martedì 13 marzo 2007

Per una didattica della poesia.

PREMESSE PER UNA DIDATTICA DELLA POESIA.
Appunti poco popolari di un poeta.
di Davide Ferrari

Alcuni anni orsono l'allora Presidente della Camera dei Deputati Irene Pivetti ("Oh tempo-ra....") prese l'iniziativa di invitare a Montecitorio alcuni fra i principali "grandi viventi" della poesia italiana. Al termine del conto, l’iniziativa fu positiva.
Curiosa tuttavia la sigla che la RAI dedicò alla trasmissione TV dell'evento: immagini di gabbiani svolazzanti e di nuvole allo sfumo.
Certo Pivetti oltre non poteva andare. Ma è, forse, più generale pensare la poesia come qualco-sa fra lo spirituale e il trash. Anche nella scuola l'opinione diffusa è che la poesia sia un incom-primibile moto dell'animo e nulla più. Qualcosa che può essere insegnato solo da un professore stile "attimo fuggente". Un piccolo guru capace, senza mediazioni intellettuali oltre le proprie, di fare indossare ali di gabbiano ai ragazzi.
D'altra parte, al polo apparentemente opposto, la tradizione idealistica gentiliana, ancora così presente, consegnava alla poesia, nella scuola, una funzione - a ben guardare - poco dissimile. In quella visione la poesia, perla della cultura umanistica, è qualcosa che deve segnare il conte-nuto dell'educazione di una classe dirigente ed elitaria, la sola capace di afferrare l'emozioni più intime e profonde. Agli esclusi per destino e censo, nella scuola primaria, non resta che memo-rizzare e memorizzare.
Altro non c'è. Non stupisce che, ancora oggi, dati i punti di partenza e le egemonie in campo, poco sia radicata una "didattica della poesia".
Assistiamo a un vasto movimento nelle scuole, basta scorrere le occorrenze su Google per ac-corgersene, ma teoria poco si produce, i teorici sfuggono al compito.
E' possibile invece un punto di vista diverso che, ben compreso, possa essere il punto di parten-za per disegnare almeno alcuni elementi iniziali per un insegnamento dell'espressione poetica .
Si può afferrare un capo del filo e, da lì tirando e svolgendo, sbrogliare l'intricata matassa fra compiti di insegnamento e irriducibilità della creazione poetica..
Innanzi tutto poniamo le domande di sempre, quelle che Eugenio Montale ebbe a ripetere nel "discorso del Nobel" nell'ormai lontano '75. Che cos'è la poesia e se un senso possiede- se ne possiede- nella modernità?
Se "è del poeta il fin la meraviglia" come testimoniava il Marino, cominciamo con un'affer-mazione che, ancora oggi, può sorprendere: La poesia è forma..
Ciò che rende l'universale l'Infinito di Leopardi non è il suo contenuto. Se qualcuno scrive che, abitando nei pressi di Recanati è solito recarsi un colle e da lì guardare fin dove gli è possibile, non ci trasmette molto. La differenza fra queste parole e la straordinaria profondità del poeta universale è data dalla forma, dal meccanismo con il quale sono articolate le parole, oltre che dalla scelta, fra mille sinonimi, di certe parole al posto di altre, altrettanto possibili e significanti.
La parola poetica è qualcosa oltre la parola del quotidiano, per il potere particolare che ad es-sa conferisce la forma. Innanzitutto per il suo contenuto di musicalità e ritmo, per la caratteristi-ca di poter sospendere il tempo e di mutare la natura e la funzione del luogo nel quale la poesia viene prodotta o al quale ci riconduce.
Fin dalla più antica espressione umana, (par di vedere il piede dell’avo battere il ritmo sul ter-reno, mentre la parola che gli esce di bocca acquista -con la pronuncia e il metro- un valore e una forza specifici), la parola poetica avviene in e/o crea un luogo particolare.
Può trattarsi di un luogo naturale, sia esso il bosco dove il nume appare, sia esso il colle del dolore di Leopardi, oppure di un luogo sociale, una raccolta di uomini attorno a un'idea, a una preghiera, ad un evento o anche soltanto il recupero –che ogni volta si ripete e accomuna-dell'emozione di un classico nel ripercorrerlo leggendo. Altrimenti sarà un luogo dell'anima, per così dire, la creazione di un momento e di un'occasione dove la mente del lettore può ad-divenire ad un'astrazione di particolare intensità, tale da delocalizzarlo rispetto alla consuetudi-ne.
In sostanza la forma poetica è un codice fra il poeta e chi lo ascolto o lo legge. Quindi se la po-esia è ispirazione, diciamo pure autonoma genialità, si esprime però con caratteristiche di ne-cessaria esattezza senza le quali non è data.
Ma il partire dalla forma e dal termine di “codice” non vuol dire, in alcun modo, privilegia-re gli aspetti tecnico-letterari in un accostamento alla poesia.
Al contrario.
Il “codice” muta nel tempo e si impiega ad esprimere, così come capita a tutte le principali at-tività artistiche, ma con una forza di sintesi che ha nella letteratura soltanto la poesia , un tempo, un contesto storico, un paradigma culturale di cui il poeta è parte e di cui diviene, nella sua scrittura più alta, un tratto di esemplarità.
Ci avviciniamo un poco a temi che fondano un insegnamento.
Il poeta è sè stesso ma è nel legame con una "situazione", come asseriva il De Sanctis.
Gli antichi identificavano nell'intero arco della vita di un autore, di un artista, la cosiddetta "età della fioritura", gli anni della produttività felice della propria arte. Andiamo oltre e nell'età della fioritura poniamo mente ad una più ristretta "età dell'esemplarità". Saranno quegli “anni”, tal-volta un epoca, talvolta poco più di istanti, nei quali un poeta raggiunge la capacità di rappre-sentare, forse meglio di chiunque altro il paradigma culturale della sua età.
E' quel nocciolo della sua arte nel quale si esprime maggiormente il legame con la "situazio-ne", ma nel senso di una particolare raggiunta libertà di interpretarla.
Ciò che costruisce un poeta classico è proprio quel nocciolo, la sua estensione, la sua possibile comprensione, di generazione in generazione, da parte di un pubblico tendenzialmente univer-sale e mai esauribile.
La poesia come “parola potenziata”, il poeta come segnale del suo tempo, il "classico" co-me ineliminabile ed eterno segnale di "grado" nel succedersi dell'avventura umana: questi tre elementi non possono essere dimenticati, espunti, neanche nella modernità.
Con Montale dunque possiamo affermare, sia pure cercado di ricordare la sua ironia e il suo laico dubitare, che la poesia non può essere cancellata dalla nostra vita, neanche nella contem-poraneità turbinosa che attraversiamo.
Certamente il contemporaneo sembra a volte "il tempo del nulla". Quel "Nulla" che distrugge-va il regno di Fantasia della “Storia infinita” di Michael Ende.
Sono, i nostri, gli anni di un procedere, che pare invincibile, della crisi della funzione sociale dell'arte. Sono gli anni nei quali sembra espandersi sempre maggiormente la riproducibilità tecnica di ciò che un tempo era affidato solo all'opera dell’arsenale degli artisti.
Se, quando ne scriveva Benjamin, la pittura lasciava i suoi campi tecnici alla fotografia e al ci-nema oggi sono gli ipertesti e, pare, una grafica che presto potrà vivere incorporea persino den-tro i nostri occhi, non solo nella nostra visualità, a conquistare il terreno.
Così per la poesia i luoghi di espressione della parola si sono moltiplicati a milioni e milioni, dai tubi catodici alle lavagne di internet.
La poesia e il poeta appaiono quindi con una funzione sociale indebolita e comunque meno ri-conosciuta dall'opinione pubblica e dal potere. Ciò conduce, come noto ad un isolamento della poesia d'arte, e, nel contempo all'esplosione quantitativa delle scritture individuali.
Quelle scritture figlie del tempo libero, diceva Montale, e, diremmo noi, di un disagio che non spetta più soltanto al figlio del conte Monaldo esprimere ma ad ogni "adolescente", anche tren-tenne, ai maestri di scuola come alle segretarie, alle casalinghe separate come agli eterni ragaz-zi in cerca dell'emozione irripetibile.
Sono, le loro scritture, un segno dell'epoca ma anche della sua debole autocoscienza collettiva . Quei fogli riempirebbero mille biblioteche di Alessandria, quei fogli neppure la catastrofe ato-mica potrebbe eliminare, come il poeta “premio Nobel “ci ricordava, mentre bastò un falò di pochi giorni a cancellare lo scrigno della classicità in quell'antico archivio del mondo della città del Faro.
Tuttavia , ripetiamo, seppure indebolita, la funzione della poesia è ineliminabile. Altrettanto i-neliminabile sarà quindi il suo posto nella scuola, se scuola sarà.
Fondati motivi lo confermano. La forma della poesia, lo abbiamo già scritto, contiene verbalità e non verbalità, è un codice di particolare potere che allarga e mescola i linguaggi, come e-scluderlo dalla scuola? Come escluderlo dalla scuola primaria, laddove può rappresentare una sorgente della genesi stessa delle capacità di linguaggio del bambino e della bambina? Ma co-me escluderla anche nella scuola secondaria, dove le sue note di sinteticità sembrano partico-larmente adatte alla comprensione ed all'allargamento intellettuale dei soggetti in età evolutiva, del loro procedere esistenziale per salti logici e per sconvolgenti domande di senso.
E infine rimane comunque, al di là dell’ambito del nostro presente argomentare, il “peso”, nel-la storia della cultura italiana, della cultura umanistica e letteraria signoreggiata dalla grande catena dei poeti della"lingua del si". In fondo è sempre vero che furono i poeti a fondare, ca-nonizzare, imporre la nostra lingua nazionale.
Ma il contenuto formale del codice poetico, la sua esattezza, la sua ricerca di essenzialità, il le-game fra autore e "situazione", il ruolo storico della poesia italiana, “tutto” in sostanza, ci por-ta ad approfondire la ricerca di una didattica tutt'affatto contraria all'attualismo, alla mistica del rapporto diretto ragazzo/testo, alla post-modernità d'accatto.
Sono cattivi maestri, certo pessimi didatti, a me pare, quelli che volendo affermare la forza del-lo spirito in un testo, in un autore, commettono il delitto di togliere allo studente il diritto a una reale comprensione, non aiutandolo ad allargarsi, a “portare dentro di se” la forza del poeta che legge e impara a conoscere.
Non stupisce però che pochi siano i testi di riferimento di una adeguata didattica della poesia. A Gentile non servivano per i post-moderni sarebbe troppo faticoso scriverli.
Se è sempre stato più chiaro il diritto a costruire una didattica delle scienze, della matematica-ad esempio- dove l'attualismo doveva cedere più facilmente il passo alla forza del Numero, è ancora una battaglia da vincere quella per affermare il diritto ad esistere di una didattica della poesia.
Pochi elementi qui saranno da riportare - lasciando approfondimenti, conseguenzialità ed e-sempi ad un secondo prossimo intervento.
In primo luogo una didattica della poesia sembra parente di quella ricerca di integrazione fra istruzione ed educazione, di cui scrive Gerwald Wallnofer nell'introdurre "Società della co-municazione e scuola" di Franco Frabboni. Certo non può sorgere da quegli approcci mutilanti che lui definisce, riprendendo la ricerca internazionale, come basati o sulla trasmissione rigida dei saperi, oppure sulla transazione, sul mitizzato "star bene a scuola."
L'integrazione di aspetti di istruzione con l'irrinunciabile riferimento alle meta educativa più generale può condurre utilmente un passo più avanti.
In primo luogo ad affermare la necessità che l'insegnamento della poesia si rivolga sia ad una sorta di alfabetizzazione primaria circa le conoscenze di contesto, sia ad una forte individualiz-zazione e ad un interscambio emotivo e creativo che riconduca alla capacità e al potere della poesia di formare l'individuo liberando la sua intelligenza.
Proseguendo su questo piccolo “codice binario”, ma non antinomico, alla coppia “istruzio-ne/educazione”, ed alla susseguente coppia “conoscenza contestuale /conoscenza più ravvici-nata del poeta, può seguire ancora la, ben nota a chi legge, coppia: classe/laboratorio. Nel de-finire un progetto didattico sarà possibile dunque aver cura di avvicinare dapprima alla cono-scenza dei termini e dei riferimenti di cui un poeta e una poesia sono parte, e forse ancor prima delle parole che il poeta usa.
La conoscenza dei primi elementi del sapere che sono inerenti agli autori ed ai testi non deve essere scambiata per la “pubblicazione di una sentenza”, per un giudizio pregresso, deve essere la base per una padronanza nella lettura diretta e più autonoma da parte di chi studia.
Infne si può, come spesso avviene, prevedere il superamento del solo momento frontale inse-gnante/testo/studente in un percorso di più intensa “comprensione”, in un interscambio -a quel punto davvero intenso e fondato- di emozione e ri-creazione, in un laboratorio elaborativo di nuove scritture.
Laddove è possibile in un ambiente favorevole e predisposto, un sogno sarebbe un' aula didat-tica specializzata, una "aula aperta della poesia" dove gli elementi siano al servizio di una più diretta compenetrazione con il testo, ed anche al gioco e alla prova della “traduzione”, e della nuova scrittura..
Oggi, in parallelo con il recupero con troppe ambiguità dell’imparare a memoria (per aumen-tare le parole conosciute, si dice), si sostiene sovente la scrittura creativa come una prova in se valida e sostitutiva di conoscenza, lettura e comprensione dei poeti.
Non ci pronunciamo sulle virtù intrinseche ai laboratori di scrittura creativa ma, certo, se la prova fosse all’interno ed al termine di un percorso nella poesia il loro valore potrebbe essere più certo.
Non si creda, quasi al termine di un intervento come il presente, certamente rivolto ad una criti-ca di quella “dimissione dalla pedagogia” che sembra oggi così di moda, che si voglia indicare l’approdo ad una fredda ed arida proposta organicistica e rigidamente contestualizzata della poesia.
Al contrario, ancora una volta, una "sana e robusta" programmazione didattica potrà rappre-sentare l'antidoto anche ad un ruolo della mediazione docente tutta tesa alla spiegazione per pa-rafrasi, alla vivisezione del testo fino a smarrirne senso e bellezza.
Torniamo all'Infinito. Riconoscere in Leopardi la forma, imparare a connetterlo con il suo tem-po e con il modo che il suo tempo ha avuto di esprimere l'universale di perenni sentimenti umani, di cui è stato il più alto esempio, ebbene: tutto ciò esclude il risolversi in una mistica fredda della conoscenza.
Andiamo per triadi, come il vecchio Hegel, per farci capire- per carità ! - non per convinta ide-ologia.
Al conoscere e all'emozionarsi dovrà essere favorito dall'insegnante, il momento del "com-prendere", appunto come predetto: "il prendere dentro".
Ancora una triade: alla pratica dell'attimo, e alle ragioni dell'analisi dovrebbe, è il nostro avviso, succedere una sorta di "grammatica della fantasia".
Si ricorderà: è un famoso titolo rodariano, e Gianni Rodari e il suo, oggi dimenticato, innocen-te “marxismo dell'anima” può ancora dire moltissimo. Può far ragionare su un modo di fare scuola con la poesia dove la programmazione sia matrice di libertà , dove lo schema del pro-getto dell'insegnante tenda alla cura e all'allargamento delle opzioni del discente, e –infine- do-ve la creatività sia davvero resa possibile da una estensione delle facoltà di parola e di pensiero.
Gli antichi, De Sanctis, Montale, un pizzico di Hegel, Rodari: abbiamo disseminato, come Pollicino, il nostro percorso di sassolini molto impegnativi,.
Sia permesso a sostegno di una tesi non popolarissima quale quella che andiamo sostenendo concludere con l'aiuto di Mario Luzi.
Il poeta, nella sua ultima generazione di vita, aveva raggiunto una particolare volontà di testi-monianza, una saggia non acquiescenza ad un presente smarrito e incapace di teoria ed impe-gno civile.
Leggiamolo in una delle ultime interviste: "Il fine dell’insegnamento della poesia nella scuola deve trasformarsi in uno strumento di riflessione sui grandi problemi che l'umanità ha affron-tato nel suo cammino culturale. Lo studio della poesia, infatti, va presentato come uno dei momenti più formativi per una discussione sui grandi temi umani. La poesia...(rimanda a una) conoscenza molteplice, complessa, multiforme dell'uomo e della sua storia, del modo con cui un autore ha interpretato il modo unico e originale di abitare la terra proprio e dell'epoca in cui è vissuto. Grande poeta, infatti, non è chi sa padroneggiare tutti gli strumenti linguistici, ma chi attraverso il possesso di tali strumenti ha saputo e sa interpretare un preciso momento storico e culturale".

Bologna, 11 Marzo 2007

=11 Marzo 77. Ferrari (Sinistra.PD) :"Dialogo sempre fra politica e società o tragedie"=

Davide Ferrari, coordinatore dell'Associazione nazionale della Sinistra per il Partito Democratico e consigliere comunale a Bologna, ha dichiarato, in occasione del trentesimo anniversario dell'uccisione a Bologna dello studente Francesco Lorusso, che diede il via al cosidetto "movimento del '77":
"La lezione politica, sempre valida ed attuale, di quello che successe è -ancora oggi- che la politica deve dialogare con la società.
Quel movimento aveva componenti violente che richiesero da parte delle forze democratiche una dura battaglia politica per essere isolate, ma non fu conpreso che era anche un fenomeno sociale che interessava direttamente od indirettamente una generazione. E questo indebolì la stessa lotta contro il terrorismo. Troppo tardi si è capito che per sconfiggere la violenza e evitare tragedie bisogna aprirsi al dialogo con i giovani che i violenti cercano di coinvolgere."

"Oggi-ha proseguito Ferrari- si sta costruendo il Partito Democratico. Cambiare la politica vuol dire scegliere il dialogo.Una questione giovanile esiste anche oggi, basta pensare alla lettera degli studenti di Catania e alla drammatica lontananza dalle Istituzioni. Non vi sarà un altro '77. Il mondo è cambiato. Ma il dialogo resta la strada giusta".

sabato 10 marzo 2007

Incontro di Piero Fassino con intellettuali e politici bolognesi. L'intervento di Davide Ferrari..

https://www.radioradicale.it/scheda/219822/idee-per-il-partito-democratico-incontro-con-piero-fassino?i=1196974

venerdì 9 marzo 2007

Poesie all'asta contro la violenza sulle donne

Nella data simbolica dell'8 marzo i versi di oltre 250 autori cittadini sono stati "stesi" come lenzuoli in piazza Maggiore e 'battuti all'asta' a partire da un prezzo minimo di 10 euro. Il ricavato dell'iniziativa a favore della Casa delle donne per non subire violenza
Poesie in piazza per La Casa delle donne per non subire violenza. L´associazione ha realizzato per la giornata dell´8 marzo un allestimento in piazza Maggiore, angolo via D´Azeglio - via IV novembre, per mettere all´asta parole e rime di scrittori e scrittici bolognesi, professionisti e non, che hanno deciso di regalare le loro parole alla causa della lotta contro la violenza alle donne.
L´idea, lanciata dalle pagine de la Repubblica da Mattia Fontanella, intellettuale che da tempo propone iniziative letterarie cercando di legare gli autori alla città, ha coinvolto nelle settimane un piccolo esercito di "creativi". Sono così arrivati oltre 250 testi di cui una settantina di poeti e scrittori: da Stefano Benni a Gregorio Scalise, da Chiara Cretella a Michela Turra, da Margaret Collina a Maria Luisa Vezzali, da Mirella Grisleri a Carla Castelli, da Claudio Nunziata a Bruno Brunini, da Davide Ferrari a Maurizio Matrone, da Lella Costa (che manda un suo volume autografato) alla piccola Sara Via, di nove anni.
Il frutto di questa raccolta si è visto durante tutto il pomeriggio quando è stato possibile leggere i testi e i versi e, con una piccola offerta, portare a casa quella che si preferiva. Racconti brevi, poesie da stendere come lenzuola in piazza, dove sono stati tesi dei fili veri e propri, cui sono stati appese distese di fogli, come panni appena lavati. Ogni testo poteva essere acquistato al prezzo minimo di 10 euro. Con un banditore d´eccezione: il comico Giobbe Covatta.
"Un prezzo equo per «comprare» un pezzo di libertà, perché la libertà è difficile e richiede impegno, presenza, costanza. E, ancora, consapevolezza, senso di responsabilità. Capacità di confrontarsi, fino in fondo, con i problemi della società, della comunità in cui viviamo. Con i problemi tutti: anche quelli più scabrosi, che si tende a rimuovere. Come la violenza sulle donne, contro le donne" spiegano all´Associazione.
Oltre a trovare il sostegno delle istituzioni cittadine, la Casa delle donne ha avuto l´adesione dei quattro parlamentari Ds: Federico Enriques, Donata Lenzi, Walter Vitali, Katia Zanotti. "La causa non è solo giusta, è sacrosanta. La Casa esiste infatti dal lontano 1990 e fino al 2000 ha operato in convenzione con il Comune e la Provincia di Bologna. Da allora ha trattato ben 4000 casi di violenza sulle donne, la maggior parte dei quali avvenuti tra le mura domestiche. Ed è questa l´atroce realtà che emerge dai recenti dati pubblicati dall´ISTAT. Per questo avere un luogo dove confidarsi e dove rifugiarsi, se necessario, è di vitale importanza per chi subisce violenza e sopraffazione".
Vasco Errani, presidente della regione, punta invece l´attenzione sull´occupazione femminile: «In Emilia-Romagna più di 6 donne su 10 sono occupate, ben oltre gli obiettivi di Lisbona per il 2010. E il tasso di disoccupazione è circa la metà di quello nazionale ed europeo».

La Repubblica, 9 Marzo 2007

lunedì 5 marzo 2007

Sul Tempo Pieno a Bologna (stenografico)

INTERVENTO DI INIZIO SEDUTA SU: OFFERTA DI SCUOLA ELEMENTARE CON MODELLO ORGANICO DI TEMPO PIENO A BOLOGNA.

Consigliere FERRARI: Grazie, signor Presidente. Prendo la parola, come credo altri colleghi, sul tema di cui tante famiglie stanno parlando. dell’offerta di scuola elementare, con modello organico di tempo pieno a Bologna, come anche a Modena e in altre città d’Italia, anche Milano. Che cosa infatti si sta determinando in sintesi? Indirizzi tesi all’assegnazione degli organici da parte della Sovrintendenza regionale e dell’Ufficio Scolastico provinciale, rischiano di determinare una situazione nella quale a dir poco, a dir poco, non solo non sarà possibile far fronte ad un’aumentata domanda, ma nemmeno di consolidare le attuali offerte di tempo pieno, c’è chi addirittura dice: “Si determinerà la scomparsa dell’integrale offerta di scuola a tempo pieno”. Voglio essere sintetico ma netto colleghi: così non può succedere, non può succedere, non può succedere innanzitutto perché si va contro a quello che giustamente anche in queste ore è stato espresso dagli insegnanti della scuola bolognese e soprattutto dalle famiglie, dai genitori dei bambini frequentanti e dai genitori dei bambini che giustamente le famiglie vorrebbero frequentassero una buona scuola come la scuola a tempo pieno; così non può succedere perché questi indirizzi vanno esattamente all’opposto di quanto raccogliendo non certamente solo per via politica, ma raccogliendo un vastissimo movimento che in questi anni c’è stato, è scritto, lo voglio ricordare, a chiare lettere nel programma dell’Unione che regge il Governo e anche nel programma di Governo e anche nelle lettere di indirizzo del ministro Fioroni. Quindi è evidente che è necessaria una iniziativa che porti a una riprogrammazione di questi organici. Non sta a me definirla in concreto, ma credo che questa debba essere garantita ai cittadini di Bologna quanto prima, per questo io penso anche ad un’espressione del Consiglio comunale e, consapevole che alcuni colleghi di altri Gruppi hanno già predisposto una bozza e la presenteranno penso anche loro oggi, io intanto deposito l’ordine del giorno che ho scritto, ma voglio dire subito pronto a ritirarlo immediatamente nel senso che sarebbe probabilmente opportuno arrivare ad un unico testo nel più breve tempo possibile e sulla base delle bozze che vedo circolare tra i colleghi mi pare che questo sia possibile, mi pare cioè che non vi siano ostacoli politici o di contenuto tale da non arrivare ad un ordine del giorno comune. Intendo quindi consegnare alla Presidenza la bozza che ho preparato, ripeto, pronto immediatamente al suo ritiro se si determineranno e sono convinto che si possono determinare, le condizioni di un unico testo.

TEMPO PIENO: LA CITTA' SI MUOVE.

Le bruttissime notizie dalle scuole di Bologna, dove è reale il rischio di un grave arretramento sul versante dell'offerta di classi a Tempo Pieno ha indotto numerosi consiglieri del centrosinistra, Davide Ferrari, Valerio Monteventi, Roberto Sconciaforni, Maurizia Migliori, Roberto Panzacchi a prendere l'iniziativa.
Dopo un articolato dibattito, all'inizio della seduta odierna del Consiglio ed infine sui due ordini del giorno Monteventi, poi emendato da Ferrari, e Ferrari, si è giunti a veder approvato un buon testo unitario.
Il consiglio Comunale di Bologna ha valutato come, a fronte del rischio di vedere seriamente indebolita l’offerta e la qualità di scuola a Tempo Pieno, causa gli indirizzi nell’organizzazione degli organici che non permettono alle scuole ne di far fronte alla domanda delle famiglie, ne di consolidare le disponibilità in essere nel momento attuale,ed essendo-viceversa- consapevole dell’aumentata domanda di scuola e servizi educativi a tempo lungo da parte delle famiglie, alle quali va data una risposta della massima qualità,
ha riaffermato di considerare il valore pedagogico del modello di scuola a Tempo Pieno, quale si è negli anni affermato per la positiva valenza di educazione, istruzione e socializzazione che garantisce.
Del Tempo Pieno viene, dal Consiglio,riconosciuta la rilevanza sociale, oltre che educativa
Si riconosce infine la vasta pronuncia per il Tempo Pieno, che si è registrata negli anni scorsi, unitariamente da parte di centinaia di famiglie, oo.ss, associazioni, realtà culturali, e che, in queste ore si sta rinnovando, rendendo nota una posizione di forte preoccupazione e contrarietà alla situazione che sta determinandosi.
Per questi motivi si INVITA LA GIUNTA a esprimere la preoccupazione del Consiglio, interprete dell’opinione dei cittadini, all'Ufficio scolastico Regionale, e agli organi direttivi della scuola di Stato, chiedendo che vengano riprogrammate le disposizioni circa gli organici per permettere la salvaguardia della scuola a Tempo Pieno,
Ci si rivolge ancora alla GIUNTA affinchè essa esprima, d’intesa con le altre Amministrazioni Locali e alla Provincia, le opinioni e la richiesta suddette al Governo ed ai Parlamentari eletti a Bologna.