lunedì 1 giugno 2015

Il voto.

Il voto.
L'astensione si conferma in netto aumento, in ogni regione. Sono smentite le superficiali dichiarazioni che volevano la recente astensione emiliano-romagnola dovuta soprattutto a cause occasionali.
L'astensione rappresenta la lontananza dall'offerta politica in essere ed è tanto più significativa perchè avviene in un quadro di insistite riforme e di annunciata ripresa dell'economia, non più di stagnazione e di caduta sociale. Soprattutto in questo risiede la gravità eccezionale, odierna, dell'astensione. E' doveroso interrogarsi sul fatto che riforme istituzionali tendenti a ridurre e semplificare la rappresentanza politica e una ripresa fondata comunque su un abbassamento delle condizioni salariali e quindi di vita non risultano in grado di convincere a riavvicinarsi all'offerta politica. Si è puntato infatti sul convincimento che assicurare governabilità e occupazione, anche se con minori condizioni di tutela, fosse l'antidoto alla crisi della Repubblica.
Il Pd è tutt'ora l'unica forza in grado di esprimere una proposta di governo oltre ad essere realmente LA forza di governo. La forza che l'elettorato gli consegna sembra dovuta innanzitutto a questa caratteristica e a questa funzione. Ma questa forza è in calo. I risultati di lista ovunque lo dimostrano. Su di loro influisce naturalmente la presenza di liste civiche ma il dato di un indebolimento è certo, confermato anche nella diaspora dei voti comunali, e rappresenta il secondo dato politico principale di questo turno parziale di elezioni regionali. L'effetto Renzi non è azzerato, il consenso che il Pd registra comunque è oggi ancor più legato alla linea del suo leader attuale. Sembra difficile però persistere nel considerare il Pd, “rifondato” dal Presidente Renzi, suscettibile di raggiungere da solo un consenso tale da assicurare governabilità e cambiamento. Questo elemento però non è un particolare fra tanti, nega l'architrave su cui, anche prima di Renzi, nel periodo Veltroni, ma in maniera enormemente accresciuta dopo il suo avvento, si fonda la strategia politica del partito.
Il Pd non può presentarsi per chiedere di “fare da solo”, ma allora con chi? Ritornare al bipolarismo "ulivista" o operare per una frammentazione ulteriore della Destra moderata forzando ancora di più il Pd ad una natura del tutto centrista contraria al proprio schieramento internazionale ed alla propria storia costitutiva? Entrambe le scelte non sono facili o prive di rischi. Non sembra possibile però negare la necessità del loro aut-aut.
Ma c'è un altro elemento, di contenuto, riguardante i grandi orientamenti della società, ancora più rilevante alla base dei “limiti” elettorali del Pd di Matteo Renzi.
Coloro che pensano di "potercela fare" con propri talenti e forze, che appaiono convinti della necessità di ridurre pubblico, assistenza, corpi intermedi, ecc ecc sono circa il 15 % dei votanti, vale a dire non più dell'8% dell'elettorato. Si evince dal voto combinato con rilevazioni di opinione. Non sono pochi, alcuni, non tutti però, sono giovani che vogliono "provarci", forze vive, ma sono in questi numeri non uno di più. Con il 15 % non si vince. Il punto di partenza di ogni ragionamento dovrebbe essere questo.
Il terzo dato riguarda le cosiddette scelte “antisistema”. Nonostante scissioni e relativa scompara dall'attenzione mediatica il Movimento di Grillo persiste e si insedia in molti territori dove la sua presenza era solo di riflesso a quella nazionale. La Lega di Salvini prosegue, con risultati molto significativi, il suo processo di passaggio da forza territoriale nordista a alternativa nazionale nel nome della xenofobia e di una attenzione ai temi sociali che le politiche di rigore oscurano nella sinistra di governo e nel centro. Definire la Lega “antisistema” a questo punto rimane giustificato per i contenuti ma non se l'intenzione è quella di considerarla fuori dagli sviluppi del sistema politico.
La Lega si candida a rappresentare, in tutta Italia, l'ondata, presente in Europa di reazione antieuropea e anti democratica, cosa che le era preclusa dall'antimeridionalismo scissionista.
La destra “di governo” non ha leadership nazionale ma dimostra che il suo l'elettorato non è scomparso, raggiunge, per gli errori, evidenti, e le divisioni assolute del Centro Sinistra un risultato significativo in Liguria e si dimostra competitiva anche in Umbria.
I sistemi territoriali più compatti ed omogenei si confermano il Veneto e all'opposto la Toscana. Con una differenza significativa : il “blocco sociale” elettorale della Lega in Veneto supera indenne una scissione da parte del suo Sindaco più conosciuto e si candida ad essere non più l'anticamera di tendenze scissioniste e tout court antinazionali ma una delle colonne del progetto neoleghista rivolto a tutta l'Italia.
A Sinistra del Pd non c'è una proposta politica e non c'è leadership, tuttavia in alcune realtà i voti dimostrano una tenuta di tessuto ed una ripresa di legami con l'elettorato.
Non tali però da contrastare l'astensione nel suo carattere di scelta di distacco.
Per la tenuta democratica non sembra lungimirante, per nessuno, augurarsi che questo dato perduri.
Perchè non sia conteranno le scelte del Pd e naturalmente e specularmente quelle dei vari protagonisti di quest'area. Un Pd bipolarista riaprirebbe il dialogo alla sua sinistra e una direzione più certa dell'area di sinistra dovrebbe inevitabilmente riproporsi un rapporto con il Pd. Ma la distanza oggi è molto grande e al momento non sembra colmabile prima che gli sviluppi politici, costituzionali e nei rapporti di forza sociali e nel mondo del lavoro in corso si compiano. Far ripartire un percorso unitario, sollecitato dalla sfida xenofoba e populista, non sembra né facile nè "naturale", altrettanto almeno di quanto paia urgente.