorismo ai danni di sacerdoti e dirigenti cattolici, da un lato,
e la durissima repressione del Governo a guida democristiana,
dall'altro, si è andato configurando un universo relazionale fra PCI
e mondo cattolico del tutto differente, ma pur sempre di
contrapposizione. L'episodio della candidatura a Sindaco di Bologna
di Giuseppe Dossetti, nel 1956, ne è esempio. Una sorta di sfida sul
terreno dell'innovazione istituzionale, e della partecipazione
sociale si mantenne tuttavia sempre all'ombra di un insuperabile
confine costituito dalla convinzione della non democraticità
sostanziale dei comunisti e della necessità storica di superarne
radicamento ed egemonia.

Il PCI, consapevole della centralità ineludibile della presenza
cattolica in Italia, fin dalla votazione sul Concordato all'Assemblea
costituente, adottò progressivamente, superando le venature
anticlericali degli anni frontisti, una tattica di dialogo e
coinvolgimento cosi vasta da trasformarsi in un carattere identitario
del partito.

La concorrenza delle forme di promozione culturale popolari si fermò
sempre al confine delle isole di maggior dimensione della presenza
cattolica. Gli asili infantili mai vennero combattuti, ed invece si
operò per integrarli nel sistema pubblico, in varia misura, così i
centri formativi per operai ed artigiani. La rete parrocchiale rimase
sempre, in Emilia, la più vasta nel mondo giovanile anche per
l'attenzione al suo operato da parte degli Enti locali guidati dai
comunisti.

Persino nelle manifestazioni popolari il confine dell'attività
ecclesiale non venne mai superato, come si può evincere
considerando, a puro titolo di esempio, il “Carnevale dei bambini”
di Bologna, voluto da Lercaro, sempre rimasto fino all'oggi, solo
nel suo genere, mai sfidato da manifestazioni simili di soggetti
opposti.

Se meno convinti furono in Emilia i contenuti moraleggianti del
tentativo comunista di avvicinare le masse cattoliche,
dall'esaltazione di Maria Goretti al familismo sessuofobico,
contrario al genius emiliano, più convincente fu la forza
dell'attivismo comunista nel proporre momenti di partecipazione
comune, dalla pace alla solidarietà verso il mondo del lavoro, nelle
sedi ed occasioni di cultura “di massa” promosse dal PCI.

Le Case del popolo ereditarono una tradizione già molto presente nel
socialismo riformista e popolare e la medesima abitudine a poter
disporre di istituzioni ricreative, consolidatasi nel ventennio
fascista. Fenomeno non solo emiliano, trovarono qui una dimensione ed un
radicamento popolare altrove non raggiunto.

E' noto l'episodio della visita di
Togliatti ad una Casa del popolo di Bologna, del suo chiedere
conto, bonariamente, di quello che gli pare frutto di una
mobilitazione d'occasione, il numero di uomini, donne e ragazzi al
lavoro nelle diverse attività associative, e del suo stupore nel
vedersi rispondere che una tale frequenza è normale e quotidiana.

Si comprende la funzione e l' importanza delle Case del popolo, se se
ne considera il carattere di luoghi della gioventù che per alcuni
decenni seppero mantenere.

Da tempo l'immagine del volontariato di sinistra è legata al mondo
degli anziani ma negli anni '50 , '60 e oltre, è soprattutto la
gioventù delle classi lavoratrici a trovare lì espressione e
protagonismo. Dopo una rilevantissima affluenza successiva al termine
della guerra, gli anni che seguirno la sconfitta frontista videro,
anche in Emilia, un drastico ridursi della leva delle adesioni,
proseguito fino alla svolta del'68. Nondimeno la FGCI si mantenne
organizzazione di massa e, nelle Case del popolo si realizzarono
esperienze comuni di giovani intellettuali e studenti con ragazzi e
ragazze impegnati nel lavoro fin dall'adolescenza. 


La repressione degli anni di Scelba , nei quali si giunse a imputare
per accattonaggio i raccoglitori di
fondi per stampa, sedi ed iniziative, attraversò anche le Case del
popolo.

Si può ricordare la vicenda
dell'espropriazione della Casa del Popolo del Quartiere Mazzini a
Bologna, divenuta caserma dei Carabinieri, nonostante una
vera e propria battaglia dei giovani per mantenerne l'uso popolare.

Il carattere stabile, di laboratorio, delle “Case” le renderà
permeabili a fenomeni opposti. Da una parte l'urto del primo consumo
culturale di massa, della televisione e della concorrenza con il
divertimento commerciale, reso possibile dal maggiore livello di
occupazione raggiunto al termine degli anni '50 e poi dal boom
economico. Dall'altra parte con le ripetute ondate di
ripoliticizzazione e il confronto, sempre difficile, all'ombra di una
medesima bandiera, fra impulsi di rivoluzione, il richiamo
dell'ideologia e il riformismo di fatto prevalente nella quotidianità
delle attività.

Ad esempio si può citare la vicenda del teatro di Dario Fo e Franca
Rame, adottato, con la fatica di una difficile confronto, dalla rete
dell'ARCI, dopo la repressione del Governo e l'espulsione dalla TV di
Stato. 

Una dialettica simile ha attraversato anche le Feste dell'Unità
dove, tuttavia, il carattere di apertura “indistinta” a ogni tipo
di fruizione e consumo culturale, leciti, è sempre risultato più
evidente.

La dialettica fra chi intendeva accentuare il messaggio politico e
chi affermava la natura di libera frequentazione, rivolta a tutti,
serena e piacevole, si è protratto per tutta l'esistenza del PCI.

Le Feste hanno visto, negli anni '50, il “Teatro di massa”, meno
celebrativo e più folklorico di quello presentato negli stadi di
Mosca o Pechino, ma in qualche modo riferibile ad una “cultura
totale”, accompagnarsi ai concorsi di bellezza, i massimi filosofi
e poeti “engagees” insieme alle prove di resistenza subacquea.
Una dialettica conciliativa, fra distinti e non opposti, che è
giunta fino al fronteggiarsi, esemplare, nella grande “città delle
feste” di Bologna, della Casadeipensieri, animata da scrittori di
ogni parte del mondo, con le kermesses di nuovi artisti proposti da
Andrea Mingardi, dagli ultimi anni del PCI, fino alle edizioni
odierne.

La mutazione del partito si è tuttavia riflessa anche nella
continuità delle Feste. I cartelli del Teatro di massa sono stati
riassorbiti nelle grandi sfilate politiche, poi via via ridotte, fino
a scomparire in programmi basati sul dibattito e sul confronto con le
altre forze politiche. Le insegne con le lunghe parole d'ordine sono
andate via via sparendo, sostituite da titolazioni uniche dell'intero
calendario, brevi e mutuate dal linguaggio pubblicitario
professionale.

Resta da ricordare che la stabilizzazione e la crescita di “Case”
e “Feste” si accompagnerà ad una progressiva chiusura o
riduzione di altre istanze in qualche modo rese meno urgenti dallo
sviluppo del welfare pubblico, in particolare quelle rivolte alle
donne ed ai ragazzi, dagli spacci alternativi ai concitti-scuola, ai
“pionieri”, non senza un relativo impoverimento della rete
associativa.


II. Il passaggio del '68

Lo sviluppo dell'economia italiana, l'esplosione dei mezzi di
comunicazione ed acculturazione di massa, la nascita della giovinezza
come categoria sociale, il differenziarsi del tempo, fra lavoro e
non, con la crescita del consumo, sono state, come da tempo ha
chiarito l'indagine della ricerca storica, elementi ineludibili anche
per il PCI, soprattutto in Emilia, dove la vastità dell'adesione e
della responsabilità di governo, favorivano il superamento delle
tentazioni di arroccamento e di rifiuto delle mutazioni.

Ne nacquero dibattiti memorabili, assorbimenti e crisi. Di volta in
volta il differenziarsi della società, la questione giovanile in
particolare, hanno sfidato il Partito, le sue concezioni più
radicate, lo svolgersi delle proprie attività sociali.

Se il contrasto fra il rock e soprattutto il beat, da un lato, e la
musica tradizionale, il ballo “liscio” intergenerazionale,
dall'altro, è stato risolto nella giustapposizione e
nell'affiancamento, assai più problematico è risultato affrontare
il gigantesco ritorno della politica come ansia di partecipazione, di
rivolgimento totale, portato dal finire degli anni '60.

Vi partecipavano, cercando referenza nel partito o in critica, anche
dirompente, a lui rivolta, culture e pezzi di società estranei al
“blocco sociale” emiliano fino allora realizzato. Cattolici,
figli della borghesia e del ceto medio, in numero tale da sconvolgere
la tavola fissa delle appartenenze, lasciavano in quegli anni i
riferimenti ereditati dalle proprie famiglie, e fino ad allora
iscritti nei propri destini. Gli studenti e poi i giovani laureati,
cresciuti numericamente in modo costante fin dal dopoguerra, con
l'espansione economica, diventano un nuovo grande soggetto culturale
e politico, in larghissima misura orientato a Sinistra, una Sinistra
cui non appartengono ed alla quale si presentano con codici e
linguaggi del tutto propri.

Se poteva supporsi che il PCI emiliano, più moderato nei
comportamenti, più inserito, con mille legami, nella medesima
società che è sottoposta alla contestazione studentesca, dovesse
diventare la controparte dell'ondata del '68-'69, così non fu.

Il concreto operare per l'inclusione, il diffuso protagonismo sociale
sempre promosso a fianco ed a sostegno della propria azione di
governo locale, la dialettica fra ideale di rivoluzione e pratica di
riforma, consentirono un nuovo “miracolo” del PCI emiliano.

Già affermatosi grazie alla rappresentanza ed alla partecipazione di
ceti del tutto altri rispetto all'operaio della grande industria, i
braccianti, il piccolo commercio, i lavoratori pubblici dei servizi e
dell'istruzione, il Pci regge l'urto della politicizzazione
studentesca e dei baby-boomers.

Proprio in Emilia-Romagna si danno esperienze di incontro e
mediazione fra i “nuovi rivoluzionari” ed il maggiore partito
della sinistra tradizionale.

Così a Bologna, con l'iniziativa, controversa ma lungimirante e
coraggiosa di una Sezione universitaria che legge Luxemburg, segue
Ingrao, viene più volte attaccata dalla direzione del partito, ma
riesce a costruire un dialogo, anzi è “dentro” il movimento,
contribuisce a modellarne culture e scelte.

Ancora più considerevole è l'innovazione amministrativa che in
quegli anni, tenta di abbandonare la quantità per scegliere la
qualità. In particolare con una politica urbanistica di salvaguardia
del bene naturale ed architettonico, divenuta modello ed
interlocutore per la cultura più avanzata, nel campo, di tutto il
mondo. Un altro settore attraversato dal '68 è la scuola, dove i
Comuni accelerano la costruzione di una rete di interventi perchè
sia garantita una “eguale partenza” ai bambini di tutte le classi
sociali e venga favorita la libertà delle donne nella famiglia. I
nidi, le scuole dell'Infanzia, il tempo pieno in tutta la scuola
dell'obbligo si uniscono ad una tradizionale valorizzazione della
cultura del lavoro portata avanti da scuole tecniche di buon
prestigio, gestite in più città dagli enti locali.

Convivono parole d'ordine sulla “irriformabilità della scuola e
dell'Università” che i più giovani dirigenti portano nei
dibattiti dei comitati federali del partito, appena addolcendo le
teorizzazioni originarie, da Althusser a Rudi Dutschke, e una
pratica avanzata di riforme, che si nutre di una partecipazione
battagliera, dal basso, di interi settori sociali e di più
generazioni, e, a sua volta è capace di indirizzarla di farla
crescere.

Nel passaggio fra anni '60 e '70 si crea anche un nuovo immaginario
ed un nuovo linguaggio comune proprio in quei giovani che per decenni
erano sembrati sfuggire alla Sinistra. Vi entrano prepotentemente le
idee del pacifismo contro la guerra del Vietnam, vero e proprio mito
di passaggio dalle proprie idee “antiche” ad un viversi nella
speranza di un domani totalmente differente. Esse permeano i testi
non solo dei cantautori impegnati, numerosi e di primo piano in
Emilia-Romagna, ma anche di alcune canzoni più note dei cantanti
“televisivi”. Così accanto a Guccini ed ai Nomadi, a Lucio Dalla
si trova Gianni Morandi, con “C'era un ragazzo...” , un inno
contro la guerra che proponeva intelligentemente l'identificazione
con i giovani d'oltreoceano costretti ad una una guerra non voluta e
non condivisa. Il Pci è sorpassato più volte ma rimane l'unico
interlocutore, la casa di quasi tutti gli artisti più celebri di
questa stagione.

Un riferimento morale, politico ed anche organizzativo, con le reti
dei circoli Arci e delle Feste dell'Unità, che diventano sempre più
curate e frequentate.

Nel partito si esprime anche un percorso di ricerca più
approfondito, di rivisitazione politica della tradizione popolare,
così', ad esempio con il “Canzoniere delle Lame” e mille altri
gruppi di diversa storia e dimensione.

Se l'Emilia non riesce a diventare un polo produttivo autonomo
rapportabile a Roma e a Milano sono molto numerosi, qui, gli artisti
di cinema e di teatro, e di elevatissima rilevanza. Anche nel cinema,
la “commedia all'italiana” diffonde, a livello della generale
opinione pubblica, letture garbatamente ma decisamente critiche 
della storia e del presente, mentre il cinema di ricerca, 
ripercorre la strada
delle culture alternative e dell'espressione profonda di
trasformazione.

Anche nel mondo cattolico sono anni di intensa mutazione degli
orientamenti culturali. Opera in Emilia, prepotentemente, il seme del
Concilio. A Bologna il vescovo Lercaro è protagonista di una svolta
clamorosa che, da protagonista della contrapposizione al PCI, lo
porta ad assumere le posizioni più coraggiose del dibattito
conciliare. Chiusa, non senza intervento censorio vaticano, la sua
esperienza, passano alle liste del PCI figure di rilievo come La
Valle e Codrignani. La contestazione più radicale, a sua volta,
opera nel profondo. Dalle “comunità di base”, ispirate da 
figure “contro”, il cui esempio non si riesce a marginalizzare,
come Don Milani, fino alla scelta per il socialismo delle ACLI, passa
a Sinistra una parte rilevante dei quadri culturali migliori, di
formazione cattolica, dal giornalismo, all'università, alla scuola,
nelle fabbriche e nell'associazionismo.

Sono passaggi che il PCI favorisce, senza mai voler chiudere le porte
al dialogo con l'istituzione ecclesiale .

Sono percorsi che spesso lo sopravanzeranno, chiedendogli coerenze e
radicalità non attese ma che contribuiscono potentemente a fare del
PCI, collettore all'opposizione alla DC, un protagonista con il quale
deve “fare i conti” l'intero sistema politico e di governo. 
Viene sconfitto il tentativo di risolvere una volta per tutte il
problema delle basi sociali della Repubblica con il centrosinistra,
escludendo la forza comunista. 

In sostanza il Pci, attraversato dalla rivoluzione culturale degli
anni '60 e '70, pur non avendovi un ruolo di avanguardia e di
apripista, la accoglie, è pervaso e pervade il nuovo, e nel
passaggio di quegli anni accresce sostanzialmente la propria forza.


III. “Alta si levò la sconfitta”. E il mutamento.


Ma sotto la spiaggia dorata dei successi e delle realizzazioni lavora
una storia difficile che sta superando gli assetti del dopoguerra. 
Se il PCI emiliano-romagnolo è ancora una volta il più capace di
raccogliere anche elettoralmente i frutti caduti dall'albero scosso
dalla contestazione, per tutta la prima metà degli anni '70, irrompe
alla fine di questo decennio una contraddizione non sanabile fra
governo e rivolta, quale mai il PCI aveva affrontato.

Le radici sono vastissime, figlie dell'epoca. Ad Est dopo le grandi
vittorie dell'estremo oriente il movimento comunista si rivela
incapace di trovare una via diversa dallo sviluppo quantitativo e
dall'irrigidimento militare.

La reazione americana è determinata e incalzante. Si scatena in
Italia una stagione terrorista tesa, nella sostanza, ad impedire
l'allargamento delle responsabilità di Governo a tutte le forze di
sinistra e che colpirà con la massima violenza Bologna e
l'Emilia-Romagna. Il PCI diventa nuovamente un punto di
contraddizione, subisce un attacco ed un conflitto che aveva, forse
solo con Berlinguer, in qualche modo immaginato e a cui tenta di
rispondere con il “compromesso storico”.

Una gestione tutta improntata alla “responsabilità nazionale”
non fa cogliere il rischio di spaccature deflagranti fra le diverse
anime della Sinistra.

Il '77 vede Bologna terreno di scontro, protagonista di una
“rivoluzione” rabbiosa ed isolata dalla politica, ma largamente
egemone nella realtà giovanile che la esprime.

Anche la centralità del lavoro, più icona politica che reale
assetto sociale, soprattutto qui, sembra scomparire sotto la messa in
luce di più e diversi lavori, i cosiddetti “non garantiti”
sembrano richiedere una radicalità che il partito non riconosce,
soprattutto mentre è impegnato a sostenere un Governo di intesa
nazionale.

E' perduta la “centralità operaia”, è smarrita la riconosciuta
superiorità morale del riferimento alla continuità storica del
partito.

I fatti del Marzo, vicenda in sé limitata sia pur gravissima,
segneranno una frattura mai ricomposta. Il PCI non potrà più
riconquistare una capacità egemonica dai tratti universali, quale
era riuscito ad assicurarsi in Emilia.

Si dividono le sorti,
definitivamente. Da una parte i soggetti politici e sociali
disponibili ad una decisa integrazione nel quadro esistente dei
poteri, che vogliono entrarvi per dare futuro alla democrazia,
accettano, anche nelle proprie modalità comunicative, la rinuncia 
ad un orizzonte di generale trasformazione. Dall'altra parte separa
il proprio percorso una vasta componente di chi era andato maturando
l'attesa di una palingenesi, promessa fin dagli anni '60, nei
rapporti sociali come in quelli fra i generi, nella politica come
nell'orizzonte personale.

Dopo la fiamma delle barricate anche “contro” il PCI, sarà il
riflusso.

Bologna diviene, per anni, simbolo di una giovinezza creativa ma
decaduta nell'assenza di speranza, che si avvia gradatamente ad
abbandonare, prima la militanza poi l'interesse per la politica. I
romanzi di Tondelli, le tavole di Pazienza, la descriveranno meglio
di ogni ricerca, attirando emulazioni, divenendo “mito”.

Il PCI , dopo la barra perduta nei tragici giorni del Marzo, sarà
capace di affrontare meglio la rivolta, garantendo spazi ed ascolto.
Sarà “La società”, il giornale della Federazione del PCI di
Bologna, a stampare gli atti, quasi le memorie, culturali della
stagione settantasettina.

Con innovative politiche di welfare, viene riassorbito molto del 
protagonismo sociale e vengono inseriti nel quadro delle professioni
pubbliche numerosi fra i quadri politici del '77.

Ma il momento dell'espansione lenta e progrediente è passato per
sempre.
Non sono più sufficienti il carattere eclettico del PCI emiliano, le
giustapposizioni di culture, l'allargarsi della nomenclatura delle
contraddizioni assunte nella propria estesa capacità di
rappresentanza.

Per la prima volta il PCI, pur passando dalla condanna al dialogo,
non è in grado di elaborare una propria strategia egemonica. Non
“comunica”, come tante volte si dirà.. La cultura giovanile
prima si radicalizza poi rifluisce, sempre lontanissima.

Il tentativo dell'ultimo Berlinguer di pensare la crisi e di opporsi
alla caduta, con le aperture ai movimenti ed al femminismo, alla
difesa operaia dalla ristrutturazione, al pacifismo, viene seguito
dal partito emiliano.

Ma sembra più forte la tentazione di una scorciatoia esplicitamente
riformista. Pare più capace di fare i conti fino in fondo con quanto
sta accadendo. Il riformismo trova le parole per dire il suo nome ma
rinchiuso in un'ottica di riduzione dell'orizzonte del cambiamento,
non più ispirato ad una pratica di progresso -per tappe, certamente-
ma aperto e curioso di ogni trasformazione.

Il PSI di Bettino Craxi sembra la risposta adatta a seguire la grande
chiusura in corso nella società italiana ed insieme a garantire a
nuovi ceti e generazioni il canale di accesso al potere. Nasce il
”migliorismo” e da battaglia, qui più che altrove, alla terza
via, forse tardiva, di Berlinguer.

Si apre una lunga stagione di cambiamenti prima impensati. Comincia
ad intravedersi che non può essere un partito “comunista”,
comunque ridefinito dalla sua storia e dalla sua intelligenza, ad
essere il soggetto motore della conquista del governo del paese,
mentre tutta un'epoca si consuma, .

Si richiude l'orizzonte politico di tutto il PCI ed anche di quello
locale. Non saranno i miglioristi emiliani i protagonisti dell'ultima
decisiva metamorfosi, troppo limitati da una analisi tutta politica
del presente.

E le varie anime più a sinistra, pur godendo ancora di quadri
dirigenti di valore e di vastissimo radicamento, non riusciranno a
proporre una alternativa capace di rappresentare il concretismo
dell'amministrazione e le urgenze di un presente difficile.

Proprio a Bologna, dopo la caduta del muro di Berlino, soltanto 12
anni dopo il '77, e ad appena 5 dalla scomparsa di Berlinguer, 
Achille Occhetto annuncia la fine del PCI. 

Il termine di una storia non può non essere una sconfitta, che “alta
si levò” come afferma  un celebre verso, pure non può negarsi
che, in questo caso caso, si sia voluto consapevolmente seguire il
mutamento, senza perdere il filo della politica.

E' storia di oggi. Una storia dove l'eredità del PCI dell'Emilia
Romagna ha comunque agito, è risultata elettoralmente decisiva,
strategica, in tentativi significativi e vincenti, in più fasi, come
l'Ulivo di Romano Prodi, ma dove non pare avere partecipato più,
sia per insuperabili limiti sia, all'opposto, per colpevoli
rimozioni, a produrre nuove visioni e indirizzi peculiari
sufficientemente delineati per imporsi come modello all'intera
Italia. 

Davide Ferrari

Scritto pubblicato nel volume:
"Emilia rossa. Immagini, voci, memorie dalla storia del PCI in Emilia-Romagna 1945-1991" 
a cura di Lorenzo Capitani, Vittoria Maselli ed.