domenica 31 gennaio 2010

NOVITA', NOVITA' !

Il sito www.davideferrari.org è in ricostruzione.
Vi chiediamo ancora un poco di pazienza.
Per il momento, grazie di essere arrivati qui, su questo blog.
Continuate a scrivere a davideferrari@yahoo.com

Buona navigazione.

sabato 30 gennaio 2010

Dopo Delbono.

Le dimissioni di Flavio Delbono ci devono costringere a ragionare. Fatto inedito, vengono però dopo un decennio che, in modi diversi e di differente drammaticità, disegna tuttavia un quadro, che va visto sino in fondo, di progressiva difficoltà del Centrosinistra di rappresentare, esso solo, la parte maggiore della città.
Nell'ultimo decennio abbiamo avuto: un Sindaco che non si è ricandidato,poi una sconfitta elettorale, poi l'affermazione di Cofferati, seguita però da una gestione complessa e conflittuale, il suo abbandonare Bologna, poi la vittoria, al secondo turno, di Delbono e ora le sue dimissioni.
Un incalzare di avvenimenti, un tempo senza tregue nel quale, anche a Sinistra, solo a momenti alterni, si è potuto dare spazio a progettualità e qualità.
Anche il giudizio su chi ha retto il partito in questi anni deve partire dai dati obiettivi di questa difficilissima realtà. Altrimenti la critica sarà puro posizionamento di potere.
Ora, dopo Delbono, anche se il tempo è poco, non si può pensare di andare al voto senza una riflessione sui limiti della nostra stessa rappresentatività.
Ho letto le dichiarazioni di Giorgio Guazzaloca. Chiede una fase nuova, una vasta unità di intenti. Si rende, mi pare, lui stesso conto che non è riproponibile la sua esperienza, storicamente -e con irreparabile errore- collocata in alleanze a destra. Ma il punto che mi interessa porre è questo: non si può fare una fotografia della società, simile a quella che hanno fatto in questi anni le liste civiche, dalle sue fino a Grillo, dove baldanzose e forti energie erano dipinte all'attacco di una classe politica asfittica.
Anche la società ha vissuto difficoltà crescenti e non appare in grado di produrre -da sola- autonome vie per fare ripartire Bologna. La risposta ai bisogni della città non si potrà avere giocando la partita politici contro civili.
Ci vuole piuttosto un’alleanza. Alcuni piccoli passi, da fare subito, darebbero il segnale che si è capito qualcosa, che si vuole andare nella direzione giusta.

1)Sentire la voce della città, a cominciare dalle categorie economiche e sociali, dal mondo dello studio, dall'associazionismo. Farsi sentire, in questi momenti, coinvolgere, sarà la miglior prova di quel senso di responsabilità che, abbiamo detto tutti deve essere il carattere più forte del PD. Il PD confermerà il suo grande ruolo se non penserà di essere "tutto", di bastare a se stesso.

2) Rivolgere la nostra iniziativa a tutte le forze democratiche. Se anche non fosse possibile creare, in questa fase politica, una coalizione più larga, per tanti e noti motivi, non sarà senza lasciti positivi confrontarsi anche fuori dal nostro mondo.

3) Selezionare alcuni, pochi e chiari, punti di programma che abbiano consenso in città e, su questa base trovare una squadra di "realizzatori" che siano disposti a giocare la propria esperienza.

Tanti vogliono farci litigare solo su due cose:
il nome del candidato e la data delle Primarie.
Ma, la Puglia lo dimostra, le primarie devono farsi con un quadro certo, e io dico più largo, almeno socialmente, di coalizione, che potrebbe apparire chiaro con la formazione di un vasto comitato che le indica.
E a nessun candidato, fosse anche Zaratustra, può essere messa sulle spalle la responsabilità di fare, tutto da solo, quei passi che prima indicavo.
E' importante invece scegliere subito la strada dell'apertura. Chi per primo darà un segnale in questo senso farà un salto nella credibilità e si segnalerà, ne sono convinto, alla nostra attenzione e a quella di Bologna.

Davide Ferrari

mercoledì 27 gennaio 2010

Poesia civile. La dimensione internazionale. L'Italia

"La poesia in Italia oggi e i percorsi possibili di riflessione e resistenza"

con Davide Ferrari, Gregorio Scalise, Alberto Masala, Bruno Brunini, Sergio Rotino, Vincenzo Bagnoli, Anna Zoli, Chiara Cretella, Serenella Gatti Linares, Paola Tosi, Graziella Poluzzi, Leila Falà.

in occasione della presentazione del libro di Carlo Bordini
"Non è un gioco.
Appunti di viaggio sulla poesia in America Latina"

Luca Sossella editore

Incontro a cura di Loredana Magazzeni e Pino De March
Mercoledì 27 Gennaio 2010
CENTRO SOCIALE XM-24
Via Fioravanti 24, Bologna

Dall'intervento di Davide Ferrari:
"Aumenta, sempre di più, la produzione poetica. Non è un male , perchè indica la ricerca, persino a livello di massa e oltre le consuete età dell'adolescenza e della giovinezza, delle possibilità espressive del linguaggio poetico per trovare vie di comunicazione e di riflessione. E' vero però che si ha l'impressione di una vera e propria dissipazione qualitativa.
E' un fenomeno che possiamo osservare in tutte le forme artistiche. Prima la riproducibilità tecnica ha tolto centralità all'arte, ed anche alla poesia, oggi la dematerializzazione della riproducibilità sembra capace di liquefare il senso, di annullare ogni capacità di verità della parola. Siamo in una civiltà dove la dematerializzazione del libro è metafora della perdita di ogni possibilità di verificare le proprie asserzioni. Perdendo ipotesi e scommesse, la capacità cioè di puntare su un pensiero critico, la parola si annienta e la ricerca dello scrivere in poesia diviene angosciosa ripetizione di banalità incapaci di dare espressione anche ai sentimenti più immediati dell'animo, dell'interiorita'.
Fare il percorso all'indietro, passare dalla quantità alla qualità è forse impossibile, eppure sento che bisogna frequentare anche la quantità, rischiare i luoghi più deboli, persino esibizionistici, per portare ancora la potenziale forza della poesia ad essere considerata.
Per questo il piccolo ma interessantissimo libro di Bordini è utile. Non solo ci porta in una dimensione , quella colombiana, dove la poesa civile ha ancora una grande forza ma anche dove la scommessa del pensiero-talvolta in forme ingenue ma non per questo prive di forza-non è stata dimessa.
La dimensione internazionale della poesia è proprio uno di quei maeriali che noi poeti italiani, critici di un presente che non accettiamo, dobbiamo portare in ogni luogo della poesia, anche quelli più banalmente quantitativi. Dobbiamo insistere e sperare che la parola, l'emozione, possa ancora connettere, come allo scatto di un link, una incompiuta prova di autoletteratura, e sappiamo che "mostrare la quale" è cio' che porta i più alle sedi dove la poesia è letta ed ascoltata, con la voglia di una conoscenza più vera e leale, conscia dei propri limiti, aperta ad un orizzonte drammatico e perciò più vero, quale ogni verso di "poesia reale" è capace di proporci. "

domenica 24 gennaio 2010

Bettino Craxi, allora ed oggi. Parliamo anche della "questione"socialista, della Sinistra.

Il Presidente Napolitano ha avuto il merito di indicare che una opinione su Bettino Craxi non può fondarsi solo sulla questione morale. E' più discutibile invece se gli argomenti da lui indicati siano o no sufficienti, o adeguati, a raggiungere un obiettivo giudizio. L'ambito dell'analisi del Presidente è quello di Craxi "statista" e Craxi "uomo", "persona".Un ambito proprio, del resto, della figura istituzionale del Presidente e della personalità, la vedova, Signora Anna, destinaria della sua lettera. Colpisce l'assenza, nei commenti di tutti, della "questione socialista", della storia del PSI e della sua fine. Non si vede invece come un giudizio su Craxi possa prescinderne. Se l'analisi deve essere più serena, tuttavia, alla luce dei frutti (Craxi fu capo indiscusso di un partito e portò quel partito alla morte) che si leggono più chiaramente nell'angolatura che vogliamo sottolineare, non può essere assolutoria la sua conclusione.
Cominciamo col dire che, se è necessario un lavoro degli storici, non si può affidare la materia solo a loro.
Craxi non è solo nel passato, nell'"allora". La sua "azione" è ancora viva nelle conseguenze che sono ancora significative nella vita politica italiana di oggi.
Proviamo a mettere in fila alcuni elementi, certo incompleti, qui volutamente esterni alla questione morale, incentrati sulla funzione di Craxi come "guida" del PSI, per contribuire, senza alcuna velleità definitoria ad un giudizio obiettivo, da Sinistra, su Craxi e la sua politica.
Bettino Craxi nacque all'interno della corrente autonomista del PSI di Milano. Un alveo non nobilissimo ma, certo, solidamente attaccato ad un radicamento sociale ampio, nelle imprese collegate all'intervento pubblico ed alla decisionalità degli Enti Locali,nelle professioni e più generalmente nel ceto medio.
Una città, Milano, dove il PSI era già stato a lungo alla guida e dove la stessa forza del '68 aveva fatto crescere protagonisti nuovi, esterni all'esperienza del PCI.
E' forse qui una delle radici della convinzione di Craxi circa, non solo la necessità, ma la possibilità di rovesciare i rapporti di forza fra PSI e PCI.
Decise di rimanere nel PSI, con molti dubbi e sofferenze quando Mauro Ferri e Tanassi spaccarono l'unità PSI-PSDI rifondando in chiave decisamente moderata, ed addirittura con venature reazionare, la sigla socialdemocratica in Italia. Ma rimase nel PSI nella convinzione che, proprio e solo dal loro partito maggiore, i socialisti potessero riaprire la partita con il PCI.
Dopo la grande avanzata del 1975 e del 1976, il PCI raggiunse la soglia del governo, senza però potervi entrare, ed il PSI di De Martino, intento a mediare a favore di un rapporto con il PCI l'azione di governo, non raccolse per nulla i frutti di quella supposta mediazione e si ritrovò al minimo storico.
Craxi, in gradi successivi, in alleanza con la corrente di Lombardi, anch'essa fortemente interessata all'autonomia dal PCI in nome, però, di una complessiva rifondazione della Sinistra, riuscì a imporre la sua visione, l'imperativo "primum vivere" , l'affermazione : "il PSI è necessario" , contro un destino, che De Martino sembrava voler accompagnare, di confluenza in un unico partito con il PCI.
Per evitare la fine del PSI come partito distinto Craxi impose al PSI una nuova linea politica strategica.
Propose un PSI che innanzitutto intendeva operare, al di là di varie affermazioni mutevoli, perchè il PCI venisse relegato ai margini del quadro politico e ridotto nei suoi termini elettorali e socio-culturali.
Quindi un PSI disponibile ad una alleanza senza condizioni, eterna , con la DC e che, anzi, proprio per questa sua disponibilità, intendeva reclamare potere e centralità, in modo e misura mai prima sperimentati.
Il PSI, da partito che faticosamente ricercava la sua ragione d'essere in una funzione di mediazione verso il PCI e in ruolo di garante della democraticità dell'intera Sinistra, divenne frontiera e non cerniera del quadro politico verso il PCI e fortemente conflittuale con la DC, proprio perchè suo pricipale alleato. La forza delle azioni tattiche di Craxi consisteva nel loro quadro strategico, la rivendicazione fino all'arroganza del principio di governabilità, nell'essere del tutto consapevole di essere necessario ad ogni Governo senza condizionamenti del PCI.
L'autonomia del PSI divenne quindi un marcato distacco delle proprie sorti da quelle del PCI, "più il fatto è chiaro, più il fossato si allarga, meglio è", e un'alleanza stabile con la DC senza più la condizione di aprirla a Sinistra, e per questo competitiva, reclamante potere e centralità, ad ogni livello, fino all'ottenimento della prima responsabilità di Governo.
Si chiarirà via via che questa linea politica comportava privilegiare le componenti più moderate della DC, se non addirittura quelle più retrive, l'apertura del quadro politico all'agibilità dell'estrema destra,ed un programma di governo che intendesse prescindere dalla concertazione con la sfera sindacale.
Questo il nocciolo della politica di Craxi.
I prodotti ideologici e programmatici che ne furono il corollario non sono stati privi di interesse, basti ricordare il primo "Programma socialista", addirittura estremista, e poi l'ispirazione ai "MERITI E BISOGNI" su cui si cimenterà soprattutto Claudio Martelli.
Ma più rilevante fu il carattere di "porta d'ingresso" ad esperienze di governo per settori interi delle nuove generazioni che il PSI autonomo di Craxi potè rappresentare , per la rilevante disponibilità di posti ed occasioni, e nello stesso tempo la sostanziale indistinzione programmatica realizzata nella pratica.
Poterono ritrovarsi, accanto o dentro il craxismo, sia provenienze dall'estrema destra che un settore non piccolo della contestazione giovanile, sessantottina ma soprattutto settantasettina, più lontana quest'ultima dal PCI e dalle cosidette "ideologie".
Dai minimi storici il PSI giunse ai suoi massimi.
Ma la parabola del craxismo si svolse in poco più di un decennio.
L'usura del modello craxiano era già evidente prima di tangentopoli: la riduzione di ogni dialettica interna, con tutto il partito preso dalla "vertigine del successo", il ridursi dei margini di rigonfiamento della spesa pubblica con la quale si era finanziato il consenso ai governi di pentapartito e la stessa competizione, in alleanza, di PSI e DC, l'abbandono e poi la contrarietà ad ogni vera riforma istituzionale e sociale, poichè troppo- al di là della retorica sull'innovazione- della propria crescita era reso possibile esattamente dallo "status quo".
Un' Italia spendacciona e bloccata, in sostanza, non rinnovata, questa l'Italia ad egemonia craxiana, diretta da una classe politica incapace di dare contenuto progressivo e reale al proprio riformismo e quindi, in ultima analisi, battistrada di un relativismo, anche in materia costituzionale e nella concezione della democrazia.
E, per quanto riguarda la Sinistra, una divisione dolorosa e profonda, ed un PSI senza vie alternative, con leadership ringiovanite ma del tutto subordinate al primato di Craxi.
E' in questo quadro che maturò l'incapacità ad opporsi alle conseguenze di tangentopoli.
Privati della copertura del bipolarismo monfiale EST-OVEST tutti i partiti divennero all'istante fragili, ma il PSI fu il primo a crollare non perchè maggiormente perseguitato dai giudici ma perchè più legato, si potrebbe dire avviluppato,in quell'ex "status quo" che progressivamente si stava disgregando.
Bisogna aggiungere che le responsabilità direttamente personali di Craxi nel rendere irreversibile il crollo e la scomparsa del suo partito, nella bufera di tangentopoli, furono molto rilevanti.
Il suo appello alla non ipocrisia scontò un grande distacco dalla realtà dei processi in corso e la reazione rabbiosa al suo allontanamento ed al tentativo di dialogo di Martelli con Occhetto, tolsero al PSI le possibilità residue di riprendersi.
Gravissima ed irresponsabile verso il PSI fu la denuncia-fatta da Craxi-in quel momento ultimativo, delle corresponsabilità di Martelli nelle parti oscure della sua politica.
Forse anche questa mancanza di responsabilità mostrata da Craxi verso il proprio partito fu in ultima analisi indotta, oltre che da un limite "morale" della propria personalità, dalla sua incapacità originaria a comprendere come la grande storia dell'esperienza comunista in Italia non potesse essere denegata e , in ultima analisi, elusa, non affrontata.
Restano molti interrogativi, ce ne rendiamo conto, dopo una carrellata così breve. Resta da chiedersi, ad esempio, se il PCI di Berliguer fu adeguato nella sua opposizione alla politica di Craxi.
Un "Partito Comunista", questo il punto, non poteva esserlo. Anche un PC così ricco di forza e di idee come il PCI. Un partito, causa la sua origine, inevitabilmente intrappolato in una continuazione della strategia di fondo togliattiana dell'incontro fra le principali correnti democratiche, senza una moderna concezione del conflitto sociale e senza visione di una democrazia viva perchè fatta di alternative e di alternanze. Una strategia di fondo, quella del PCI che "ontologicamente" toglieva ossigeno al PSI relegandolo a forza minore e non elevandolo a protagonista dell'alternativa.
Occorre anche aggiungere che, mentre Berlinguer, che pure oggi ci può apparire lento e sfuocato sul piano del posizionamento politico, operava però una rilevante innovazione teorica, fino a lambire tutte le principali questioni della nuova epoca, come l'interdipendenza mondiale e la crisi ecologica, i suoi competitori interni, in particolare le principali figure dell'ala che si volle chiamare migliorista, meno ancora si resero conto delle reali novità e possibilità di espansione della politica di Craxi pensando di poter scontare con una maggiore acquiescenza un auspicato ritorno del PSI di Craxi all'interno del quadro della politica tradizionale, così come concepita dal PCI nella sua storia.
I miglioristi, che pure più di altri comprendevano il rischio della divisione delle Sinistre, non erano più avanti, spiace scriverlo, ma più indietro. Se così non fosse stato, d'altronde, non avrebbero avuto così poco ruolo nella svolta che condusse al superamento del PCI. Poche, davvero troppo poche furono le figure politiche nell'arcipelago PCI capaci di coniugare radicalità, riformismo, e unità. Vengono alla mente un uomo come Bruno Trentin e non molti altri riferimenti. Se così non fosse stato, alla scomparsa del PSI, non si sarebbe forse sommata la scelta operata dal corpo politico proveniente dal PCI di una via di rigenerazione così faticosa e forse troppo dimentica del riformismo interno alle espressioni politiche socialiste e socialdemocratiche del mondo del lavoro, almeno in Europa. L'Italia è vero, è solo una periferia di un mondo dove, in termini diversi si sono vissuti -per cause globali- fenomeni simili, ma non ne è una periferia "positiva", se è vero che qui si è affermata l'avventura berlusconiana.
E' grave che ciò sia avvenuto. Sia ancora concesso affermarlo in un'Italia dove è così forte il predominio della Destra di Berlusconi, che molto deve allo spostamento a destra di milioni di voti avvenuto dopo la sparizione del PSI e la drammatica divisione di destini fra ex socialisti ed ex-comunisti, e dove il PD incontra tante difficoltà a ripartire con maggore consapevolezza circa i propri caratteri riformatori.
Alla luce di queste considerazioni si può forse comprendere meglio perchè anche i commenti di questi giorni appaiano parziali o fuorvianti, rivelando limiti ereditati dall'esito del caso italiano, del quale la storia infelice del PSI nella prima repubblica è così significativamente parte. Fra i pochi avversatori della riabilitazione di Craxi e fra i molti impegnati a riedificargli, da Destra, un piedistallo, praticamente nessuno gli imputa la fine del PSI o, almeno, su questo dato riflette. Se la questione della minorità socialista, da Palazzo Barberini a Craxi, fu la palla al piede della Sinistra italiana impedendo l'alternanza di governo ed una vera socialdemocrazia, la scomparsa del PSI, ripetiamo in conclusione quanto premesso al nostro inizio di ragionamento, non può essere estromessa dalle responsabilità del leader che ne aveva assunto il comando in nome dell'imperativo di vivere.

Davide Ferrari

sabato 23 gennaio 2010

Mussolini nell'esame di maturità.

Mussolini nella maturità. La nostra opposizione


La citazione di Mussolini, così come è avvenuta, in un tema d'esame di maturità è un fatto gravissimo. Il contesto ambiguo e confuso nel quale è sta inserita non può far velo. Siamo ad un'ulteriore tappa della banalizzazione del fascismo e di una inaccettabile subalternità al revisionismo storico. Mussolini: il dittatore, il guerrafondaio, il razzista, il colonialista, il responsabile della ritirata di Russia e della guerra civile. Quale di questi deve essere considerato un interlocutore delle riflessioni dei giovani di oggi? La citazione di Mussolini in un tema di maturità avviene dopo ripetute incursioni mediatiche tutte rivolte a normalizzare la figura del dittatore, dopo i noti richiami di Berlusconi e numerosi altri tentativi di riabilitazione portati avanti da più parti ma con particolare insistenza dalla Destra che oggi è al potere in Italia. Si vuole accreditare l'idea che, se non positiva, quella lunga pagina nera della storia italiana, può essere comunque considerata "ufficialmente" grigia, segnata da un uomo con luci e ombre, che ha lasciato anche degli insegnamenti che vanno presentati ai giovani. Bisogna rilevare come questa operazione di normalizzazione di Mussolini viene fatta proponendo un estratto del suo discorso alla Camera con il quale rivendicava la responsabilità politica e morale dell'omicidio Matteotti senza nemmeno segnalare ai maturandi come, in quel momento storico, ciò abbia costituito l'affermazione definitiva della dittatura e la rivendicazione dell'assassinio di una delle personalità democratiche più brillanti e coraggiose. Non si tratta quindi di una volontà di far conoscere la storia, ma al contrario, anche nelle specifiche modalità scelte, di occultarla, di decontestualizzarla, di rendere anonimi e uguali tutti i suoi passaggi. Deve ora esserci una risposta. E' necessario prendere l'iniziativa, suscitare una riflessione.Ed è auspicabile che tale risposta possa segnare l'avvio della ripresa di una vera conoscenza del fascismo, dei suoi caratteri e delle sue rovinose conseguenze. La Repubblica democratica è nata da questa opposizione e l'affermazione di valori del tutto contrari al fascismo ne costituisce la pietra angolare, il fondamento, il punto di riferimento e di legittimità essenziale.
Mi piaceVedi altre reazioni
Commenta

giovedì 14 gennaio 2010

Stranieri in classe. I simboli e la sostanza della Gelmini.

Il Ministro Gelmini ha indicato il 30 per cento come tetto massimo di alunni stranieri nelle classi italiane.
Gia’ nelle scuole maggiormente investite dal problema, a Bologna siamo al 12 come media generale con punte elevate nella scuola di base e nei professionali, la dirigenza scolastica degli Istituti e gli stessi organi ministeriali, in collaborazione con gli enti Locali, avevano realizzato “regolamenti” per l’accesso e accordi importanti per rendere più vera l’integrazione e coinvolte più omogeneamente tutte le classi di un territorio.
Noi siamo d’accordo con loro: programmazione sì, tetti no.
Perché?
Il Minsro, di fronte all’ingestibilità della sua direttiva, ha versato acqua, escludendo dal computo i nati in Italia. Ma la sostanza resta grave.
Perchè la Gelmini non vuole una media da raggiungere con interventi programmatori, il famoso “buon senso” di cui hanno parlato molti commentatori, sbagliandosi.
Si tratta di un obbligo imposto a tutte le scuole, di ogni ordine e grado e di ogni indirizzo, senza alcun coinvolgimento, nelle scelte , delle Regioni, degli Enti Locali, delle componenti della comunità scolastica.
Le eventuali deroghe saranno decise dal Ministero stesso, attraverso i dirigenti regionali.
Alla faccia del federalismo. “Alla faccia del bicarbonato di sodio!” avrebbe esclamato Totò.
Ed alla faccia del Titolo V della Costituzione che assegna la competenza alle Regioni, in “legislazione concorrente” con lo Stato e sancita l’autonomia delle Scuole.
Le parti politiche più vicine al Ministro, e a lei più care, come la Lega hanno immediatamente colto il senso di questa decisione.
Il punto del messaggio simbolico di Gelmini è questo: Al motto che recitava: “Non uno di meno”, intendendo che nessuno doveva essere lasciato in solitudine senza opportunità, si sostituisce il dettato leghista: ”Non uno in più”.
Se qualcuno a tavola non ci starà, che se ne vada, altro che aggiungere un posto!
Non è solo una questione, pure gravissima, di simboli, non c’è solo la responsabilità di contribuire a far considerare gli stranieri il primo e principale pericolo per la qualità della vita degli italiani, fin nelle aule, oggi, nei giorni di Rosarno.
Anche esaminando la questione concretamente si evidenzia il rischio di un forte abbandono della frequenza scolastica da parte di figli di famiglie straniere. Chi sarà in grado, per condizioni di lavoro, di istruzione, di orari, di seguire i propri figli nella ricerca di una scuola, non la più vicina ma la disponibile? E per i ragazzi più grandi la tentazione di lasciar perdere tutto sarà molto forte. E’ evidente che cio’ provocherà l’aumento del disagio sociale nelle generazioni più giovani, quelle dei figli di immigrati.
In quelli che sono giovani adesso, che parlano l’italiano sufficientemente bene, non sono nati in Italia, che si fanno amici fuori dal loro gruppo etnico solo a scuola.
Se molti insegnanti e dirigenti scolastici mettono in risalto la bruttissima pratica del trasporto speciale a destra e a manca dei piccoli “perdenti posto”, altrettanto grave, forse persino di più, sarebbe smembrare per razza classi già esistenti, costringendo gli alunni over 30 ad andarsene. Come si sceglierà poi chi rimane e chi va non è ancora dato saperlo.
L’ Italia ha già conosciuto alunni scomparsi dalle classi a motivo della loro razza.
Dopo le leggi del 38 toccò agli ebrei.
Cosa si deve fare, adesso?
Innanzitutto non lasciarsi prendere da polemiche su falsi terreni.
Così come non è vero che la Gelmini vuole l’integrazione così non è affatto vero che i democratici ed i progressisti vogliano classi affollate di problemi e di diversità.
Bisogna difendere ed estendere le buone pratiche già in essere e chiedere fondi adeguati per sostenerle.
Subito.
Qui gli Enti Locali, i loro Assessori ed anche i loro Consigli possono avere un ruolo importante, non tanto di supplenza quanto di immediato monitoraggio, insieme agli istituti scolastici ed alla loro associazione, delle criticità, in collaborazione con gli Uffici provinciali del Ministero ma anche con una propria capacità di proposta, basata sulla conoscenza dei dati demografici, dell’assistenza sociale, delle previsioni urbanistiche .
Guai a dividersi, per ruolo e sensibilità, fra chi deve comunque affrontare la “partita” così com’è e chi denuncia l’ideologia sottostante.
I dirigenti scolastici più avvertiti sanno che la partita della scuola è ancora aperta, e la loro professionalità può dare, proprio nei confini delle responsabilità che deve adempiere, un grande contributo, non fermandosi alla burocrazia, mettendo all’opera idee e relazioni umane.
E gli amministratori politici della nostra realtà sanno bene che non basterà la denuncia, che bisogna operare, e a lungo, per tessere una trama di cose da fare che aiutino le scuole e sostengano tutti i loro alunni, per evitare razzismo e guerre fra le famiglie.
Il Dirigente regionale dell’Emilia-Romagna ha dichiarato che non deciderà da solo.
Bene, occorre allora presentargli al più presto il quadro reale della situazione e chiedere di decidere assieme.
E’ chiaro che servono idee ma anche soldi.
Qui il piatto già piange, e i Comuni stanno investendo sempre di più, altro che :“i pulmini li mettete voi”, come intima Maria Stella.
Le scuole e gli Enti Locali bolognesi avevano lanciato , mesi orsono, una propria “vertenza” per richiedere docenti in numero sufficiente e le risorse finanziare occorrenti.
Mentre sui giornali tiene banco la Gelmini con le sue “circolari razziali” vengono sanciti nuovi tagli ai fondi delle nostre scuole, persino per le pulizie mentre il 60 per cento degli Istituti non ha ancora recuperato i crediti per il funzionamento ordinario.
Ma qui chi decide è Tremonti con la sua “pedagogia contabile”, come la definisce Rosanna Facchini, dimenticavamo. Mica la Gelmini!

domenica 10 gennaio 2010

Lettera a noi stessi, dopo Rosarno

Segnali di fumo
di Davide Ferrari

Lettera a noi stessi, dopo Rosarno

Cari amici,
ho l'impressione che a Rosarno, come altrove, la verità sia ancora più dura- e più "banale"-di quanto viene descritta.
Pare che la paga giornaliera di un nero sia di circa 25 euro-probabilmente senza altri oneri per chi li "assume". Considerato che ci viene detto che lavorano 12 ore al giorno, il loro costo medio è di 2 euro e qualcosa. Le produzioni dove vengono impiegati, olive, pomodori ecc, sono pregiate e rendono bene. Il "plusvalore", cioè quanto prende chi li sfrutta è davvero enorme. Questo "incasso" sulla pelle dei neri non va solo a pochi, O SOLO ALLA MALAVITA, che credo c'entri ma soltanto in parte. Va, indirettamente, a tutto il paese. Tutto. Anche ai suoi bianchi poveri. Anche ai poverissimi.
E' difficile da confessare ma un pezzo di economia sociale, un territorio, non solo i suoi proprietari, vive, rientra nel mercato, perchè c'è mano d'opera sfruttata e segregata in tali dimensioni. Non è tanto un clima di guerra fra poveri, o una generica ignoranza dei poveri-quelli bianchi- ad aver portato agli spari che hanno fatto partire l'incendio. E' che a Rosarno come in mille altre situazioni, attuali e storiche, allo sfruttamento selvaggio si unisce sempre una cultura che tiene assieme la società sfruttatrice, chi prende moltissimo e chi prende solo briciole, basandosi sul senso di superiorità, dal linguaggio alla violenza esplicita. Così impariamo che i colpi di arma ad aria compressa che avrebbero innescato, insieme alla falsa notizia di omicidi per fortuna non avvenuti, la violenta reazione dei neri non erano che l’ultimo fatto di uno stillicidio quotidiano di violenze, minacce, dileggi cui-così pare- partecipa una parte rilevante, ad esempio, dell’intera popolazione giovanile del paese.

Questo non giustifica i “neri con bastone”, apparsi nei video e nelle foto. Anzi, non mi stupirebbe se fra i violenti ci fosse stato anche qualche Kapo, qualche sub-caporale nero, anelli intermedi della catena di sfruttamento.
La realtà è davvero molto preoccupante.
L'Italia è percorsa dall’ insofferenza, e spesso, dall’odio verso gli stranieri e dopo Rosarno prevedo altri gravi scivolamenti. Qualcosa possiamo fare , anche qui, nelle nostre città. Proviamo a parlarne sul serio, guardando in faccia alla realtà. Un caro saluto da un bolognese di origine calabrese.

Davide Ferrari

www.davideferrari.org

sabato 2 gennaio 2010

Il caso Orfeo.

Il caso Orfeo.

Anche a Bologna, dove c'e' la Destra, c'e' meno liberta'

Il Quartiere Santo Stefano ha deciso di non rinnovare la convenzione con l'Associazione che, da molti anni, promuove Orfeo TV, prima, in qualche modo, in etere, oggi su web.Addirittura hanno approvato, con la limpida opposizione del PD, un ordine del giorno nel Consiglio.E' l'unico Quartiere a maggioranza di Destra, e si vede.
Orfeo, quando nacque fu una delle prime TV di strada. Ancora oggi fa parlare i cittadini, e' un'isoletta di buona comunicazione.
Per questo a "loro" non piace. Per questo ci deve stare a cuore.
Il sostegno che la convenzione garantiva non era molto ma, senza, l'Associazione andra' in difficolta' ed il Media Center che manda avanti, con esperienze di formazione e attivita' di studio e di divulgazione, potrebbe chiudere.Non deve accadere.Anzi sarebbe bene che esperienze similari si moltiplicassero, filiassero in altri Quartieri, cosi' come quella di Flashgiovani ed altre.
Si e' detto spesso che bisogna "pensare globalmente ed agire localmente". Bene: le piccole Tv di strada nascono, con tutta evidenza, con questa logica.I cittadini sono tali non solo se hanno la liberta' di consumare- e con la crisi non sempre ce l'hanno- non solo di protestare ma anche di dialogare, di passare da cio' che e' solo personale a cio' che e'generale, se non si vuole piu' dire: " al politico".Ricordo che il Comune di Bologna si e' posto, anche in un passato recente il tema di una propria forma di comunicazione. Venne naturale pensarci ad Angelo Guglielmi, con la sua grande esperienza.
Forse una rete di TV associative potrebbe essere un pezzo, libero per di piu', di una forma cittadina di comunicazione. La formazione di professionalita' realizzata sul campo da esperienze dirette ed autogestite non puo' essere l'unica via per stare al passo con l'economia della conoscenza, e' ovvio, ma puo' essere un pezzetto pregiato, puo' interagire con poli di sviluppo e di investimento in ricerca che siano la base di un riorientamento della nostro tessuto produttivo, cosi' come la Regione e Bologna vogliono fare.Alla Destra non interessa.
Perche' dare valore ad un archivio di filmati autoprodotti quando si possono avere a portata di click ben altre ''librerie'' e tutte con il marchio del Padrone ben in vista ?
E poi se un Quartiere ha qualche soldino e' meglio non buttarlo via con chi da' voce alle badanti moldave o agli anziani non ancora pacificati dei centri sociali.Parlano spesso di bolognesita' , ma Bologna, la citta' vera, con i suoi lavoratori-quelli di oggi- i suoi giovani che vogliono crescere di capacita' , i suoi anziani che hanno molto da dire, non gli interessa un bel nulla.Seguire la vicenda di Orfeo Tv, del suo Media Center e' quindi un'occasione importante, per forza di simbolo e per valore concreto. Sono certo che a Bologna l' interesse non manchera' , non solo nelle Istituzioni, ma anche nel mondo degli investitori per la qualita' del territorio, come le imprese con maggior consapevolezza della propria responsabilita' sociale e le Fondazioni bancarie.

davideferrari@yahoo.com
www.davideferrari.org