mercoledì 2 maggio 2012

Mafai

Ezio Mauro, al momento della scomparsa, ha definito Miriam Mafai: "fortissima e dolcissima". Una sintesi azzeccata. Aggiungerei un terzo superlativo. Miriam era acutissima. L’acutezza può essere strumento di bene e di male. Ma al livello che lei possedeva raramente può accontentarsi della conservazione, degli interessi dei potenti, del servizio allo status quo. E infatti Mafai , in una vita lunga e piena di opere, ha seguito i percorsi opposti. Era figlia di due pittori, Antonietta Raphael e Mario, il leader della cosidetta “Scuola romana“, che il critico Roberto Longhi chiamò: “la scuola di via Cavour“. Lì era la casa-studio dei Mafai, al n° 335, poi abbattuta dagli sventramenti dell’urbanistica mussoliniana, lì crebbe Miriam, con le due sorelle Giulia e Simona. Interessa qui notare come la loro pittura fosse, insieme, figurativa e corrosiva, popolare nei temi e nella leggibilità, ma drammaticamente espressiva e quindi tutt’altro che pedagogica, con tratti di assoluta originalità. Inafferabile, dunque, fuori dagli schemi. Qualcosa di questa duplicità passò nel carattere di Miriam, o almeno questo noi leggiamo nei tratti della sua professionalità e del suo percorso politico. Le Leggi razziali costrinserò anche lei all’umiliazione di dover abbandonare la scuola pubblica. Qui la radice di una opposizione al dominio fascista, il rigetto di una ideologia di violenza e discriminazione ed anche una visione segnata dal disincanto sulla reale qualità del sentimento popolare. L’Italia profonda non abbracciò l’antisemitismo ma non vi si oppose, la separazione, anche quella visibilissima dei ragazzi e delle ragazze dai loro coetanei, dalle loro classi, passò come acqua sulla pietra. E’ forse qui il germe di una diffidenza di Miriam verso l’utopia, vista a nudo, nella smentita di una sua obiettiva possibilità di realizzazione. L’utopia per la sua generazione fu il richiamo di un lontano comunismo sovietico, cui guardò sempre con un interesse di analisi e di amicizia, e che raccontò, molti anni dopo, riprendendo il filo di storie di vite che ne erano state trasformate. in più di un libro. Nel passaggio terribile dell’occupazione e della Resistenza cominciò a darsi da fare, portando volantini e stampa comunista. Incontrò lì il Pci, di cui divenne una militante impegnata ma attenta a conservare una propria autonomia e una sua visione peculiare. Comunista era il primo compagno, che sposò e con il quale ebbe due figli. E comunista Giancarlo Pajetta, forse il dirigente più amato del Pci, una leggenda difficile da accompagnare. Riflettere sul come Miriam gli fu accanto può dirci qualcosa del suo carattere. Rimasero compagni, solidali sempre, ma separati nella vita di tutti i giorni. Lei nel lavoro, sempre più importante di giornalista, lui in una vita pubblica senza requie. Un legame intenso, ma da donna libera, forse l’unico che poteva resistere all’affluente personalità di Pajetta. Dopo una lunga e brillante carriera fra L’Unità, Vie Nuove, Paese Sera, la direzione di Noi Donne, fu fra i fondatori di “Repubblica”, nel 1976. Mafai divenne subito una delle firme maggiori del giornale di Scalfari, via via più importante, fino a contendere il primato al Corriere. Un caso unico nel panorama editoriale del paese, statico e diviso in aree territoriali e politiche molto definite. Una crescita che ha seguito l’evoluzione della sinistra italiana, nella sua espansione, poi ha forse anticipato la sua mutazione nell’epoca del tramonto del socialismo reale e del riaffermarsi del liberalismo. I pezzi di Mafai nascevano da una cultura che era proprio al centro di questi processi, “dentro” al Pci ma di impostazione liberaldemocratica. Non tutti li condivisi, da lettore e da militante, ma certo si distinguevano sempre per aprire un dibattito, per servire da boa. Si allontanò dal percorso, accidentato, del suo partito, dopo il cambio dell’89. Corse avanti, mai a lato, certamente mai dietro. Come tutti i grandi giornalisti si allargò ad una produzione di libri, sempre segnalati, dove potè unire il racconto di storie di vita di coloro, come il fisico Pontecorvo, che avevano scelto la Russia, l’ "another country", per il rifiuto della guerra e dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo, con un ragionamento incalzante, la richiesta di una evoluzione, incentrata sull’individuo, sulla persona, sulla libertà come primo diritto. Miriam Mafai non si ferma oggi. Troppi gli elementi di attualità e le radici culturali che la collocano all’interno del crogiolo italiano perché la sua figura cessi presto la propria attualità. La libertà nell’essere donna, l’ ascendenza ebraica, la militanza e l’ individualità, la laicità liberale, e la lunga internità alla vicenda comunista, sono altrettanti filoni che a lei ricondurrano. Sarà, come sempre per noi, un rivo carico di acque. Alle donne spesso accade. Quale distanza dalla rada secca e avara delle sconsiderate oscene parole di paragone, di una Santanchè, fra Iotti e Minetti.Davide Ferrari davideferrari2000.blogspot.com