domenica 24 gennaio 2010

Bettino Craxi, allora ed oggi. Parliamo anche della "questione"socialista, della Sinistra.

Il Presidente Napolitano ha avuto il merito di indicare che una opinione su Bettino Craxi non può fondarsi solo sulla questione morale. E' più discutibile invece se gli argomenti da lui indicati siano o no sufficienti, o adeguati, a raggiungere un obiettivo giudizio. L'ambito dell'analisi del Presidente è quello di Craxi "statista" e Craxi "uomo", "persona".Un ambito proprio, del resto, della figura istituzionale del Presidente e della personalità, la vedova, Signora Anna, destinaria della sua lettera. Colpisce l'assenza, nei commenti di tutti, della "questione socialista", della storia del PSI e della sua fine. Non si vede invece come un giudizio su Craxi possa prescinderne. Se l'analisi deve essere più serena, tuttavia, alla luce dei frutti (Craxi fu capo indiscusso di un partito e portò quel partito alla morte) che si leggono più chiaramente nell'angolatura che vogliamo sottolineare, non può essere assolutoria la sua conclusione.
Cominciamo col dire che, se è necessario un lavoro degli storici, non si può affidare la materia solo a loro.
Craxi non è solo nel passato, nell'"allora". La sua "azione" è ancora viva nelle conseguenze che sono ancora significative nella vita politica italiana di oggi.
Proviamo a mettere in fila alcuni elementi, certo incompleti, qui volutamente esterni alla questione morale, incentrati sulla funzione di Craxi come "guida" del PSI, per contribuire, senza alcuna velleità definitoria ad un giudizio obiettivo, da Sinistra, su Craxi e la sua politica.
Bettino Craxi nacque all'interno della corrente autonomista del PSI di Milano. Un alveo non nobilissimo ma, certo, solidamente attaccato ad un radicamento sociale ampio, nelle imprese collegate all'intervento pubblico ed alla decisionalità degli Enti Locali,nelle professioni e più generalmente nel ceto medio.
Una città, Milano, dove il PSI era già stato a lungo alla guida e dove la stessa forza del '68 aveva fatto crescere protagonisti nuovi, esterni all'esperienza del PCI.
E' forse qui una delle radici della convinzione di Craxi circa, non solo la necessità, ma la possibilità di rovesciare i rapporti di forza fra PSI e PCI.
Decise di rimanere nel PSI, con molti dubbi e sofferenze quando Mauro Ferri e Tanassi spaccarono l'unità PSI-PSDI rifondando in chiave decisamente moderata, ed addirittura con venature reazionare, la sigla socialdemocratica in Italia. Ma rimase nel PSI nella convinzione che, proprio e solo dal loro partito maggiore, i socialisti potessero riaprire la partita con il PCI.
Dopo la grande avanzata del 1975 e del 1976, il PCI raggiunse la soglia del governo, senza però potervi entrare, ed il PSI di De Martino, intento a mediare a favore di un rapporto con il PCI l'azione di governo, non raccolse per nulla i frutti di quella supposta mediazione e si ritrovò al minimo storico.
Craxi, in gradi successivi, in alleanza con la corrente di Lombardi, anch'essa fortemente interessata all'autonomia dal PCI in nome, però, di una complessiva rifondazione della Sinistra, riuscì a imporre la sua visione, l'imperativo "primum vivere" , l'affermazione : "il PSI è necessario" , contro un destino, che De Martino sembrava voler accompagnare, di confluenza in un unico partito con il PCI.
Per evitare la fine del PSI come partito distinto Craxi impose al PSI una nuova linea politica strategica.
Propose un PSI che innanzitutto intendeva operare, al di là di varie affermazioni mutevoli, perchè il PCI venisse relegato ai margini del quadro politico e ridotto nei suoi termini elettorali e socio-culturali.
Quindi un PSI disponibile ad una alleanza senza condizioni, eterna , con la DC e che, anzi, proprio per questa sua disponibilità, intendeva reclamare potere e centralità, in modo e misura mai prima sperimentati.
Il PSI, da partito che faticosamente ricercava la sua ragione d'essere in una funzione di mediazione verso il PCI e in ruolo di garante della democraticità dell'intera Sinistra, divenne frontiera e non cerniera del quadro politico verso il PCI e fortemente conflittuale con la DC, proprio perchè suo pricipale alleato. La forza delle azioni tattiche di Craxi consisteva nel loro quadro strategico, la rivendicazione fino all'arroganza del principio di governabilità, nell'essere del tutto consapevole di essere necessario ad ogni Governo senza condizionamenti del PCI.
L'autonomia del PSI divenne quindi un marcato distacco delle proprie sorti da quelle del PCI, "più il fatto è chiaro, più il fossato si allarga, meglio è", e un'alleanza stabile con la DC senza più la condizione di aprirla a Sinistra, e per questo competitiva, reclamante potere e centralità, ad ogni livello, fino all'ottenimento della prima responsabilità di Governo.
Si chiarirà via via che questa linea politica comportava privilegiare le componenti più moderate della DC, se non addirittura quelle più retrive, l'apertura del quadro politico all'agibilità dell'estrema destra,ed un programma di governo che intendesse prescindere dalla concertazione con la sfera sindacale.
Questo il nocciolo della politica di Craxi.
I prodotti ideologici e programmatici che ne furono il corollario non sono stati privi di interesse, basti ricordare il primo "Programma socialista", addirittura estremista, e poi l'ispirazione ai "MERITI E BISOGNI" su cui si cimenterà soprattutto Claudio Martelli.
Ma più rilevante fu il carattere di "porta d'ingresso" ad esperienze di governo per settori interi delle nuove generazioni che il PSI autonomo di Craxi potè rappresentare , per la rilevante disponibilità di posti ed occasioni, e nello stesso tempo la sostanziale indistinzione programmatica realizzata nella pratica.
Poterono ritrovarsi, accanto o dentro il craxismo, sia provenienze dall'estrema destra che un settore non piccolo della contestazione giovanile, sessantottina ma soprattutto settantasettina, più lontana quest'ultima dal PCI e dalle cosidette "ideologie".
Dai minimi storici il PSI giunse ai suoi massimi.
Ma la parabola del craxismo si svolse in poco più di un decennio.
L'usura del modello craxiano era già evidente prima di tangentopoli: la riduzione di ogni dialettica interna, con tutto il partito preso dalla "vertigine del successo", il ridursi dei margini di rigonfiamento della spesa pubblica con la quale si era finanziato il consenso ai governi di pentapartito e la stessa competizione, in alleanza, di PSI e DC, l'abbandono e poi la contrarietà ad ogni vera riforma istituzionale e sociale, poichè troppo- al di là della retorica sull'innovazione- della propria crescita era reso possibile esattamente dallo "status quo".
Un' Italia spendacciona e bloccata, in sostanza, non rinnovata, questa l'Italia ad egemonia craxiana, diretta da una classe politica incapace di dare contenuto progressivo e reale al proprio riformismo e quindi, in ultima analisi, battistrada di un relativismo, anche in materia costituzionale e nella concezione della democrazia.
E, per quanto riguarda la Sinistra, una divisione dolorosa e profonda, ed un PSI senza vie alternative, con leadership ringiovanite ma del tutto subordinate al primato di Craxi.
E' in questo quadro che maturò l'incapacità ad opporsi alle conseguenze di tangentopoli.
Privati della copertura del bipolarismo monfiale EST-OVEST tutti i partiti divennero all'istante fragili, ma il PSI fu il primo a crollare non perchè maggiormente perseguitato dai giudici ma perchè più legato, si potrebbe dire avviluppato,in quell'ex "status quo" che progressivamente si stava disgregando.
Bisogna aggiungere che le responsabilità direttamente personali di Craxi nel rendere irreversibile il crollo e la scomparsa del suo partito, nella bufera di tangentopoli, furono molto rilevanti.
Il suo appello alla non ipocrisia scontò un grande distacco dalla realtà dei processi in corso e la reazione rabbiosa al suo allontanamento ed al tentativo di dialogo di Martelli con Occhetto, tolsero al PSI le possibilità residue di riprendersi.
Gravissima ed irresponsabile verso il PSI fu la denuncia-fatta da Craxi-in quel momento ultimativo, delle corresponsabilità di Martelli nelle parti oscure della sua politica.
Forse anche questa mancanza di responsabilità mostrata da Craxi verso il proprio partito fu in ultima analisi indotta, oltre che da un limite "morale" della propria personalità, dalla sua incapacità originaria a comprendere come la grande storia dell'esperienza comunista in Italia non potesse essere denegata e , in ultima analisi, elusa, non affrontata.
Restano molti interrogativi, ce ne rendiamo conto, dopo una carrellata così breve. Resta da chiedersi, ad esempio, se il PCI di Berliguer fu adeguato nella sua opposizione alla politica di Craxi.
Un "Partito Comunista", questo il punto, non poteva esserlo. Anche un PC così ricco di forza e di idee come il PCI. Un partito, causa la sua origine, inevitabilmente intrappolato in una continuazione della strategia di fondo togliattiana dell'incontro fra le principali correnti democratiche, senza una moderna concezione del conflitto sociale e senza visione di una democrazia viva perchè fatta di alternative e di alternanze. Una strategia di fondo, quella del PCI che "ontologicamente" toglieva ossigeno al PSI relegandolo a forza minore e non elevandolo a protagonista dell'alternativa.
Occorre anche aggiungere che, mentre Berlinguer, che pure oggi ci può apparire lento e sfuocato sul piano del posizionamento politico, operava però una rilevante innovazione teorica, fino a lambire tutte le principali questioni della nuova epoca, come l'interdipendenza mondiale e la crisi ecologica, i suoi competitori interni, in particolare le principali figure dell'ala che si volle chiamare migliorista, meno ancora si resero conto delle reali novità e possibilità di espansione della politica di Craxi pensando di poter scontare con una maggiore acquiescenza un auspicato ritorno del PSI di Craxi all'interno del quadro della politica tradizionale, così come concepita dal PCI nella sua storia.
I miglioristi, che pure più di altri comprendevano il rischio della divisione delle Sinistre, non erano più avanti, spiace scriverlo, ma più indietro. Se così non fosse stato, d'altronde, non avrebbero avuto così poco ruolo nella svolta che condusse al superamento del PCI. Poche, davvero troppo poche furono le figure politiche nell'arcipelago PCI capaci di coniugare radicalità, riformismo, e unità. Vengono alla mente un uomo come Bruno Trentin e non molti altri riferimenti. Se così non fosse stato, alla scomparsa del PSI, non si sarebbe forse sommata la scelta operata dal corpo politico proveniente dal PCI di una via di rigenerazione così faticosa e forse troppo dimentica del riformismo interno alle espressioni politiche socialiste e socialdemocratiche del mondo del lavoro, almeno in Europa. L'Italia è vero, è solo una periferia di un mondo dove, in termini diversi si sono vissuti -per cause globali- fenomeni simili, ma non ne è una periferia "positiva", se è vero che qui si è affermata l'avventura berlusconiana.
E' grave che ciò sia avvenuto. Sia ancora concesso affermarlo in un'Italia dove è così forte il predominio della Destra di Berlusconi, che molto deve allo spostamento a destra di milioni di voti avvenuto dopo la sparizione del PSI e la drammatica divisione di destini fra ex socialisti ed ex-comunisti, e dove il PD incontra tante difficoltà a ripartire con maggore consapevolezza circa i propri caratteri riformatori.
Alla luce di queste considerazioni si può forse comprendere meglio perchè anche i commenti di questi giorni appaiano parziali o fuorvianti, rivelando limiti ereditati dall'esito del caso italiano, del quale la storia infelice del PSI nella prima repubblica è così significativamente parte. Fra i pochi avversatori della riabilitazione di Craxi e fra i molti impegnati a riedificargli, da Destra, un piedistallo, praticamente nessuno gli imputa la fine del PSI o, almeno, su questo dato riflette. Se la questione della minorità socialista, da Palazzo Barberini a Craxi, fu la palla al piede della Sinistra italiana impedendo l'alternanza di governo ed una vera socialdemocrazia, la scomparsa del PSI, ripetiamo in conclusione quanto premesso al nostro inizio di ragionamento, non può essere estromessa dalle responsabilità del leader che ne aveva assunto il comando in nome dell'imperativo di vivere.

Davide Ferrari