martedì 23 febbraio 2010

I ribelli di Sanremo

Si sono ribellati. Imitando, forse, gli orchestrali indisciplinati del film “Prova d’orchestra”, i maestri del golfo mistico del Festival di Sanremo hanno detto no, hanno stracciato i loro spartiti.
A differenza di quelli un po’ infingardi del capolavoro felliniano, i musicisti della città dei fiori hanno dimostrato carattere.
Hanno chiesto qualità. Anche in tema di canzonette a tutto c’è un limite. Il Principe che ama tanto l’Italia, la sua religione e probabilmente il suo governo attuale, è al di sotto di quel limite.
Non è il solo, per la verità, certo è il peggiore. E’ sembrato che non solo si rovesciassero i criteri, ciò che era bello, o almeno passabile, finiva nelle retrovie ed i pastrocchi avanzavano, ma anche che questo non avvenisse per la legge ferrea della mediocrità popolare ma anche per esigenze mediatiche, persino oltre le regole già all’acqua di rose di una manifestazione canora.
Così Pupo e Filly hanno cambiato il testo della canzone, aggiungendovi gli azzurri ed il pallone mondiale, visto che un Lippi troppo disponibile era corso in loro aiuto. Chissà a quali rotondità avrebbero fatto riferimento se la testimonial fosse stata, chissà, la “vecchia” Nadia Cassini.
Insomma, la disperazione di noi spettatori engagees era grande Non bastava a risollevarci la partecipazione discreta di Pier Luigi Bersani, una buona idea del politico piacentino, già trionfatore su Bertolaso per le note foto con capelli e fisico da Lothar, nella Firenze alluvionata del ’66.
Poi ecco gli orchestrali. Compatti, coraggiosi, come le mondine del dopoguerra hanno interrotto l’orgia sconsiderata dei poteri e hanno inferto poderosi colpi di rasoio all’ingiustizia.
Si può aprire il cuore alla speranza di cambiamenti, il contro fagotto ed il violino di fila sono pronti a guidarci.
Guardate che non scherzo, o almeno non del tutto. C’è voluto un po’ di coraggio a fare un gesto simile. Può darsi che i rivoltosi avessero qualche spondina nell’establishment, ma non credo ad un colossale inciucio per far salire l’audience. Non credo cioè che i musicisti si siano prestati ad impersonare la parte che fa spesso il pubblico di Amici contro la ferrea e poco credibile Celentano.
Ho visto un afflato di sincerità, il senso nell’aria che si potesse e dovesse dire qualche no. Addirittura mi sono chiesto se non sia il segnale di tempi più vivi in arrivo, meno arresi a chi spadroneggia .Forse le mie sono stupidaggini da contestatore a vita, ma , per la verità non sarebbe la prima volta che Sanremo mette in evidenza fenomeni sociali importanti.
Così fu con il tragico gesto di Luigi Tenco, per come venne letto dai giovani di allora. Anche lì il tema era quello dell’ingiustizia di dover subire l’orrore di una banalità preconfezionata. Ma, più allegramente anche le performance di Celentano, quello vero, ebbero la forza di indicare cose grandi che avvenivano fuori dall’Ariston e dieci anni prima anche il turbine di Modugno e persino i saltelli ribelli di Joe Sentieri.
Chissà forse quelle pagine di musica fatte a pezzetti le dovremo ricordare.