lunedì 23 ottobre 2006

Nell’ Ulivo. Da sinistra.

Nell’ Ulivo. Da sinistra.
Oltre i NO e i SI senza confronto.
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10 punti per unirci. E un 11°
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1.
Veniamo da percorsi ed opinioni diverse.

Ma, per noi tutti il progetto di un “partito dell’Ulivo” è un terreno di confronto decisivo, al quale non vogliamo sfuggire.
Alcuni di noi hanno dissentito o ancora dissentono rispetto a questa proposta ma affermano, nondimeno, che ora è il momento di una assunzione di responsabilità e non di trasformare in qualcosa di opposto ed alternativo ciò che non si condivide o che non si considera l’unica o la migliore strada.
Chi fra noi invece ha dichiarato sempre interesse e speranza per questo progetto ritiene che il punto sia oggi quello di allargarne con coraggio il raggio, di definirne i contenuti.
Serve quindi una dialettica diversa e moderna, non basata sui SI e sui NO preconcetti.
Chi ritiene di riferirsi ad idealità più forti, ad un impegno politico e civile maggiormente attento alla giustizia, alla pace, alla democrazia ha la possibilità e il dovere di portare un contributo a questo confronto, anzi di richiederlo, di esigerlo.
Ci riferiamo a quelle culture ed espressioni politiche che possono essere chiamate “le Sinistre” dei movimenti riformatori.
Sappiamo bene che non servono etichette ma prese di posizione concrete.
Tuttavia è indubbio che quelle sensibilità ed esperienze esistano e devono essere raccolte e interpretate.

2.
Cosa sono e dove sono le “Sinistre” dei movimenti riformatori.

Nei DS.
Tutti i DS sono un partito di Sinistra, per storia e per coscienza, modo di essere ora di centinaia di migliaia di aderenti.
C’è stata tuttavia nei DS una battaglia particolare, delle Sinistre del partito, negli ultimi congressi, che deve essere considerata- e per chi vi ha partecipato, rivendicata- in alcuni punti di fondo:
-l’impegno per realizzare e difendere il progetto di mettere in campo una coalizione larga di partiti e movimenti per battere la destra e cambiare davvero;
-l’affermazione dell’unità di tutta la coalizione e non solo dell’hard core riformista;
-l’aver detto no a dividere, con un muro ideologico, i riformisti dai radicali.
Ma, a nostro avviso, questa considerazione sarebbe insufficiente e illusoria se non facesse i conti criticamente
-con le ripetute sconfitte subite ai congressi
(per capire che c’è una identità di governo nel partito dei DS, non solo conformismo)
-con il voto degli elettori per l’Ulivo
(per capire che c’è voglia di parole nuove e di cominciare, più ancora che “ricominciare” a fare politica)
-con il risultato elettorale politico decisivo ma molto difficile
(per capire che al pettine sono venuti errori e manchevolezze di tutta la coalizione democratica. Non si può far finta di niente, se molto serie sono le insufficienze dei gruppi dirigenti,la campana suona per tutti, bisogna riflettere e capire che occorre un nuova strategia che colleghi consenso a cambiamento.)

Nella Margherita, nel mondo cattolico.
Così come molti cattolici sono impegnati nei DS, la Margherita non è un partito solo di cattolici. Esiste però una “sinistra oggettiva” nella Margherita e nei movimenti cattolici democratici, che ha propri nomi, linguaggi e pratiche.
Esiste riconoscibilissima e coraggiosa nella solidarietà e nella ricerca di pace.
Esiste anche sui terreni difficili della vita e della realtà delle diverse “famiglie” e dell’evoluzione dei comportamenti sociali.
Il punto sembra quello, oggi, di favorire una conseguenzialità maggiormente diretta fra scelta per i deboli, impegno sociale e scelte direttamente politiche e di promuovere, in forme originali, una nuova consapevolezza circa il rapporto fra politica, istituzioni e società.
Tanti hanno animato quelle realtà, significative e ricche di capacità di proposta, che hanno per anni prefigurato il “Partito democratico” reagendo con un lavoro di studio ed una maggiore ricerca di spessore e di interiorità culturale a un processo regressivo di negazione della speranza presente anche nel mondo ecclesiale, e tanti sono chiamate a scendere in campo, con più esplicitezza, proprio oggi che il Partito Democratico si vuole costruire.
La sua nascita positiva amplierebbe molto il senso del loro impegno civile, mentre il suo fallimento segnerebbe una sconfitta, o quantomeno determinerebbe un terreno più arido e infertile, anche per le esperienze che sono cresciute in una dimensione prevalentemente sociale o culturale.

Nei movimenti della Società civile e del mondo del lavoro.
E’ qui il punto più rilevante.
Guai a chi dice “i movimenti passano, i partiti restano”, comunque sia posizionato nella complessa geografia del centrosinistra.
Bisogna essere in sintonia con quella giusta opinione presente nei movimenti che chiede, insieme, di stare nel processo unitario e di portarvi contenuti più forti e caratterizzati.
Basta pensare al movimento che ha condotto e vinto la battaglia per la salvezza della Costituzione: non c’è stata al suo interno una volontà di passato ma una più chiara avvertenza sulla posta di gioco. Da qui è venuta la sua caratteristica di tenere assieme uno spirito non minoritario, la necessità di coinvolgere strettamente le grandi forse del centrosinistra, con il richiamo a valori forti ed ad una pratica intransigente sui contenuti di democrazia.

Non si tratta però di esportare nel nuovo più grande contenitore “democratico” le cellette delle "sinistre" presenti ora nei contenitori separati o di federarle.
Bisogna tentare qualcosa di molto più significativo.
Cercare di essere lievito e reagente perché le grandi culture della democrazia siano interpellate a riproporsi, a riformularsi, nella nuova forza.
Si deve incidere sull’interezza del processo di nascita dell’Ulivo, non su suoi settori autolimitati.

3.
Nessuno oggi può conoscere esattamente quale sarà l’approdo del progetto “Partito Democratico” ma
- nessuno può pensare di essere spettatore.
- nessuno può pensare sia solo un puro fattore omologativo.
Nasce anche dalla specifica storia italiana e sottolinearlo non è senza conseguenze, anche per i contenuti programmatici che è necessario si dia e per i quali occorre battersi.

Senza Moro e Berlinguer nessuno può capire di cosa stiamo discutendo.
Senza quindi il disegno di due lunghi cammini tesi all’inclusione sociale e generazionale, senza una concezione forte della democrazia, popolare e ispirata a partecipazione.

Senza una forte ripresa della tradizione di lotta civile e sociale ed insieme di governo, incarnata per molti decenni dal Partito Socialista, di Lombardi e De Martino, non si comprendono oggi questioni attualissime come la laicità e il valore universale della democrazia.

Senza il pensiero repubblicano, da Mazzini in poi non ascrivibile al liberalismo ma tendente all’Associazione ed ad una vita politica consapevole e collettiva, non è possibile riconoscere la radice, in Italia, del senso dello Stato democratico e del rapporto, basato sui diritti e sui doveri, fra i cittadini ed istituzioni.

Il nuovo partito unitario non deve nascere “contro” la storia dei grandi movimenti riformatori e certamente non contro la Sinistra italiana.
Sentiamo in questo ribadimento il nostro più forte carattere.

Per questo , per prima cosa, preferiamo dire “Ulivo”, non solo “Partito Democratico”, un nome che, isolato, richiamerebbe altri continenti e visioni importanti ma oggi non sufficienti della libertà politica e della emancipazione sociale.

4.
I compiti e l’ iniziativa
di chi, come noi, si richiama ad un forte contenuto di valori di democrazia e giustizia sociale sono duplici:
--da un lato contribuire a un chiarimento sui punti di fondazione etici e sociali del nuovo “Ulivo” e
--dall’altro lato impegnarsi perché si promuova un ampio e vero processo costituente dell’Ulivo, con modalità di partecipazione vaste e antitetiche all’appello ai gia’ convinti. E’ qui, non nel ritrarsi, l’antidoto migliore al rischio di veder nascere una forza moderata e fatta solo di ceto politico.

5.
Alcuni punti di riferimento, non solo valori

Possiamo ragionevolmente convenire che una forza politica che abbia la pretesa di essere insieme per la democrazia e continuatrice dell’opera di avanzamento e rimodulazione sociale operata dai grandi movimenti riformatori, dovrebbe partire da almeno quattro principi:

A) La libertà.
L’esperienza storica ha dimostrato che una società socialmente avanzata non può che essere democratica, e cioè caratterizzata dal pluralismo politico ma non solo, dalla partecipazione, da un effettiva possibilità di comunicazione ed espressione creativa, dal decentramento e dal rispetto integrale dei diritti umani fondamentali.
La storia ha dimostrato che la libertà, individuale ma per tutti, può mettere radici solo in un quadro economico pluralistico e, tuttavia, riesce, via via , a realizzarsi effettivamente solo in società che vedano una democratizzazione e regolamentazione dell’economia di mercato, con una forte componente di perequazione sociale.
La difesa e, meglio, lo sviluppo dei diritti di libertà non può non prevedere una particolare attenzione alla laicità dello Stato, in Italia ed in Europa.La laicità è garanzia della Repubblica, della sua possibilità di essere la patria di tutti i cittadini italiani, dovunque siano nati, qualunque sia la loro fede religiosa.
Ogni partito ha il dovere di affermare il valore della laicità.
Certamente il nuovo partito dell’Ulivo, nel quale lavoreranno assieme coscienze individuali e riferimenti culturali collettivi molto differenti.
La Repubblica laica, secondo la Costituzione, si avvale del contributo ideale e sociale di chi segue principi di fede e ne difende la libertà, secondo un principio di pluralità e non di reciprocità.
E’ giusto chiedere il rispetto dei diritti dei cristiani, in ogni paese del mondo, ma non si può ammettere di ridurre, o di modulare, qui i diritti di cittadini di altre fedi religiose.
I diritti fondamentali sono universali e non trattatibili o divisibili.
L’iniziativa politica ha una sua natura propria e specifica, vive della ricerca del consenso e della condivisione, può quindi essere il luogo della democrazia più adatto a realizzare
Isole per “stranieri morali”, istituzioni, temi, legislazioni, dove si registri rispetto e condivisione anche fra culture diverse e comuni passi in avanti.
La natura della politica è particolarmente adatta per costruire e difendere principi di comunità e di coesione sociale anche se fondati su una “identità di Arcipelago” e non sull’antico principio di “un popolo, una cultura, uno stato”.
Questo principio non può non avere come corollario la ricerca dell’unicità di razza e di sangue. Una ideologia che ha portato l’Europa ed il mondo sull’orlo del baratro, causando il più orrendo crimine della storia, proprio in uno dei cuori più avanzati, per civiltà e ricchezza della civiltà umana.
E’ quindi da meditare, con avvertenza e senso di pericolo, ogni rivendicazione di segnare una tradizione, una religione a fondamento dell’Italia o dell’Europa.
Proprio l’eredità più ricca della nostra tradizione e della religione che ha tanto contribuito a disegnarla, ha permesso di andare oltre, di volere la libertà dei diritti e dei doveri uguali per tutte le donne per tutti gli uomini.

B) L’eguaglianza.
Una forza di democrazia moderna e non formale non può che essere schierata a difesa degli interessi materiali e morali del mondo del lavoro.
Su questa base va ricercata una convergenza strategica con i ceti medi più interessati alle dinamiche di democratizzazione e innovazione. Una particolare attenzione va dedicata alla tutela dei segmenti più deboli del lavoro.
L’eguaglianza si traduce sul piano giuridico nella parità davanti alla legge, sul piano economico-sociale in una politica di equità, cioè di giustizia sociale e di empowerment dei lavoratori e di assunzione concreta di cittadinanza dei ceti emarginati.
Nei rapporti tra i generi, il principio di eguaglianza implica la pari dignità e l’affermazione del valore della diversità.
Per liberare la forza propulsiva della differenza femminile bisogna promuoverne il protagonismo politico e sociale, anche con azioni positive (come ad esempio, le ‘quote rosa’ in politica e sul lavoro), che correggano le discriminazioni prodotte dalla difesa del predominio maschile.non si tratta di creare o proteggere ghetti di genere ma di capire che il punto di vista maschile , da solo, non ha capavcità di leggere e guidare le trasformazioni sociali.

C) La solidarietà.
Ci sentiamo eredi di una serie di tradizioni solidaristiche, umanitarie e universalistiche, comprese quelle socialiste, associazionistiche e cristiano-sociali. E’ perciò naturale chiedere cheil nuovo Ulivo nasca per impegnarsi per difendere e sviluppare lo stato sociale, l’occupazione e la dignità del lavoro. Ma solidarietà significa anche perseguire un rapporto diverso con i paesi del Terzo Mondo, i cui interessi non sono affatto coincidenti con quelli dei lavoratori del mondo sviluppato. Ad esempio, occorre mettere in discussione, in primo luogo, la politica protezionistica degli USA e dell’Europa, che costituisce uno dei principali fattori di destrutturazione delle economie e delle società dei paesi poveri.
Una conseguenza dell’impostazione universalistica e umanitaria è anche il perseguimento della pace come sistema di governo “universale”, come obiettivo realistico e comunque urgente per un’umanità ormai in grado di autodistruggersi.

D) Lo sviluppo umano.
I movimenti di riforma sociale sono nati dal processo di modernizzazione industrialista, come reazione difensiva alle sperequazioni e all’alienazione che la società capitalistica produceva. Ma libertà, eguaglianza e solidarietà sono prodotti dal pensiero e dall’azione degli uomini e delle donne non solo e non tanto necessità poste per sempre dalla storia, “prodotti” che costano e richiedono conoscenze e risorse.
Perciò la sinistra è per definizione progressista. Ma il progresso non può più essere rozzamente inteso come incremento delle quantità delle produzioni, e nemmeno necessariamente come sviluppo economico, e ancor meno con la liberalizzazione ed estensione dei mercati.
Anzi il rischio è quello di vedere compromesso il progresso, oggi, nell’era del massimo e globale svilupppo.
E’ per questo motivo che si allarga la reazione ai mali della globalizzazione nelle forme gravi e sbagliate del rifiuto del progresso.
E’ quindi urgente e richiede grandi lotte e diffuse esperienze di governo trasformatrici far sì che i processi di globalizzazione diventino uno strumento di progresso per l’intera umanità, solo se governati dalla democrazia e dalla politica e sottratti al dominio incontrollato delle forze economiche.
Bisogna concepire lo sviluppo come crescita umana, incremento della capacità di soddisfare i bisogni fondamentali e della libertà di perseguire un autonomo progetto di vita. Quest’accezione dello sviluppo comprende in primo luogo un armonico rapporto con la natura.
La Terra degli uomini rischia la morte, ma un altro mondo deve essere possibile, deve essere possibile crescere senza distruggere, democratizzare la democrazia e globalizzare i diritti, progredire non regredire.


6.
La missione dell’Ulivo è alta. Serve un vero processo costituente.

Se i riferimenti sono ineludibilmente alti, e se il nostro compito è quello di considerarli da un punto di vista di governo e non solo di critica del reale, per costruire l’Ulivo non bastano assemblaggi che, anche a prescindere dalle buone intenzioni, finirebbero per essere basati su ideologismi preconcetti, su liberismi ormai alle nostre spalle, su “tagli delle ali” e restringimenti del campo di influenza della nuova grande forza che si vuole costruire.
Bisogna portare le grandi esperienze della Sinistra italiana di oggi in questo nuovo campo, che sarà comunque quello più vasto nel centrosinistra.
Così l’Ulivo potrà essere una storia lunga e feconda di futuro e, nell’oggi, essere la forza trainante e che riesce a tenere unita la coalizione e a reggere la prova del governo.
Per questo è importante avere i contenuti per dialogare anche con le Sinistre più radicali.
Non è utile rifugiarsi “più oltre”, invadere il loro campo- per esempio costruendo nuove ipotizzate forze politiche “più a sinistra”, con personale politico proveniente dai DS.
Anzi questa scelta probabilmente renderebbe più difficile il confronto, potrebbe contribuire a far mancare una forte interlocuzione fra riformisti e radicali.

Il progetto dell’Ulivo può realizzare, al suo compimento, uno strumento utile per ampliare la libertà, l’eguaglianza, la solidarietà, lo sviluppo umano?
E a quali condizioni?
Dopo il recente Seminario di Orvieto possiamo dire che finalmente è partito un dibattito sul partito democratico.
Ma è ancora molto ristretto, non sembra ancora aver raggiunto il livello necessario alla promozione di una Costituente e sembra più interessato ai Tempi e alla Struttura del nuovo partito.
Il “come” è importante. Anche per noi, soprattutto perché non vogliamo che una stagione di movimenti per la riforma della politica vada perduta.
Ma e’ ancora più importante il “perche’” del nuovo partito, gli assi di riferimento valoriali, e i suoi obiettivi politici.
Abbiamo cercato di richiamare i valori, ora, per iniziare a discutere gli obiettivi bisogna innanzitutto definire la priorità dell’oggi.

7.
L’Oggi. Sostenere il governo, prima priorità.

Abbiamo vinto. Dobbiamo governare.
Abbiamo vinto per poco. Serve una forte capacità di coinvolgere ed allargare il consenso.
Ma innanzitutto con le idee e la presenza nella società, non con il posizionamento nella scena politica.
Serve una iniziativa nella società.
Occorre realizzare e implementare il programma dell’Unione. Bisogna chiarire sempre per chi si governa, far parlare i bisogni, portarli ad avere voce.
E’ necessario agire nella società civile per campagne che pongano le questioni di riforma e sorreggano poi l’azione del Governo.

8.

Ma sorreggere un Governo non basta, bisogna governare. E allora bisogna chiarire per che cosa si governa. I “Perchè” dell’Ulivo.

8.1
Perché..è giusto porre la questione Pace.
Le politiche di pace, di ripudio della guerra, i valori della nonviolenza sono del tutto attuali. Oggi di più e non meno.
Sono il vero discrimine.
Una vera alternativa alla guerra fra le civiltà e le culture è possibile oltre che necessaria.
Dire Occidente non è sufficiente, e, quasi sempre , è sbagliato e fuorviante.
Ma non si può eludere il nodo di tracciare una strategia di pace a partire dal ruolo dell’Italia, la sua storia e collocazione.
Europeismo e Mediterraneo, allora, non isolazionismo.
Il Partito del Socialismo Europea e l’Internazionale Socialista sono riferimenti importanti per questi motivi.
Da un lato la Margherita deve prendere atto non solo che i DS non vi rinunceranno ma che nessun progressista in Europa potrà sedersi a lungo in banchi intermedi, dall’altro lato, bisogna, tutti insieme, chiarire su cosa e a chi deve allargarsi la famiglia progressista.
Molto si cita, a questo proposito, il Partito democratico americano, ma, almeno con la medesima intensità, bisogna aprire la sinistra nata in Europa al presente di grandi processi di trasformazione che avvengono in nazioni rilevantissime come il Brasile, il Sud Africa, l’India.

8.2
Perché..è giusto porre la questione Ambiente.

Il punto di irreversibilità nelle condizioni di degrado della vivibilità del pianeta è vicino.
Pure sembra che nessuno voglia fino in fondo occuparsene.
La politica, rimpicciolita dalla globalizzazione, deve e può rinascere se afferra i nodi globali, non li elude.
Così per il nodo fra pace, salvaguardia del pianeta e sviluppo
Ecco un tema sul quale misurare chi è moderno e progressista e chi resta indietro.
Al Gore è un buon esempio.
Non abbiamo molto tempo. Dobbiamo incominciare a fare sul serio.
Per la pace e per l’ambiente, per un vero e equo sviluppo bisogna promuovere una trasformazione delle Istituzioni Economiche Internazionali (Fondo Monetario Internazionale, Banca Mondiale, WTO, organizzazione del commercio internazionale) che modifichi l'attuale configurazione in cui il meccanismo di voto è basato su indicatori di ricchezza economico-finanziari e dà, di conseguenza un peso politico fortissimo e decisivo ai Paesi immensamente più ricchi.
Paesi e poteri che sono spesso in condizione di imporre le loro politiche economiche alla maggior parte dell'Umanità. Da questo discendono scelte internazionali penalizzanti per lo sviluppo del mondo intero, che hanno causato, tra le altre cose, aumenti dei flussi migratori. In questo contesto un ruolo decisivo può essere svolto dall'Unione Europea.
Ma una politica per l’ambiente si costruisce anche nella dimensione locale e con l’educazione ed il sostegno a comportamenti personali consapevoli sui consumi, il quotidiano , i rifiuti, la mobilità.


8.3
Perché…è’ giusto porre la questione Sociale.

Bisogna realizzare una politica economica e sociale dell’Ulivo. Un’ Ulivo che governa.
Non ci si può fermare ad una discussione che si divide fra liberalizzatori anticorporativi e difensori dei diritti di ogni lavoratore nel suo lavoro.
Questi punti di vista propongono naturalmente obiettivi del tutto positivi ed ineludibili ma non realizzabili, se considerati isolatamente.
E’ necessario portare avanti l’economia dell’Italia, e tutti i suoi aspetti di qualità e di futuro per garantire il rispetto concreto dei diritti di chi lavora e per liberare forza di impresa e creatività nel lavoro.
Ci vuole una politica economica seria, espansiva e qualitativa
Questo chiede il movimento sindacale confederale.
Per venire all’attualità è’ l’unico modo per arrivare, dopo una legge finanziaria equa ma sofferta, ad una più generale politica economica del Governo che sia strategica e condivisa.
La Sinistra nei momenti più alti della sua storia si è fatta interprete della domanda di sviluppo, e quindi di giustizia sociale, dell’intero paese.

Oggi i capitoli di questo tema sono la scelta di un modello di alta qualità, per l'Italia, con l'affermazione della priorità dell'investimento per "Ricerca e sviluppo", e la realizzazione di un sistema per una "Economia della conoscenza".
Ma altrettanto importanti, in un modello qualitativo, sono la "Democrazia economica", nelle forme di impresa, con un forte ruolo della Cooperazione, reso però più limpidamente differente per obiettivi e funzionalità non solo per forma giurica rispetto all'impresa privata, e del Terzo settore.
La precarietà del lavoro come sistema non ha messo al riparo l'Italia dalla concorrenza dei nuovi grandi paesi in sviluppo e ha dequalificato il lavoro.
Oltre che ingiusta e negatrice delle prospettive di vita dei giovani e delle famiglie, la precarietà è anche incompatibile con un modello di sviluppo rinnovato e vincente.
La sicurezza sul lavoro è tornata maggiormente all'attenzione, per le lotte delle organizzazioni sindacali, per l'evidenza di terribili eventi luttuosi, per le ripetute dichiarazioni del Presidente Napolitano.
Ma ancora è tollerata una grande negazione del fenomeno dei morti e degli infortunati, della realtà di luoghi di lavoro e intere catene di produzione organizzate , come sulla precarietà o sul "lavoro nero", su condizioni di insicurezza strutturali.
La lotta per la sicurezza del lavoro deve essere un assoluto e distintivo impegno per l'Ulivo, dal governo e nella società.

Consideriamo ancora arretrato il dibattito sull'economia.
Si mantiene ancora, sia pure con primi segnali di indebolimento, una egemonia di teorie ormai obsoletre, fondate sulla affermazione dell'automaticità delle forze del mercato rispetto ad ogni altro intervento possibile.
E' questa prevalenza che ha influenzato, causando errori seri, i processi di privatizzazione.
Essi non sono l’inevitabile panacea dei mali dello sviluppo. Dipendono dalla geometria delle forze in campo e dall'effettiva funzionalità che dimostrano, non da principi inderogabili. Oggi bisogna cominciare a dire che dovrebbero avere luogo solo ove realmente necessari (cioè nei settori e nei servizi caratterizzati dalla presenza di concorrenza e non di monopolio né di oligopolio, perché in tali caso ci si limita a regalare public utility ad un monopolista privato) e che occorre valutare le esperienze positive, ma anche quelle negative, delle privatizzazioni avvenute, in Italia e nel mondo.
Un tema appare sempre più cruciale per definire identità e funzione storica di una forza politica democratica:
difendere il welfare state mantenendo il suo ruolo storico di tutela delle fasce più deboli e dei lavoratori.
Il welfare ha bisogno di una politica di costruzione della ricchezza che metta in discussione il come ed il cosa produrre e di politiche di redistribuzione della ricchezza prodotta che mantengano il punto dei diritti universali della persona, in particolare ad una cura ed assistenza garantite, nell’ informazione sulle opportunità, nella quantità e nella qualità.

Un rinnovato intervento pubblico, per lo sviluppo e la redistribuzione sociale, ha bisogno di risorse ingenti, proprio mentre deve essere affrontata con rigore, per svolgere un ruolo di indirizzo a livello europeo,il peso del debito pubblico.
Oltre alla lotta agli sprechi, certo non da sottovalutare, ma che non può essere una agitazione retorica, emerge sempre più il tema della fiscalità.
Quanto fisco è necessario, quanto è sopportabile?
L'equità fiscale e la lotta all’evasione non possono essere, nelle condizioni date, un'opzione negoziabile.
Nessuna raccolta dai cittadini può essere data per scontata senza una battaglia politica che parta da una ferma definizione degli scopi.
Non ci sono infatti più possibilità di misure compensative basate su inflazione e redditività del debito. La conflittualità tenderà quindi ad essere alta.
Il problema è rendere esplicite le mete del rigore e della raccolta delle risorse per costruire consenso e reggere la prova.


8.4
Perché….è giusto porre la questione del diritto alla conoscenza,
per una grande quantità di uomini e donne di qualità.
Formalmente, nel campo democratico, si può dire in tutto il mondo, è affermata la primaria rilevanza della ricerca scientifica, della formazione, della scuola.
Eppure sembra essersi fermata la grande spinta ad innalzare la scolarità di base e superiore.
Per molti sarebbe finito, con il '900, il secolo della scuola.
E la ricerca, sia pure in maniera disomogenea nei vari paesi, non si afferma come un valore fondante del futuro della crescita.
Anche e soprattutto qui si registra l'insufficienza dell'impostazione liberista. Il suo risultato, nel medio periodo, è infatti una compressione della mobilità sociale ed un restringimento dell'utilizzo del capitale umano.
Serve una svolta. Deve essere garantita da una scelta pubblica. Anche nel nostro paese.
Servono risorse, investimenti da mettere al riparo della riduzione del debito.
Investimenti nella scuola e nell'università, dove ormai rimane poco oltre alla spesa per il personale- che peraltro qualcujno insiste a chiedere che venga ridotta invece che riqualificata.
E nella ricerca, per garantire un equilibrio fra il sapere di più lungo valore e il sapere immediatamente applicato all'innovazione produttiva, per altro entrambi insufficientemente promossi.
Il mondo dell'economia va coinvolto in questo grande investimento. Senza ottenere la partecipazione delle imprese non si avranno mai risorse sufficienti , finanziarie ma anche umane, di esperienza.
Ma non si può attendere il privato o delegargli la funzione di porre la conoscenza a fondamento del patto sociale, della ripresa italiana.
Solo l'intervento pubblico può essere il volano di questo investimento, che deve avere dimensioni davvero significative.
Se si raggiunge la consapevolezza del problema si comprende come la scuola pubblica mantenga ed anzi rafforzi il suo ruolo.
Un ruolo di riferimento di un sistema formativo più grande e integrato, certamente, ma comunque più urgente e necessario per la coesione di un paese multiculturale e, per la prima volta nella storia, maggiormente diviso nelle speranze di progressione sociale di quanto non fosse per le generazioni precedenti.
Non si può accettare l'aumento delle differenziazioni culturali e sociali. E' accompagnare il tramonto delegare la funzione formativa ad un mercato che non può, prima ancora di non volere, assolverla. Non serve solo un'eccellenza, un ceto dirigente, serve ad un paese moderno una grande quantità di uomini e donne di qualità. Senza la lungimiranza nell'investimento per la scuola pubblica l'Italia non ha futuro.

8.5
Perché...è giusto porre la questione dei modi della politica.

La vita dei partiti, anche di DS e Margherita, pur diversissimi, è largamente inaridita.
Le maggioranze appaiono spesso supportate da un consenso che parte anche da posizioni di rendita e non dalla forza delle idee.
Sempre più spesso la credibilità della persona dei leaders sembra l’unico oggetto su cui rimane una scelta da esercitare, non solo ai cittadini ma anche agli iscritti.
Ma anche componenti di minoranza- chiuse e tutte interne- non sono una alternativa e spesso si sono negate ad una trasformazione del modo di fare politica con più rigidità e non meno protervia delle strutture ufficiali.
Certamente occorreranno Primarie regolate e a parità di risorse garantite, per formare una nuova dirigenza.
Ma non si vive di sole Primarie. Anzi.
Se non si realizza un partito moderno e partecipato anche le Primarie possono accompagnare degrado e prevalenza di censo.
In ogni caso una riforma della vita interna dei partiti, anche per garantirne efficacia e trasparenza e per ridurne costi impropri ed oppressivi, non può darsi senza una riforma elettorale.
Bisogna superare la grave legge attuale che ha teso a chiudere la grande questione della riforma della politica, apertasi dopo la caduta del muro di Berlino e dopo “tangentopoli”, con una salda ed indecente unione fra potere partitico restaurato e rinforzato e oligarchismo decisionale.
Su questo tema bisogna unirsi subito e unire tutti coloro che con buona volontà vogliono cambiare, per ridare potere di scelta ed indirizzo ai cittadini.


9.
Un partito? E quale?

Sembra naturale che la nuova forza politica viva di forme di partecipazione, elaborazione e decisionalità articolate nei tre corpi costituiti dagli iscritti, dagli eletti nelle istituzioni e dai cittadini elettori.

Sembra però opportuno che ai diversi corpi corrispondano funzioni e decisioni differenti( per esempio che una spiccata vocazione programmatica sia assegnata al corpo degli eletti) e pare necessario che venga assicurato il principio democratico di “una testa un voto”.
Altrimenti non sarebbe garantita una dimensione ampia e partecipata e una presenza territoriale ricca e strutturata.
Ma ci pare evidente che dovranno esserci forme di integrazione graduale dei partiti attuali e che non sia pensabile, ne auspicabile, una loro scomparsa ad un’ora x.
Vi sono ragioni storiche, abitudini ed attitudini diverse nel fare politica irrinunciabili per decine di migliaia di militanti.
Vi sono persino questioni patrimoniali che certo non saranno risolte in un giorno.
Tuttavia se è necessario riconoscere distinzioni di vocazione e di funzione non si dovrà perpetuare in correnti separate, senza reale e verificata identità politico-programmatica, ciò che oggi già esiste nelle presenti forme partito.
Soltanto l’afflusso di migliaia di nuovi “ulivisti” potrà tenere assieme il nuovo corpo politico e un simile ingresso avverrà e si renderà stabile solo se ognuno potrà contare uguale. Se invece chi già c’è pretenderà forme diverse di decisione è evidente che chi giunge non rimarrà a lungo.
Rischio altrettanto grave è però pensare di sostituire il “vecchio” centrosinistra con un modello basato sul rapporto diretto fra un leader elettorale e un indistinto “popolo delle Primarie”.
Ciò porterebbe ben presto al contrario di quello che si vuole: ad una leggerezza fatta solo di comitati elettorali, organizzatori delle risorse e del consenso e ristretti ed asfittici nella promozione politica.
Le Primarie sono un metodo utilre e comunque oggi probasbilmente necessario per scegliere le massime leadership, per costruire una nuova classe dirigente legittimata.
Ma se dovessero diventare l’unica forma consolidata e stabile di partecipazione si accentuerebbe il distacco fra cittadini e politica.
La partecipazione dovrà avere il potere di decidere non solo i vertici ma anche i contenuti, i programmi.
Bisognerà costruire forme di decisione,sedi, congressi di programma, per determinare democraticamente gli obiettivi da perseguire
Servono quindio strutture di bas, territoriali e /o basate su affini esperienze e conoscenze, e federazioni delle strutture del partito di coordinamento, iniziativa e servizio.
Funzioni di servizio alla cittadinanza, ad iniziare dalla diffusione di informazione e conoscenza, dovranno essere comunque compito ad ogni livello delle strutture del partito, accanto a quello della discussione politica e della preparazione ai momenti di scelta del programma e della leadership.
Non ci sono risposte precostituite su come organizzare una buona politica, l’ascolto e la socializzazione delle esperienze saranno i metodi migliori per individuarle.
Sono invece ben noti i guasti della cattiva politica, gli apparati costosi e non visibili, ben peggio del vecchio funzionariato, la scarsa attendibilità dei tesseramenti e la costruzione del consenso solo accanto a centri e persone di potere ecc ecc.
Serve più politica, non meno, per porvi rimedio, la passione dei grandi temi, delle grandi motivazioni, (il Globale) e lo studio, la discussione comune sulla realtà nella quale si vive,(il Locale).
La dialettica “Globale/Locale” dovrà riflettersi anche nel tentativo necessario di allargare gli interessi della politica ai temi del quotidiano, il limite sarà quello del rispetto e della laicità non quello della mancanza di cura.
Per questo “Globale/Locale” per noi significa anche “Generale/personale”.
La riforma della politica non la potremo mai fare da soli. Il rinnovamento dovrà contaminare tutto il sistema politico.
E la Riforma non potrà essere solo “autoriforma”.
E maturo il momento di dare trasparenza e validità certa e legale ai divetrsi momenti della vita di ogni partito anche con lo strumento di una legge.La Costituzione lo prevede, lo si è evitato per il timore, a lungo fondato, di un rischio autoritario e poi per la forza delle cattive abitudini.
L’Ulivo dovrà porre il tema accanto a quello, che chiarisce e completa, di una valida riforma elettorale.


10.
Concludendo….

Non bastano i NO e nemmeno i SI’ preconcetti.
L’impegno che ci diamo è conseguentemente la promozione del confronto, a partire dai grandi temi che abbiamo qui nominato.
Sulle premesse che abbiamo citato si può pensare ad esprimere un giudizio sul futuro partito.
Non è vero che bisogna sempre e solo scegliere fra omologazione e minoritarismo.
La cultura della democrazia, il mondo del lavoro, il protagonismo delle donne , la necessità di futuro dei giovani richiede e può realizzare qualcosa di più.

Si può scegliere l’ Ulivo solo così,a queste condizioni e con questo metodo: una scelta di unità per dare una politica alle culture della dignità umana, per impegnarsi per un futuro possibile, un mondo respirabile, il diritto a valere quel si vale.

11.
E l’11° punto.Cominciamo con il fare dei prossimi congressi di DS e Margherita delle vere assise programmatiche.

I prossimi congressi dei DS e della Margherita saranno un momento importante e un appuntamento ineludibile per tutti “quelli dell’Ulivo” anche per coloro che non fanno parte di questi partiti.
Chiediamo che siano congressi su una scelta ma anche e soprattutto su un programma.
Un programma che sia possibile discutete ed emendare.
Non da soli ma con i cittadini.
-Altrimenti le maggioranze chiederanno un voto a scatola chiusa e si ritroveranno a gestire tutti i problemi di fondare un nuovo soggetto politico senza chiarezza.
-Altrimenti le minoranze, pensiamo ai DS dove il confronto è più evidente sul NO e sul Si al Partito democratico, cercheranno una rendita, piccola e grande, basata sui voti di rifiuto della proposta rinviando a dopo la sua decisione su dove stare.
Un congresso programmatico vero e proprio non è nemmeno soltanto un”congresso a tesi”, inevitabilmente precostituite e dove la polemica si concentrerebbe nella conta su un punto o due.
Di nuovo, inevitabilmente, in modo politicistico.
Un congresso programmatico deve essere una grande iniziativa di partecipazione, dove contino percorsi di genere e di generazione, del territorio e delle competenze.
E dove sia già è possibile lavorare assieme, liberamente con chi ha contributi da portare anche se ha una tessera di un altro partito dell’Ulivo o, soprattutto, si riconosce in una militanza ideale senza appartenenza.

No a “farsi da parte”, no a delegare, serve “un impegno nuovo”.
Le culture delle Sinistre del riformismo, a cominciare da quella Socialista e del Lavoro che è radice nei DS, ma importante per tutto l’Ulivo, non possono non esserci se nasce il Partito dell’Ulivo.
L’Ulivo ha bisogno di coscienze vigili, di vedere le sue energie morali ed intellettuali, che si ritengono e forse sono, più combattive non per forza ghettizzate o minoritarie.
Bisogna esserci e aprire il confronto, coinvolgere chi ha idealità e posizioni simili che chiama, magari, per storia e cultura , con nomi differenti.
Soprattutto bisogna raccogliere la partecipazione di chi è fuori dai partiti esistenti ma vuole fare politica, seguendo idealità, valori, voglia di giustizia, e vuole farlo in un contesto vitale, “democratico” appunto.


anna rosa almiropulo, vincenzo annino, valerio benuzzi, francesco domenico capizzi, giancarla codrignani, rosanna facchini, davide ferrari, giorgio festi, ferruccio giacanelli, giuseppe giliberti, laura governatori renzoni, marco mazzoli, massimo meliconi, piero mioli, werter romani, gregorio scalise, antonio accattato, francesco annino, antonella babini, davide barbieri, massimo borioni, matteo brambilla, santino bravo, maria busi, maria teresa cacciari, nino campisi, rocco cardamone, riccardo casadio, renzo cingolani, "nino" luigi colombari, ludovico copalea, giuseppe d'agata, marica de alessandri, mauro della casa, carlo degli esposti, alessandro fabbri, andrea federici, glauco ferrari, giuseppe ferraro, claudio gandolfi, gianni ghiselli, francesco giampietro, maurizio giordani, giovanni grandi, francesco guerra, maurizio indirli, antonio lo vallo, fiorenzo malpensa, giacomo manzoli, eugenio mastrorocco, patrizia monti, tullia moretto, giorgio nuvoli, elena pedrini, luisa rossi, paolo rossi, giovanni rossini, etienne salvadore, pier paolo salvarani, paolo staffiere, giuseppe samoggia, lella torraca, roberto venturi, daniela zoboli fini…………

Per discutere, per aderire, per lavorare insieme: ulivo.sinistra@yahoo.it